Il paradosso dei risparmi: così finanziamo la deindustrializzazione

scritto da il 14 Luglio 2025

Post di Simone Strocchi, Presidente e Managing Partner Electa Ventures – 

C’è un paradosso che attraversa silenziosamente il nostro sistema economico, e che rischia di produrre danni irreversibili al tessuto produttivo italiano. Un paradosso reso invisibile dalla articolazione dei passaggi e meccanismi finanziari, ma i cui effetti concreti si vedono ogni giorno: le nostre migliori imprese industriali vengono sottratte al controllo nazionale e alla condivisione con il mercato borsistico, mentre noi stessi, inconsapevolmente, ne finanziamo a caro prezzo il consolidamento in gruppi non nazionali.

Le piccole e medie imprese italiane quotate in Borsa, spesso leader nei rispettivi settori, vengono oggi trattate dal mercato con una sistematica sottovalutazione. I multipli medi di capitalizzazione si aggirano attorno a 6 volte l’EBITDA e anche meno, un livello che non riflette in alcun modo il valore strategico e prospettico di questi asset. La bassa liquidità dei titoli, la ridotta copertura analitica, la compliance dei fondi e l’assenza di una narrazione favorevole hanno trasformato queste imprese in “occasioni trascurate”, quasi invisibili agli occhi dei grandi flussi di capitale orientati sui listini borsistici.

Un vero cortocircuito finanziario

Chi invece le vede molto bene sono i fondi di private equity. In questo vuoto di attenzione istituzionale, il private equity trova un vivaio ideale: le ritira con OPA con premi moderati (a 7-8x EBITDA), le razionalizza, e dopo poco le rivende a gruppi industriali globali a multipli ben più alti (10-12x EBITDA) in un arbitraggio finanziario perfetto.

Ma ecco il cortocircuito. Questi gruppi acquirenti, le big corporation multinazionali, sono spesso le stesse in cui investono i fondi UCITS sottoscritti dai risparmiatori che sono i lavoratori italiani, anche dagli stessi dipendenti e manager delle PMI vendute. Per via delle regole di liquidità e capitalizzazione, questi fondi non investono direttamente nelle nostre PMI quotate (troppo piccole e illiquide per soddisfare i parametri di compliance), ma si concentrano su large cap globali, ovvero – sovente – sulle imprese che poi comprano le nostre.

risparmi

La chiusura del cerchio dei nostri risparmi

Così si chiude il cerchio perverso: il risparmio italiano, raccolto con finalità previdenziali e di lungo termine, alimenta circuiti finanziari che portano all’estero la proprietà dei nostri asset industriali più solidi. E lo fa attraverso una serie di passaggi che mantengono una formale razionalità, ma che nel complesso contribuiscono a una perdita sistemica di controllo, di capacità industriale, e in ultima istanza, di sovranità economica.

In assenza di politiche attive, strumenti fiscali coerenti e un’architettura regolamentare e finanziaria capace di servire l’economia reale, continueremo a favorire un modello di crescita altrui con la nostra ricchezza, perdendo nel tempo il presidio dei nostri territori e della nostra competitività industriale.

Di che cosa abbiamo bisogno?

Non servono slogan o nostalgie. Serve costruire un’infrastruttura finanziaria nazionale moderna, trasparente, professionale, che abbia come obiettivo l’allineamento tra risparmio privato e interesse industriale collettivo. E serve anche, culturalmente, liberarsi almeno in parte dall’idolo pagano della liquidità giornaliera, che riduce ogni decisione d’investimento a una logica di trading tempestivo, anziché orientarla verso la costruzione di valore nel tempo.