L’AI può davvero togliere il lavoro ai mediatori linguistici?

scritto da il 29 Luglio 2025

Post del Professor Simone Borile, direttore di Ciels Campus – Scuola Superiore di Mediazione Linguistica Socio-culturale, parte del Gruppo Plena Education

L’intelligenza artificiale sta oggi contribuendo a ridefinire molte professioni, dettando nuovi strumenti, modalità e tempi di lavoro. Secondo quanto emerge dal report “The Future of Jobs” del World Economic Forum, entro la fine del 2025 l’intelligenza artificiale sostituirà circa 85 milioni di posti di lavoro, ma contribuirà a crearne 97 milioni. Tra i ruoli che l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando c’è sicuramente anche quello del mediatore linguistico, del  traduttore e dell’interprete.

Tuttavia, seppur le applicazioni di AI nei sistemi di traduzione automatica e assistita hanno raggiunto livelli di accuratezza impensabili fino a pochi anni fa, facendo sembrare tali figure superflue, queste non potranno mai essere sostituite completamente dalla tecnologia. Infatti, qualità umane come l’empatia, la responsabilità etica e la consapevolezza culturale sono elementi che la tecnologia, per quanto evoluta, non è ancora in grado di replicare.

L’intelligenza artificiale nelle professioni linguistiche: opportunità e criticità

I sistemi di traduzione automatica si sono evoluti in modo esponenziale; tuttavia, pur eccellendo nell’analisi sintattica e nella resa di strutture lessicali anche complesse, non riescono a cogliere ciò che rende viva la comunicazione umana: il contesto, le sfumature culturali e l’intento comunicativo. In particolare, nel campo dell’interpretariato, l’AI ignora completamente i codici paralinguistici e culturali, come ad esempio la gestualità o le espressioni non verbali, che spesso sono determinanti per una comprensione piena del messaggio.

L’evoluzione delle tecnologie linguistiche impone quindi una ridefinizione della figura professionale del mediatore, non la sua eliminazione. L’intelligenza artificiale, infatti, può diventare un alleato strategico: un supporto nella fase di pre-traduzione, un ausilio nella ricerca di specifici termini o nella coerenza stilistica. Compito del mediatore linguistico è perciò guidare la tecnologia, non subirla. Per questo motivo è necessario conoscerne i limiti e saperla usare in modo critico, mantenendo sempre il controllo sull’intero processo comunicativo.

Uno degli aspetti più delicati riguarda la traduzione di espressioni idiomatiche o metaforiche, le quali, senza un intervento umano, rischiano di essere rese in modo letterale e quindi fuorviante. Ad esempio, tradurre un’espressione come “stare con le mani in mano” oppure “chiodo schiaccia chiodo” con un sistema automatico può portare a risultati non solo errati, ma culturalmente inappropriati. Solo una persona formata è in grado di operare la necessaria trasposizione concettuale, attingendo non solo a competenze linguistiche ma anche culturali e settoriali.

Il futuro del mediatore linguistico: quali competenze servono?

In questo scenario, le competenze che diventano centrali e insostituibili per il mediatore linguistico sono molteplici. Oltre alla padronanza delle lingue, servono conoscenze verticali sui microlinguaggi di settore, sensibilità interculturale e consapevolezza delle implicazioni etiche del proprio operato. La mediazione non è una mera traduzione di parole, ma un trasferimento di significati, visioni del mondo ed universi culturali. Un’attività che implica responsabilità e richiede una formazione continua e specialistica.

Il futuro della professione, quindi, non è in discussione. Anzi, la globalizzazione, la mobilità internazionale e la crescente complessità degli scambi linguistici metteranno sempre più in luce la centralità di figure capaci di fare da tramite tra lingue e culture. In un mondo sempre più interconnesso, la mediazione linguistica sarà cruciale non solo in ambito professionale, ma anche in contesti sociali, istituzionali e umanitari.

Servono quindi figure capaci di inserirsi in diversi ambiti, combinando delle forti conoscenze di settore, a delle competenze socio-linguistiche di alto livello e le capacità di gestire le novità tecnologiche a proprio vantaggio. I sistemi di machine translation vanno intesi come supporto ai professionisti nel diventare dei veri e propri ponti di connessione per migliorare scambi economici, lavorativi, politici in contesti dove le peculiarità culturali sembrano stridere invece che diventare ricchezza per tutti.

ll ruolo della formazione accademica

La formazione accademica deve evolvere con rapidità e visione verso il futuro. Le università non possono più limitarsi a insegnare lingue in senso tradizionale, ma devono formare figure ibride, capaci di integrare strumenti tecnologici, riflessione etica e competenze operative e multisettoriali. È necessario preparare studenti in grado non solo di usare l’AI, ma anche di guidarla, interpretarla e soprattutto darle un senso umano. Le sfide del futuro richiederanno professionisti della lingua capaci di muoversi in ambienti digitali complessi, ma con uno sguardo sempre attento all’essenza della comunicazione: la relazione tra le persone.

Il cambiamento è già avvenuto

In conclusione, l’intelligenza artificiale ha già cambiato il lavoro del mediatore linguistico e continuerà a farlo, ma non potrà mai sostituire quella componente profondamente umana che rende la mediazione un atto culturale prima ancora che tecnico. La vera sfida non è contrastare l’AI, ma saperla integrare in modo intelligente, etico e consapevole.