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Pace trumpiana nel Caucaso: opportunità per l’Italia?


“Nel descrivere i vantaggi che la Russia potrebbe trarre da questi paesi, non è facile spiegare perché quella potenza non incoraggi gli operosi abitanti dell’Europa a stabilirsi qui, assegnando loro concessioni di terra; perché è assolutamente certo che, se queste splendide province fossero liberate dalle immense foreste e il suolo adeguatamente coltivato, il profitto per l’agricoltore sarebbe enorme.”
Così scriveva nel 1836 il capitano britannico Edmund Spencer nel suo “Travels in Circassia, Krim-Tartary, &c. Including a Steam Voyage Down The Danube”. Le sue parole tradivano chiaramente l’interesse britannico per un’occupazione della Circassia a sfavore della Russia. Il capitano, grande scrittore e abile esploratore del Commonwealth, non disdegnava di stabilire rapporti “informali” con i capi locali che osteggiavano le truppe russe.
Spencer era una delle tante pedine di quella che fu una sorta di prima guerra fredda, iniziata intorno al 1820 e durata fino all’inizio della Seconda guerra mondiale. Un conflitto freddo (o semi-freddo) che vide contrapposti i due colossi dell’epoca: l’Impero britannico, alla continua ricerca di modi per espandere la propria presenza economica e militare, e la Russia imperiale, le cui ambizioni territoriali verso sud miravano a difendersi dalle mire espansionistiche inglesi.
Ma cosa c’entra tutto questo con la pace nel Caucaso e il mercato energetico europeo? Tutto. Perché per comprendere il futuro di quest’area strategica bisogna tracciare brevemente un passato poco conosciuto.
La Circassia e le radici di un conflitto secolare
La Circassia è una regione storica del Caucaso, patria dei Circassi, popolo nativo del nord-ovest caucasico che comprende parte dell’attuale territorio di Krasnodar, Stavropol’ e delle repubbliche russe di Adighezia, Cabardino-Balcaria e Karačaj-Circassia.
I Circassi, convertiti all’Islam sotto l’influenza ottomana nel XVII secolo, furono soggetti a colonizzazione da parte dell’esercito russo-imperiale a partire dalla fine del XVIII secolo. L’area circassa, dalla fine del conflitto napoleonico, divenne oggetto di interesse del Commonwealth britannico, che considerava tutti i territori prossimi al Mar Nero come aree da cui l’Impero russo doveva essere escluso.
Da qui nacquero missioni diplomatiche, spedizioni di armi e, in seguito, lo scoppio della guerra turco-russa per la sovranità della Crimea. L’esito della guerra di Crimea fu la vittoria inglese, la limitazione delle ambizioni russe nel Mar Nero e, soprattutto, lo smembramento dell’Impero ottomano, causato dai debiti contratti per la guerra contro la Russia. I principali beneficiari di questi prestiti furono inglesi e francesi (in piccola parte anche il nascente Stato italiano, sostenuto nelle sue ambizioni da banchieri e ferrovieri britannici).
La caduta dell’Impero ottomano permise al Commonwealth di sezionare il territorio, impossessandosi di risorse naturali come argento e cotone, del Canale di Suez appena costruito e creando una nuova linea di attrito contro l’Impero russo proprio nella zona caucasica.
Da allora a oggi, gli attori “esterni” sono cambiati, ma gli scontri non si sono mai fermati. Oggi sono i turchi a supportare gli Azeri (ricchi di petrolio e gas di cui la Turchia ha bisogno per la sua industria energetica), mentre gli Armeni, cristiano-ortodossi, sono sostenuti dalla Russia. Come attori più distanti geograficamente ci sono l’Europa, che vorrebbe annettere l’Armenia nella sua sfera d’influenza, e gli Stati Uniti, che vedono il Caucaso come i loro predecessori inglesi: una linea di contenimento della Russia e una via vitale di approvvigionamento energetico verso l’Europa.
La Pax Americana e il corridoio di Trump
Venerdi 8 agosto, il presidente Donald Trump ha annunciato che Armenia e Azerbaigian hanno promesso di porre fine a tutte le ostilità e di aprire nuove rotte per viaggi, scambi commerciali e relazioni diplomatiche. “Stiamo oggi stabilendo la pace nel Caucaso”, ha dichiarato il presidente azero Ilham Aliyev. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha definito la firma dell’accordo “una tappa significativa” nei rapporti tra i due Paesi.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan mentre si stringono la mano durante la cerimonia di firma trilaterale alla Casa Bianca, l’8 agosto 2025. REUTERS/Kevin Lamarque
L’accordo prevede la costruzione di un importante corridoio di transito regionale, chiamato Trump Route for International Peace and Prosperity (TRIPP). Il progetto collegherà l’Azerbaigian alla sua exclave autonoma del Nakhchivan, separata dal territorio azero da una fascia di terra armena. Negli anni, Aliyev aveva più volte richiesto che l’Armenia concedesse un corridoio ferroviario diretto verso Nakhchivan, mentre Erevan aveva insistito per mantenere il controllo su quella tratta. Le divergenze su questo punto avevano finora bloccato i negoziati di pace.
Trump ha anche firmato accordi bilaterali con Armenia e Azerbaigian per ampliare i rapporti commerciali nei settori dell’energia e della tecnologia.
Russia, Cina e Iran perdono una posizione strategica?
Il vertice segna un’importante svolta geopolitica: gli Stati Uniti rafforzano la propria influenza nel Caucaso a scapito della Russia, storicamente considerata la potenza dominante e il principale mediatore nella regione. Negli anni recenti, era stato Putin a guidare le trattative tra Baku ed Erevan. Con la nuova intesa promossa da Washington, la Russia è stata di fatto esclusa dal processo.
Mosca e Teheran hanno un altro interesse strategico nella regione, legato al progetto del Corridoio di Trasporto Internazionale Nord-Sud, una ferrovia che collegherebbe l’India alla Russia bypassando le sanzioni internazionali. Una rotta commerciale fortemente voluta anche dalla Cina, che ha già costruito parte della sua “via della seta” integrandola con le potenzialità commerciali del corridoio Nord-Sud. Il “Trump Bridge” potrebbe compromettere questo piano, poiché secondo alcune fonti potrebbe sorgere vicino al confine iraniano con l’Armenia.

