Il cane in ufficio: problemi o benefici? Le sfide post smart-working

scritto da il 24 Agosto 2025

Post di Silvano Joly, Business Advisor in Deloitte –

A pochi giorni dalle vacanze estive, ho incontrato di nuovo Navid, ormai notissimo come DoggoDaily, il fotografo di strada che racconta il mondo dei cani e dei rispettivi umani con scatti autentici e narrativi. Ci eravamo conosciuti nel 2023, non era ancora un influencer, e il nostro incontro è stato un po’ il punto di partenza della sua avventura. Lo raccontò anche a Il Corriere della Sera ma con una piccola imprecisione: “la prima volta fermai una signora in Crocetta e le chiesi se potevo fare una foto al suo cane. Si chiamava Ramses. L’ho postata sui miei social e ho avuto quasi mille visualizzazioni su TikTok. Ho capito che era una buona idea e mi sono ripromesso di farne uno al giorno per un anno”. Ecco, quella “signora” ero in realtà io, con il nostro bassotto Ramses!

Cani

L’autore del post con Navid e Ramses

A parte il refuso del redattore, con Navid parlammo a lungo, quel giorno ed in seguito, specie del fatto che dopo il periodo del Covid c’erano molti più cani e che lo smartworking agevolava un ritorno alla convivenza tra “Sapiens e Lupi”, intesa come un’unione stretta e solidale, anche per superare le angosce del lockdown e ritrovare una simbiosi antichissima. Con Navid ci siamo rivisti per festeggiare i milioni di follower ed il suo libro di imminente uscita con una nuova storia, sono molto contento che il nostro bassotto Ramses sia stato così di buon auspicio.

Tutte le sue storie di cani e umani così in sintonia, mi hanno fatto riflettere sulla più antica, ancestrale relazione tra uomo e cane, nata nella preistoria e ancora oggi fonte di potere trasformativo.

Dai lupi alle passeggiate al parco…

Guardare alla storia dell’umanità aiuta infatti a capire che il cane non è mai stato solo un animale domestico, ma un compagno strategico. I primi lupi addomesticati offrirono sicurezza e cooperazione millenni fa. Il nostro legame con i cani ha radici profonde, affondando nella preistoria. Più di 15.000 anni fa, in un’epoca in cui la sopravvivenza era una lotta quotidiana, una sorprendente alleanza si formò tra l’essere umano e il lupo grigio. Non fu un processo forzato, ma una scelta reciproca e un’evoluzione graduale. I lupi più audaci e meno aggressivi si avvicinarono ai campi dei cacciatori-raccoglitori, attirati dagli scarti di cibo. In cambio, offrivano un sistema di allarme naturale, avvisando i loro nuovi compagni del pericolo imminente.

Questa cooperazione iniziale si trasformò in una simbiosi indispensabile. I lupi, progenitori dei cani moderni, diventarono i nostri occhi e le nostre orecchie. Con il loro olfatto e udito superiori, potevano avvisare della presenza di predatori o di altre tribù nemiche. Durante la caccia, la loro agilità e resistenza si combinarono con l’ingegno umano, portando a un’efficacia senza precedenti nella cattura di grandi animali. Questa partnership strategica non solo garantiva la sicurezza, ma forniva anche un vantaggio fondamentale per la sopravvivenza e l’espansione della nostra specie. Nel corso dei millenni, il ruolo del cane si è evoluto e adattato alle diverse civiltà.

Nell’antico Egitto, il cane non era solo un cacciatore, ma anche un simbolo di protezione e devozione. Il dio Anubi, raffigurato con la testa di sciacallo o cane, guidava le anime nell’aldilà, sottolineando la sacralità di questi animali. Cani di razze come il Saluki, così amato dal curatore di questo blog, Alberto Annicchiarico, erano considerati veri fratelli dei Faraoni e venivano sepolti con loro con bende e sarcofago. Anche nell’antica Roma, i Molossi erano usati come cani da guardia e da guerra, noti per la loro forza e lealtà.

