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Dagli abissi al portafoglio: la finanza in difesa degli oceani


Post di Aldo Bonati, Stewardship and Esg Networks Manager di Etica Sgr –
Per molto tempo si è pensato che gli oceani fossero una risorsa inesauribile, capaci di assorbire ogni danno provocato dall’uomo senza effetti collaterali. Eppure, sebbene oggi sia chiaro che le cose stiano diversamente, la loro tutela è ancora lontana dall’essere garantita.
L’equilibrio di queste immense distese d’acqua, che coprono oltre il 70% della superficie terrestre, producono più della metà dell’ossigeno che respiriamo e regolano il clima globale, è infatti sempre più compromesso da inquinamento, sfruttamento e cambiamenti climatici.
Accanto a questi rischi consolidati, ne emergono di nuovi, come quelli legati all’estrazione mineraria dai fondali marini (in inglese deep sea mining), una pratica che potrebbe compromettere irrimediabilmente gli ecosistemi oceanici. Sebbene non sia ancora consentita dal diritto internazionale, il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo un ordine esecutivo firmato all’inizio di maggio dal Presidente USA, Donald Trump, volto a incentivare tali attività per sfruttare le risorse custodite nei fondali, a profondità anche superiori ai mille metri.
Le conseguenze del deep sea mining
Questa decisione solleva serie preoccupazioni, poiché tenta di aggirare le linee guida dell’Autorità Internazionale dei Fondali Marini (ISA – International Seabed Authority), l’organismo incaricato di proteggere gli ecosistemi abissali, riconosciuti come patrimonio comune dell’umanità. Da un lato, il provvedimento è stato accolto con favore dalle aziende interessate allo sfruttamento delle risorse marine, data la ricchezza di materie prime rare situate oltre i 200 metri di profondità – come cobalto, manganese e nichel – essenziali per la produzione di batterie e dispositivi tecnologici.
Dall’altro lato, emergono gravi interrogativi ambientali: le tecniche di estrazione mineraria in acque profonde, ancora in fase sperimentale, hanno impatti difficilmente prevedibili, soprattutto perché intervengono in modo invasivo all’interno di ecosistemi ancora in gran parte inesplorati. Oltre a impoverire il fondale, queste pratiche rilasciano in mare grandi quantità di sedimenti e scarti che inquinano gli oceani, con conseguenze potenzialmente irreversibili su habitat già fragili e sensibili.
Convincere governi e decisori politici prima che sia troppo tardi
Esortare governi e decisori politici a sospendere l’estrazione in acque profonde fino a quando i rischi ambientali, sociali ed economici non saranno compresi a fondo – e finché non saranno esplorate in modo esaustivo alternative sostenibili – è un primo passo cruciale.
A questo proposito, in vista dell’importante meeting di ISA che inizierà il prossimo 21 luglio, gli investitori istituzionali possono sottoscrivere il Global Financial Institutions Statement to Governments on Deep Seabed Mining.
Sensibilizzare su questi temi e portare all’attenzione del grande pubblico le preoccupanti decisioni politiche intraprese dai governi – che sembrano dimenticare come il benessere delle nostre acque e, di conseguenza, del nostro pianeta, ricada direttamente sulla vita di ognuno di noi – è vitale, servono però anche azioni per cambiare le cose prima che sia troppo tardi.
Cosa può fare la finanza per gli oceani
Il mondo finanziario è quindi chiamato a rispondere: attraverso investimenti mirati e strategie sostenibili, è possibile contribuire alla tutela della biodiversità marina e alla conservazione delle risorse. È il caso dei cosiddetti “investimenti ad impatto”, in grado di generare un ritorno finanziario per gli investitori ma soprattutto un impatto ambientale positivo. Rispetto agli ecosistemi marini, tali investimenti possono finanziare tecnologie per il monitoraggio sottomarino, attività di mappatura dei fondali e sistemi di pesca sostenibile.
Inoltre, è possibile avviare collaborazioni tra pubblico e privato che favoriscono accordi tra governi, ONG e imprese, coordinando le attività di ricerca, conservazione e controllo dei fondali. Infine, laddove un’azione preventiva non sia possibile, si possono implementare meccanismi di ripristino o di compensazione ambientale, sviluppando sistemi di crediti per bilanciare gli impatti negativi su aree sottomarine. In pratica, chi danneggia, ad esempio con dragaggi o attività portuali, può finanziare progetti di ripristino dei fondali in altri siti.
L’enorme minaccua della plastica sui fondali degli oceani
Si tratta di un approccio che integra responsabilità ambientale, trasparenza e innovazione: tutti requisiti fondamentali per tutelare un patrimonio fragile e indispensabile del nostro pianeta, oggi sempre più a rischio.
Infatti, secondo il report Plastics in the deep sea – A global estimate of the ocean floor reservoir, pubblicato dalla Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (Csiro), in collaborazione con l’Università di Toronto, si stima che fino a 11 milioni di tonnellate di plastica siano già depositate sui fondali oceanici, contribuendo al deterioramento degli ecosistemi. L’equivalente, in termini visivi, di 1.507 Torri Eiffel sbriciolate in frammenti più piccoli di 5 millimetri.
Nel giro di 15 anni, questa enorme massa di plastica depositata sui fondali potrebbe raddoppiare, con conseguenze che si estendono ben oltre l’ambiente marino. Come rivela lo studio Threat of plastic pollution to seabirds is global, pervasive, and increasing, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), entro il 2050 la plastica potrebbe essere presente negli organismi del 99% delle specie di uccelli marini (rispetto all’attuale 60%), alterando gli equilibri della catena alimentare e impoverendo sensibilmente la biodiversità.
Il ruolo dei Green Bond
È importante ricordare che la lotta all’inquinamento marino richiede un impegno coordinato a livello globale. La Plastic Pollution Financial Declaration – firmata da 160 istituzioni finanziarie, tra cui Etica Sgr – sollecita i governi ad adottare un trattato vincolante contro l’inquinamento da plastica, riconoscendo l’urgenza di un’azione comune. Altre iniziative, come A Line in the Sand – The New Plastics Economy, promossa dalla Ellen MacArthur Foundation, puntano a ripensare l’intero ciclo di vita dei materiali, favorendo la progettazione di prodotti riutilizzabili e riciclabili per ridurre l’impatto ambientale.
Di fronte a queste minacce, è fondamentale prendere posizione e adottare soluzioni concrete per proteggere gli oceani, gli ecosistemi e la vita sul pianeta.
In questo quadro, strumenti finanziari come i green bond (obbligazioni verdi) possono giocare un ruolo importante. I Green Bond sono strumenti finanziari dedicati a progetti specifici di protezione ambientale – come la riduzione delle emissioni climalteranti, la produzione di energia da fonti rinnovabili, la tutela dell’ambiente e della biodiversità, l’economia circolare, il trattamento e il riciclo dei rifiuti – e sono sempre più utilizzati dalle aziende per sviluppare i propri piani di sostenibilità.
Il futuro degli oceani dipende dalle scelte di oggi
La tutela degli oceani passa attraverso politiche pubbliche efficaci e investimenti mirati. Definire al più presto obiettivi condivisi e strumenti finanziari sempre più adeguati è una priorità assoluta per garantire la riduzione dell’inquinamento e la salvaguardia della biodiversità marina. Perché il futuro degli oceani dipende dalle scelte di oggi: solo un impegno comune può assicurare la protezione di questo bene vitale per l’intero pianeta.