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Hotel europei contro Booking, senza un progetto di indipendenza


Post di Luca Rodella, CEO e co-founder Smartness –
In queste settimane, migliaia di hotel in tutta Europa si stanno unendo per portare in tribunale Booking.com. Si tratta di una class action senza precedenti, sostenuta da Hotrec, Federalberghi e altre 25 associazioni di categoria. Al centro, la richiesta di un maxi-risarcimento alla più potente agenzia di viaggi online d’Europa, che da sola detiene il 70% del mercato.
L’iniziativa ha conquistato titoli, attenzione e molte speranze. I promotori parlano di giustizia, diritti calpestati e anni di soprusi da parte della piattaforma. “Gli albergatori europei soffrono da troppo tempo condizioni ingiuste” — si legge nei comunicati — “ora è il momento di unirsi e chiedere giustizia”.
La class action sarebbe quindi l’occasione per cambiare le regole del gioco. Ma è davvero così? Per capirlo, serve ripercorrere la storia di questa battaglia, capire perché Booking.com è finita sotto accusa — e soprattutto chiedersi se tutto questo avrà davvero un impatto positivo per gli albergatori.
Perché Booking.com è sotto accusa: una storia vecchia
La class action nasce da una lunghissima controversia sulle clausole di parity rate (parità tariffaria), introdotte da Booking.com fin dal suo esordio nel 2004. Queste clausole impedivano agli hotel di offrire tariffe più basse o condizioni migliori su qualsiasi altro canale di vendita — inclusi i propri siti web — rispetto a quelle pubblicate su Booking.com.
In parole semplici: anche se un hotel voleva offrire un prezzo più conveniente sul proprio sito, non poteva farlo. Pena l’esclusione o la penalizzazione sulla piattaforma.
Negli ultimi dieci anni, varie autorità europee hanno ritenuto questa pratica contraria alla concorrenza, accusandola di danneggiare il settore alberghiero e rafforzare la posizione dominante delle agenzie di viaggio online (OTA, Online Travel Agency).
Nel 2017 alcuni Paesi — Francia e Germania per primi — sono riusciti a vietare del tutto la clausola. Anche in Italia la parity rate è stata abolita nello stesso anno, grazie a un emendamento incluso nel DDL Concorrenza dall’allora parlamentare Stefano Quintarelli.
Nel frattempo la controversia sulla parity rate è arrivata fino alla Corte di giustizia europea (CGUE), che nel 2024 ha confermato che le clausole di parità utilizzate da Booking.com violano il diritto europeo della concorrenza. Nello stesso anno, è stato il Digital Markets Act a mettere la parola fine sulla parity rate, portando Booking.com ad eliminarla in tutta Europa a partire dal 1 luglio 2024.
Come funziona il modello di business di Booking.com
Per capire perché questa vicenda resta così rilevante per gli albergatori, bisogna capire come funziona il modello di business di Booking.com. Ogni prenotazione effettuata tramite la piattaforma comporta per l’hotel una commissione variabile, solitamente tra il 15% e il 30%.Tradotto: se un cliente prenota una stanza da 100 euro su Booking.com, l’hotel ne incassa solo 70 o 85.
Ma per ottenere maggiore visibilità — cioè comparire tra i primi risultati di ricerca e attirare più prenotazioni — le strutture devono aderire ai programmi commerciali di Booking.com, come Preferred Plus o Genius.
Questi strumenti prevedono commissioni ancora più alte e si basano su logiche ancora più opache della parity rate: il loro obiettivo non è solo offrire più visibilità, ma spingere gli albergatori a concentrare la maggior parte del proprio business su Booking.
Un meccanismo che rafforza la dipendenza, rendendo sempre più difficile diversificare i canali e tornare a vendere in modo indipendente.
Cosa sperano di ottenere gli hotel con la class action
L’obiettivo della class action è ottenere un risarcimento retroattivo per i danni subiti a causa delle clausole di parity rate tra il 2004 e il 2024.