Molto più di un animale domestico

Non mancano poi esempi religiosi: San Francesco d’Assisi, pieno di amore verso tutte le creature, aveva un’affinità speciale con il celebre Lupo di Gubbio. O San Rocco di Montpellier, che dedicatosi a curare gli appestati contrasse la malattia e per non essere di peso a nessuno si ritirò in una grotta appartata, pregando e attendendo che la peste avesse la meglio dandogli la morte. Ma un cane del luogo lo trovò  e lo confortò leccandogli le piaghe e portando ogni giorno un po’ di pane, rubato alla tavola dei suoi padroni. Dopo qualche settimana, San Rocco si riprese, la peste guarì, ma quel cane rimase con lui per sempre.

Anche i militari hanno spesso trovato nel cane un alleato insostituibile: il generale spartano Agide II grande amante dei suoi cani, li portava sempre con sé in battaglia. Il generale Patton, famoso per il suo carisma, non si separava mai da Willie, il suo Bull Terrier, che lo seguiva in ogni missione. E come non ricordare l’iconico legame tra la regina Elisabetta II e i suoi amati Corgi. Per oltre ottant’anni, questi piccoli cani dalle zampe corte sono stati la sua ombra, diventando pure loro simbolo inconfondibile della monarchia britannica.

Queste e tante altre storie ci ricordano che il cane è molto più di un animale domestico. È un compagno di viaggio, un protettore, un alleato strategico. Non ne me ne vogliano i “gattofili”, ma spetta al lupo che si avvicinò ai nostri antenati e oggi al cane che siede ai nostri piedi (o sui nostri divani), il ruolo di camminare al nostro fianco, offrendo sicurezza, cooperazione e un’amicizia che resiste alla prova del tempo, senza chiedere nulla in cambio.

L’evoluzione, il lockdown e il back to normal

C’è una teoria affascinante che suggerisce che la simbiosi tra uomo e cane abbia avuto un impatto ancora più profondo sulla nostra evoluzione. Con la costante minaccia di predatori e tribù nemiche, il sonno per i primi esseri umani era un’attività rischiosa. Spesso non si dormiva, forse lo si faceva a turni, con un membro del clan che rimaneva sveglio per fare la guardia. Quando i lupi diventarono parte del nucleo sociale, assunsero loro questo ruolo di sorveglianza.

Così con un guardiano a quattro zampe sempre vigile, i nostri antenati potevano finalmente permettersi un sonno più profondo e ristoratore. Questa nuova sicurezza permise al cervello di entrare in una fase di sonno sconosciuta fino a quel momento: la fase REM (Rapid Eye Movement). Durante questa fase, il cervello è estremamente attivo, elaborando le informazioni, consolidando i ricordi e sviluppando nuove idee. La libertà di sognare, di elaborare il mondo in modo più complesso, potrebbe aver accelerato l’evoluzione del nostro cervello, portandoci a diventare le creature creative e pensanti che siamo oggi.

Durante il lockdown, in qualche modo, si è ritrovata quella relazione. Il cane è diventato un ponte tra la libertà e la sicurezza psicologica in giorni di chiusura, e molti hanno scelto di adottarne uno proprio per poter uscire di casa durante quei mesi del 2020-2021. Lo dicono anche i numeri, che Il Sole 24 Ore riporta: il pet care in Italia ha un giro d’affari di 7 miliardi di euro, con 65 milioni di animali da compagnia e 27.000 aziende. Non solo famiglie ma anche single o coppie di lavoratori che, lavorando da casa, hanno stabilito questa nuova forma di “simbiosi 2.0”.

Cane

Oggi il ritorno alla normalità sta rendendo quel ponte più sottile. La frenesia della vita lavorativa, le rigide politiche aziendali, la ripresa delle trasferte, i ritmi di separazione tra vita privata e professionale rendono difficile integrare il nostro compagno a quattro zampe nella quotidianità.

Soli a casa per ore o riportati ai canili 

Sono tanti i cani che improvvisamente devono restare a casa, anche intere giornate (o riportati ai canili ormai strapieni, questa estate si sta verificando un vero e proprio boom di rinunce e abbandoni), mentre il loro umano lavora in ufficio o è via per un viaggio di lavoro o un convegno. Cosa accadrebbe se le aziende affrontassero con i dipendenti questa problematica?

