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Trump guida, l’Europa rincorre: come uscire dalla trappola dei dazi


Post di Simone Strocchi, Presidente e Managing partner di Electa Ventures –
Di fronte ai nuovi dazi statunitensi, l’Unione Europea appare ancora una volta in una posizione di debolezza e confusione. Si discute – con toni burocratici e approcci redistributivi – di come assorbire l’impatto: quanto ricadrà sui margini delle imprese europee, quanto sui contribuenti comunitari, quanto sui consumatori americani. Ma a quale prezzo sistemico?
Che ripercussioni globali saranno determinate dal reindirizzo dei prodotti che smetteranno di trovare negli Stati Uniti un mercato sostenibile? Forse le catene di fornitura più lunghe attutiranno il colpo, sicuramente chi ha margini elevati e vendite distribuite su più geografie riuscirà a compensare maggiormente. Ma intanto Washington detta l’agenda e Bruxelles sembra ancora costretta a rincorrere, senza visione autonoma.

Donald Trump durante l’ormai famoso discorso sulle tariffe doganali al Rose Garden, il 2 aprile 2025. (Foto di Brendan SMIALOWSKI / AFP)
A preoccupare è soprattutto la cornice ideologica implicita: un’interpretazione binaria e antiquata del bilancio commerciale. “Avanzo” uguale virtù, “disavanzo” uguale colpa. Ma importare beni a bassa marginalità è stata per decenni una scelta strategica delle economie avanzate, fondate su tecnologia, proprietà intellettuale, brand e finanza. Il disavanzo commerciale, preso isolatamente, non equivale a disagio economico, né a sottomissione geopolitica. Il vero nodo è la qualità della nostra economia, non la quantità esportata.
Serve rimettere al centro ciò che crea valore: margini, royalties, flussi di capitale, indirizzo di capitali per investimenti di lungo periodo. E da lì affrontare con lucidità la sfida vera: come ridare prospettive a chi è rimasto escluso dalla corsa tecnologica e finanziaria, e come restituire sovranità industriale a chi l’ha ceduta, consapevolmente o no, alle logiche delle supply chain globali.
Anche il reshoring selettivo – che non è solo un tema american o- va discusso seriamente, al di là degli slogan indirizzati a nemici immaginari per catturare il voto di chi ha perso l’agiatezza economica. Invocare oggi una svalutazione dell’euro per “tornare competitivi” è un riflesso condizionato che lascia perplessi. Molte imprese italiane comprano in dollari e vendono in tutto il mondo non solo o necessariamente negli USA. E intanto l’Europa si è impegnata ad acquistare volumi ingenti di gas liquefatto americano con margini record per loro e costi pesanti per noi.
In questo quadro, svalutare per esportare rischia di essere un boomerang, ancora una volta a scapito della marginalità. Servono, oggi più che mai, una cultura e una sovranità, industriale e finanziaria che misuri nola sostanza, non solo i volumi. Per tornare ad avere un ruolo non solo nei mercati, ma anche nelle scelte.