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India–Regno Unito, l’intesa mette a nudo le lentezze dell’Europa


Post di Alessandro Fichera*, Direttore Business Unit International di Bonfiglioli Consulting –
Il 24 luglio, il primo ministro britannico Keir Starmer e il premier indiano Narendra Modi hanno firmato un accordo di libero scambio che punta ad aumentare l’interscambio tra i due Paesi di oltre 25 miliardi di sterline entro il 2040. L’intesa, definita da entrambi i leader come “storica”, rappresenta il primo vero successo della politica commerciale post-Brexit del Regno Unito e il più significativo accordo firmato dall’India con un Paese non asiatico.
Oltre alla riduzione dei dazi su migliaia di prodotti e servizi, l’accordo si estende alla cooperazione in ambiti strategici come difesa, innovazione tecnologica e lotta alla criminalità organizzata. Ma l’impatto più immediato è di natura commerciale: si prevede che il 99% dei beni esportati dall’India nel Regno Unito beneficeranno di tariffe ridotte o azzerate, mentre il dazio sul whisky scozzese – attualmente al 150% – sarà progressivamente ridotto al 40%. Anche il settore automobilistico britannico potrà beneficiare di un accesso privilegiato al mercato indiano, in un momento in cui le imprese inglesi cercano nuove sponde per compensare le perdite dovute all’uscita dall’Unione Europea.
Uno degli aspetti più interessanti dell’intesa riguarda proprio l’importazione di autoveicoli britannici. Tra i beneficiari dell’accordo vi è Jaguar Land Rover, che esporta verso l’India vetture prodotte nel Regno Unito. Eppure, Jaguar Land Rover è controllata dal gruppo indiano Tata Motors, che dal 2008 ne detiene la proprietà. Si crea così un paradosso solo apparente: l’India, riducendo i dazi su veicoli “britannici”, agevola le vendite di un’azienda di proprietà indiana. In termini economici, questa dinamica riflette la crescente interconnessione tra investimenti diretti esteri (IDE) e politica commerciale, ma anche la capacità dell’India di rafforzare il proprio presidio industriale in Europa, sfruttando accordi bilaterali con Paesi terzi.

Il primo ministro indiano Narendra Modi durante una conferenza stampa con il premier britannico Keir Starmer (non in foto) dopo aver firmato un accordo di libero scambio a Chequers, vicino ad Aylesbury, Inghilterra, giovedì 24 luglio 2025. Kin Cheung/Pool via REUTERS
Per il governo britannico, invece, l’intesa è una risposta alla necessità di rafforzare relazioni commerciali indipendenti dall’UE. Si ritiene infatti che l’accordo porterà un valore aggiunto di circa 4,8 miliardi di sterline all’economia nazionale.
A rendere ancor più significativo l’accordo India–UK è il confronto con i negoziati in corso tra India e Unione Europea. I colloqui per un FTA tra Bruxelles e Nuova Delhi sono iniziati nel 2007, ma a quasi vent’anni di distanza non si è ancora giunti a una conclusione. Dopo diverse interruzioni, le parti si sono impegnate a chiudere entro la fine del 2025, ma permangono divergenze sostanziali.
Le principali criticità riguardano gli standard ambientali e sociali richiesti dall’UE, che l’India giudica troppo stringenti; l’apertura ai servizi finanziari europei e alla liberalizzazione dei dati digitali, su cui Nuova Delhi mantiene un approccio protezionista; la tutela della proprietà intellettuale e la riforma degli appalti pubblici, settori ancora poco trasparenti e difficili da negoziare.
Eppure, i numeri mostrano un potenziale elevatissimo: l’Unione Europea è il secondo partner commerciale dell’India, con scambi in crescita del 90% negli ultimi dieci anni. Un’intesa con Bruxelles porterebbe benefici più estesi rispetto a quella con Londra, ma richiede un compromesso politico che finora è mancato. Allo stesso tempo c’è da chiedersi se le nostre imprese siano pronte ad accogliere una dinamica competitiva con un Paese che inizia a costruire prodotti con sempre maggior contenuto tecnologico ma a prezzi decisamente contenuti.
Il successo del Free Trade Agreement con il Regno Unito conferma la strategia dell’India di posizionarsi come ponte tra Asia e Occidente, sfruttando la propria centralità nelle nuove catene del valore globali. Dal punto di vista geopolitico, Nuova Delhi persegue una logica di multi-allineamento: stringe accordi con partner diversi – dall’Australia al Regno Unito, dagli Emirati agli USA – mantenendo al contempo margini di autonomia. Ulteriore conferma dell’evoluzione del modello di globalizzazione a modello multipolare.
A questo si aggiunge un’agenda ambiziosa sul fronte dell’export: l’India punta a raddoppiare le esportazioni entro il 2030, anche attraverso riforme logistiche, digitalizzazione dei porti e incentivi alla produzione interna (Make in India). Allo stesso tempo eleva i modelli di qualità rendendo obbligatoria la certificazione di qualità tramite il Bureau of Indian Standards [BIS] su centinaia e centinaia di famiglie di prodotti (molti dei quali importati dall’estero).
L’accordo India–Regno Unito va letto non solo come un successo bilaterale, ma come un segnale chiaro agli altri attori globali, UE in primis. In un contesto internazionale in cui l’accesso ai mercati si gioca su logiche sempre più geopolitiche, la velocità nell’agire e la flessibilità nel negoziare diventano fattori determinanti. L’assenza di un quadro normativo condiviso rischia di frenare lo sviluppo di una politica industriale e commerciale coordinata, in un momento storico in cui Cina e India avanzano con maggiore coesione strategica. L’Europa dispone di un potenziale enorme, ma per trasformarlo in vantaggio competitivo occorre superare rigidità tecnocratiche e lentezze decisionali. Il rischio è che, mentre Bruxelles continua a negoziare, Nuova Delhi continui a firmare, con altri.
*Alessandro Fichera ricopre il ruolo di Direttore della Business Unit International di Bonfiglioli Consulting, società con sedi principali in Italia, Stati Uniti, India e Vietnam. Fondatore e CEO di Octagona, oggi parte di Bonfiglioli Consulting, Fichera è riconosciuto come una figura di riferimento nel campo dell’internazionalizzazione d’impresa.