Finanza e religioni: un’alleanza antica per un futuro incerto

scritto da il 20 Agosto 2025

Post di Paolo Biancone, Professore ordinario di economia aziendale, direttore dell’osservatorio sulla finanza islamica dell’Università di Torino – 

In un mondo segnato da instabilità geopolitica, volatilità finanziaria e crescente sfiducia verso le istituzioni, si riscopre un legame antico quanto controverso: quello tra religione e denaro. Un rapporto che, lungi dall’essere superato, continua a produrre effetti concreti, influenzando comportamenti economici, strumenti finanziari e interi sistemi bancari. Dalla predicazione di San Francesco alla finanza islamica contemporanea, le religioni hanno sempre cercato di conciliare l’uso del denaro con principi morali e sociali, offrendo alternative etiche al capitalismo speculativo.

Oggi, la crescente domanda di finanza sostenibile (impact investing, green bonds, fondi ESG) crea uno spazio fertile per il rilancio della finanza ispirata a valori religiosi. Fondi pensione, fondazioni e investitori istituzionali stanno integrando criteri morali nella valutazione dei propri portafogli. La condizione, tuttavia, è la misurabilità: valori e principi devono tradursi in metriche, policy e strumenti trasparenti. In questo senso, il dialogo tra religione e finanza può diventare un laboratorio per standard etici condivisi, anche in un mondo secolarizzato.

Denaro e peccato: radici comuni

Nelle tre grandi religioni monoteiste il denaro non è mai stato neutrale. È un mezzo necessario, ma rischioso: può corrompere, deviare, allontanare dalla comunità. Per questo, nel cristianesimo medievale l’usura – intesa come ogni interesse sul prestito – era considerata peccato mortale. E proprio per contrastare le distorsioni di un’economia ancora priva di regole pubbliche, i frati francescani promossero i Monti di Pietà, forme embrionali di credito etico e solidale, che prestavano senza interesse ai più poveri. Non un rifiuto della finanza, ma un suo ripensamento in chiave comunitaria.

L’interesse proibito: il caso islamico

Nel mondo islamico, il divieto del riba (interesse) è esplicito nel Corano. Da esso deriva un intero sistema alternativo di intermediazione finanziaria: la finanza islamica, fondata su principi di equità, trasparenza e condivisione del rischio. Essa esclude attività speculative e settori ritenuti non etici (alcool, pornografia, gioco d’azzardo) e propone strumenti compatibili con la sharia, come: murabaha, ovvero la vendita con margine di profitto noto; mudaraba, una partnership con divisione di utili;  e sukuk, vale a dire delle obbligazioni garantite da asset reali.

Oggi la finanza islamica è presente in oltre 80 Paesi e gestisce più di 3.000 miliardi di dollari in attività, con un tasso di crescita annuo superiore al 10%. Non è solo un fenomeno confessionale: molte istituzioni occidentali, da HSBC a BNP Paribas, offrono prodotti sharia compliant, attratte da un bacino di investitori in espansione.

L’etica ebraica del denaro

Anche nella tradizione ebraica il denaro è oggetto di riflessione normativa. La Torah proibisce di applicare interesse nei prestiti tra membri della comunità, pur consentendolo nei confronti di estranei. Questo principio ha favorito pratiche commerciali disciplinate da codici morali interni e strumenti giuridici specifici, come l’heter iska, che consente di strutturare investimenti leciti secondo la Halakha. Oggi esistono fondi ebraici che selezionano titoli secondo criteri di compatibilità religiosa, anticipando, in un certo senso, le logiche ESG.

Finanza etica e Dottrina Sociale della Chiesa

Se la finanza islamica ha sviluppato una struttura codificata, nel mondo cristiano l’approccio è più sfumato, ma non meno rilevante. La Dottrina Sociale della Chiesa cattolica, con encicliche come Rerum Novarum o Caritas in Veritate, ha costantemente riaffermato il primato della persona sul profitto. Ne sono nati progetti concreti: banche etiche, fondi di investimento socialmente responsabili, strumenti di microcredito promossi da diocesi e fondazioni cattoliche. E oggi molti fondi “ESG cattolici” selezionano titoli in base a criteri morali, escludendo aziende coinvolte in armamenti, aborto, inquinamento o sfruttamento.

Le religioni come guida (anche) per gli investitori

La dimensione etico-religiosa influisce sulle scelte finanziarie sia individuali sia collettive. Molti investitori religiosi (dalle famiglie ai fondi pensione confessionali) orientano i propri portafogli secondo valori coerenti con la propria fede. Ma non si tratta solo di fede. In una fase in cui il mercato cerca stabilità, trasparenza e sostenibilità, i prodotti finanziari ispirati a valori religiosi possono offrire vantaggi pragmatici come: diversificazione geografica e culturale (es. sukuk nei mercati emergenti); minor esposizione a settori rischiosi (esclusione di asset speculativi); maggiore fidelizzazione del cliente (per motivazioni etiche).

Finanza

Simboli delle principali religioni (designed by Freepik)

Conflitti e sinergie con la finanza moderna

Naturalmente non mancano le tensioni. La finanza globale è spesso orientata al profitto di breve termine, mentre le religioni impongono un’etica della misura, della solidarietà e della responsabilità intergenerazionale. Tuttavia, proprio in questa tensione può nascere innovazione: la finanza etico-religiosa può spingere verso una nuova ingegneria finanziaria, capace di creare valore anche non monetario.

In ultima analisi, tuttavia, religioni e finanza non sono universi incompatibili. Anzi, storicamente si sono plasmati a vicenda. Le religioni, ponendo limiti all’accumulazione illimitata, hanno introdotto nel linguaggio economico concetti come giustizia, fiducia, bene comune. La finanza, da parte sua, ha offerto strumenti per organizzare la solidarietà e moltiplicare le risorse comunitarie.

Oggi, in un mondo che chiede risposte nuove a crisi sempre più complesse, il recupero di questi legami può contribuire a costruire una finanza più sobria, equa e orientata al lungo periodo. Non è questione di fede, ma di sostenibilità sociale. E forse anche di buon senso economico.