Il Corridoio Zangezur. Fonte: Civilsdaily
Iran e Russia potrebbero cercare di influenzare o rallentare il processo per proteggere i loro interessi di transito. L’Iran vede la nuova rotta come un bypass del proprio territorio, mentre la Russia rischia di perdere un importante strumento di influenza nel Caucaso meridionale. La Turchia, dal canto suo, è ansiosa di migliorare le proprie connessioni di trasporto verso est, attraversando Armenia e Azerbaigian.
Un nuovo mercato per le aziende italiane
Se realizzato, il progetto potrebbe diventare un nuovo collegamento nel “Corridoio Centrale” trans-caspico, che connette l’Asia centrale all’Europa attraverso Kazakhstan, Mar Caspio, Azerbaigian, Georgia e Turchia. Questa nuova rotta offrirebbe a Kazakhstan, Uzbekistan e Turkmenistan un’ulteriore via verso ovest, bypassando i territori di Russia e Iran.
Questi territori, che ancora vedono una scarsa presenza di aziende italiane, potrebbero divenire un nuovo mercato proprio ora che le imprese italiane sono alla ricerca di nuovi territori liberi da sanzioni e dazi imprevedibili.
Il traffico lungo il Corridoio Centrale è cresciuto rapidamente: i volumi di merci sono passati da circa 600.000 tonnellate nel 2021 a 1,5 milioni nel 2022, salendo ulteriormente fino a circa 4,1 milioni entro la fine del 2024. L’Unione Europea ha stanziato miliardi di euro per ammodernare porti, ferrovie e hub logistici, e la Banca Mondiale prevede che i volumi potrebbero raggiungere fino a 11 milioni di tonnellate all’anno, con un possibile raddoppio o triplicazione entro il 2030.

I Corridoi commerciali euroasiatici. Fonte: Baku Research Institute
Il corridoio proposto dovrebbe includere trasporto ferroviario, oleodotti, gasdotti e cavi in fibra ottica, con la costruzione affidata a società private nell’ambito di un accordo di locazione negoziato dagli Stati Uniti. Questo potrebbe permettere alle esportazioni di energia del Caspio da Kazakhstan e Turkmenistan di raggiungere Turchia ed Europa in modo più diretto e migliorare la connettività digitale dell’Asia centrale, riducendo la dipendenza dalle reti telecom russe.
L’opportunità energetica per l’Europa
Considerando le scelte dell’Unione Europea, focalizzate a limitare l’afflusso di materie prime economiche russe, un accesso più veloce e diretto a fonti energetiche centro-asiatiche rappresenterebbe un’opportunità per diversificare l’approvvigionamento energetico. Invece di dover dipendere dal costoso gas americano e da quello del Qatar – nazione con una politica estera mutevole – l’accesso all’Asia Centrale costituirebbe una valida alternativa, nonché un corridoio a doppio senso per esportare la meccanica italiana in Paesi fortemente orientati verso la diversificazione economica.
Per l’Italia, che vanta notevole competenza nella lavorazione di materie prime (di cui però siamo carenti), questi mercati potrebbero rappresentare una soluzione ideale.
Le opportunità per le costruzioni italiane
Dal punto di vista logistico, costruire e mettere in sicurezza infrastrutture in territorio montuoso richiederà investimenti significativi e competenze tecniche. Per quanto sia plausibile immaginare che i principali gruppi internazionali coinvolti saranno statunitensi, è realistico pensare che consorzi o singole aziende europee – come quelle italiane – possano partecipare all’iniziativa.
La competenza delle aziende italiane nella costruzione di grandi infrastrutture le rende appetibili come fornitori di servizi per i grandi gruppi americani, che spesso tendono a subappaltare a imprese occidentali non americane, come già accaduto in Iraq.
Tuttavia, non sono ancora stati confermati né progetti tecnici né impegni finanziari. Funzionari statunitensi hanno assicurato che non saranno impiegati fondi pubblici, lasciando la realizzazione a consorzi privati o banche di sviluppo. Finché non saranno firmati contratti, queste caratteristiche restano potenzialità e non certezze.
Conclusioni
Ci troviamo solo all’inizio di questo nuovo evento geopolitico, ma se confermato nell’attuale mandato di Trump, l’evoluzione di questo corridoio potrebbe beneficiare tutto il blocco caucasico, portando finalmente la pace in un’area tormentata da ormai due secoli. Per le aziende italiane, si prospettano opportunità interessanti sia nel settore delle costruzioni che in quello dell’export verso mercati emergenti in cerca di diversificazione economica.
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