Chi ci ha guadagnato dall’Unità d’Italia?

scritto da il 01 Luglio 2025

È un tema classico della nostra storia, su cui fiumi d’inchiostro sono già stati spesi. Uno di quei casi in cui i dati raramente riescono a smontare pregiudizi e tifoserie. Ma quando arrivano nuovi studi sul tema, appare utile comunque soffermarvisi.

Un recente lavoro a cura di Guglielmo Barone, David Chilosi, Carlo Ciccarelli e Guido de Blasio prova a rispondere all’eterna domanda: chi ci ha guadagnato tra Nord e Sud a seguito della nascita del Regno d’Italia?

Gli autori richiamano inizialmente cenni sul dibattito nella letteratura economica, basata molto spesso su una visione pessimistica (il Sud sarebbe stato penalizzato dall’unificazione), fino ad arrivare a studi più recenti maggiormente ottimistici (tutte le macroregioni ne avrebbero beneficiato).

Per rispondere alla domanda iniziale, lo studio simula uno scenario controfattuale -nel quale si ipotizza il mancato compimento dell’Unità d’Italia- e si focalizza su quattro tematiche: agricoltura, densità di ferrovie e tassi di alfabetizzazione. Per fare ciò, gli autori utilizzano dati del Centro-Nord e del Sud, periodo 1840-1911, comparandoli con i dati di 12 Paesi europei che nello stesso periodo non hanno affrontato importanti cambiamenti dei loro confini.

Secondo il lavoro, i risultati dimostrano che l’unificazione avrebbe rallentato l’industrializzazione non solo nel Sud -come sostenuto dai meridionalisti- ma anche al Centro-Nord. Ci sono comunque anche risultati positivi, sugli investimenti pubblici (espansione della rete ferroviaria al Sud e dell’alfabetizzazione al Centro-Nord).

Italia

La nascita del Regno d’Italia non avrebbe inciso in maniera significativa sui divari preesistenti. Ma quindi sarebbe stato meglio che l’Italia non vedesse mai la luce? (Designed by Freepik)

Ma vediamo più nel dettaglio.

Nell’agricoltura, come si vede dal grafico, il tasso d’impiego della popolazione era già molto differente tra le diverse aree considerate, con il Sud che occupava molte più persone nel settore agricolo (e quindi meno in quello industriale). Le differenze di traiettoria tra le linee continue e le linee tratteggiate dimostrano in ambedue i casi il rallentamento dello spostamento della forza lavoro verso l’industria registrato dal 1860 in poi.

Per quanto riguarda il tasso di alfabetizzazione, dall’unificazione in poi il Centro-Nord mostra una traiettoria migliore rispetto allo scenario senza Risorgimento, mentre il Sud ne risulta svantaggiato. Anche in tal caso si notano divari di partenza abbastanza marcati.

L’ultimo grafico riguarda la densità di ferrovie. In questo caso, il beneficio per il Sud è ben visibile rispetto allo scenario di proseguimento della durata del Regno delle Due Sicilie dopo il 1860.

Nelle conclusioni, gli autori concordano sul fatto che la spinta per l’unificazione proveniva maggiormente da movimenti culturali piuttosto che da motivazioni economiche. Anche la vulgata secondo cui le industrie del Nord avrebbero beneficiato dell’abbattimento delle barriere interne non sembra trovare riscontri, in quanto entrambe le macroaree si basavano ancora su esportazioni di prodotti primari agricoli destinati alle industrie europee. In generale, la nascita del Regno d’Italia non avrebbe inciso in maniera significativa sui divari preesistenti.

Ma quindi sarebbe stato meglio che l’Italia non vedesse mai la luce? Come scriveva brillantemente Benedetto Croce, non esiste solo l’aspetto economico:

“Accuse e difese che, in quanto tali, si dimostrano inconcludenti, perché è chiaro che in una unione si hanno sempre vantaggi e perdite reciproche, e che nondimeno il guadagno totale (e non s’intende solo di quello economico nel senso empirico e quantitativo, ma anche il guadagno spirituale e qualitativo) dev’essere assai superiore alle perdite particolari, se l’unione si è formata e se, invece di dissolversi o di allentarsi, dura e si rinsalda».[1]

 

[1] Croce B., “Storia del Regno di Napoli”, citazione dalle pagine 244-245, Laterza