Secondo Hotrec, queste clausole avrebbero gonfiato artificialmente le commissioni del 30%, quindi – ad esempio – un hotel che ha pagato 100.000 euro a Booking.com in quel periodo potrebbe ottenere circa 30.000 euro di risarcimento, al lordo delle spese legali.
Booking.com ha già annunciato battaglia legale e, anche se andasse a buon fine, il procedimento giudiziario potrebbe durare anni. Hotrec prevede una durata massima di 5 anni, ma visto che è servito un decennio solo per chiarire la vicenda parity rate, è difficile essere ottimisti sui tempi di un’azione legale di questa portata.

Class action senza precedenti, sostenuta da Hotrec, Federalberghi e altre 25 associazioni di categoria. REUTERS/Dado Ruvic/Illustrationng
Nel frattempo Booking.com continua a crescere indisturbato
La class action è solo l’ultima di una lunga serie di controversie legali che hanno coinvolto Booking.com negli ultimi anni. A luglio 2024, ad esempio, l’Antitrust spagnola ha inflitto alla piattaforma una multa da 413 milioni di euro per abuso di posizione dominante, legata proprio ai programmi Preferred Plus e Genius.
Eppure, nonostante le sanzioni, le pressioni normative e le crescenti critiche da parte di albergatori e associazioni di categoria, Booking.com non frena. Anzi, accelera.
Dal 2019 al 2024, il valore lordo delle prenotazioni intermediate è passato da 96 a oltre 165 miliardi di dollari. Le notti vendute sono salite da 845 milioni a 1,14 miliardi. Il fatturato? Da 15 a 23,7 miliardi di dollari.
Segno che le multe si pagano, le cause si affrontano, ma niente riesce a scalfire il vero potere della piattaforma, ovvero la capacità di attrarre sempre più domanda e mantenere gli hotel nella sua orbita.
Il paradosso degli hotel: si lamentano, ma non cambiano
In Italia la parity rate è decaduta da otto anni, lasciando alle strutture ricettive la massima libertà di impostare strategie di vendita più concorrenziali. Eppure, nella pratica, non è cambiato quasi nulla: le OTA rappresentano ancora tra il 50% e il 70% delle prenotazioni per molte piccole e medie strutture, mentre le commissioni pagate possono erodere fino al 50% dei margini. Un’enormità.
La domanda è quindi inevitabile: se tutti conoscono il costo – alto – delle commissioni OTA, e se ne lamentano al punto da intentare una class action paneuropea, perché così tanti hotel continuano ad affidarsi quasi esclusivamente a Booking.com?
La risposta è banale: perché è la strada più facile. Ma dietro questa scelta c’è un problema più profondo e strutturale. Costruire una strategia di vendita diretta richiede tempo, competenze, investimenti tecnologici e un vero cambio di mentalità. E qui sta il nodo: il settore è ancora indietro.
La soluzione c’è, ma non si trova in tribunale
Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2024 il 67% delle PMI europee presentava un livello di digitalizzazione basso o molto basso, con solo il 13% delle imprese europee impegnate nello sfruttare le enormi potenzialità dell’Intelligenza artificiale. Nel settore ricettivo, appena l’1,3% delle aziende usa strumenti basati su AI o machine learning per analizzare i dati e supportare le decisioni. Un dato che parla da sé.
Il rimborso promesso dai promotori della class action – se mai arriverà – può avere un valore simbolico, ma nessuna azione legale basterà per cambiare davvero le regole del gioco, se le strutture ricettive continueranno a restare ancorate alle vecchie abitudini.
Eppure, oggi, rispetto a vent’anni fa, gli strumenti per ribaltare il rapporto di dipendenza dalle OTA sono accessibili a tutti. Marketing, prezzi dinamici, fidelizzazione degli ospiti, operatività quotidiana: grazie all’automazione, è possibile gestire tutto questo anche senza avere grandi team o budget da catena alberghiera.
Quello che manca agli hotel europei è una cultura digitale più solida, una visione a lungo termine e – soprattutto – la volontà di essere davvero indipendenti. Perché i tribunali possono fare giustizia. Ma l’indipendenza è una strategia, non una sentenza.