Portare un cane in ufficio non è questione di essere o meno “pet friendly”. Si tratta di riconoscere che la nostra interazione con gli animali non è un capriccio, ma una fonte di autenticità e benessere. Una presenza canina sul posto di lavoro potrebbe avere effetti sorprendenti sulla leadership e sulla cultura aziendale. Reintegrando il primordiale “ponte” tra uomini e cani in modo consapevole, in un mondo che torna a correre sempre più veloce, valorizzeremmo un’antica saggezza, un legame millenario capace di mostrarci una via per un futuro più sano e felice, sia a casa che in ufficio.

Cosa dicono gli esperti a proposito di aziende pet-friendly?

Il crescente interesse per i luoghi di lavoro che accolgono gli animali domestici non è una semplice tendenza passeggera, ma una pratica supportata da una solida base di evidenze scientifiche. I dati raccolti da diverse ricerche internazionali mostrano che le aziende che abbracciano questa filosofia vedono vantaggi tangibili in termini di benessere, produttività e fidelizzazione del personale.

Una ricerca della Harvard Business Review Benefits of a pet-friendly Workplace sottolinea come i luoghi di lavoro che ammettono gli animali siano in grado di migliorare significativamente il benessere dei dipendenti. La semplice presenza di un cane in ufficio può ridurre i livelli di stress e ansia, creando un’atmosfera più rilassata e positiva. Questo clima si riflette anche sulla collaborazione tra colleghi: la presenza di un animale diventa un punto di conversazione, un modo naturale per rompere il ghiaccio e favorire interazioni informali che rafforzano i legami nel e tra i team. Inoltre, l’adozione di politiche pet-friendly si sta rivelando una strategia efficace per le aziende che vogliono attrarre e trattenere i talenti, dimostrando un’attenzione concreta alla qualità della vita dei propri dipendenti.

cane

Una ricerca condotta dall’Università di Lincoln conferma questi benefici. I risultati evidenziano che i cani sul luogo di lavoro non solo aumentano l’engagement dei dipendenti, ma contribuiscono anche a ridurre il turnover. Avere la possibilità di portare il proprio animale domestico in ufficio viene percepito come un benefit che migliora l’equilibrio tra vita professionale e privata, contribuendo a una maggiore soddisfazione generale. Allo stesso modo, uno studio dell’università Nova School di Lisbona di Lisbona  evidenzia che la presenza dei cani contribuisce a diminuire i livelli di stress e a stimolare le relazioni, rafforzando così il capitale sociale all’interno dell’organizzazione.

In psicologia poi la Teoria dell’Autodeterminazione (Self-Determination Theory) sostiene che il benessere e la motivazione intrinseca delle persone dipendono dalla soddisfazione di tre bisogni psicologici fondamentali: autonomia, competenza e relazione. Un ambiente pet-friendly aiuta a soddisfare questi bisogni: l’autonomia di poter scegliere di portare il proprio cane al lavoro, la relazione che si crea con i colleghi attraverso l’interazione con gli animali, e un senso di competenza nel gestire un aspetto importante della propria vita personale anche in ambito lavorativo.

Tuttavia ad oggi vige una felice anarchia: mentre aziende sono così pet-friendly che concedono permessi per lutti legati agli animali, adottano una mascotte aziendale e organizzano di “pet walks”, altre reputano che l’integrazione degli animali domestici nel contesto lavorativo sia poco più che  un vezzo, e non una scelta strategica per un futuro più umano e produttivo.

Immaginare un modello manageriale orientato all’umano (e all’animale)

Un modello manageriale che pensi al futuro non può più ignorare il fattore umano nella sua interezza. Dovendo includere anche il benessere emotivo, riconoscendo che il nostro collega a quattro zampe può concretamente contribuire a una maggiore efficienza e coesione, le aziende più lungimiranti stanno già sperimentando iniziative concrete che vanno oltre il semplice concetto di “pet-friendly”. Spazi e Tempi Flessibili: dalle zone pet-friendly all’interno degli uffici e organizzare giornate dedicate, ai “take-your-pet-to-work”, non sono solo per accontentare i dipendenti ma per investire nella loro serenità, riducendo lo stress e favorendo un clima di fiducia e apertura.

C’è chi pensa a Benefit Inclusivi come una pet insurance o permessi specifici per eventi legati agli animali (non solo il lutto ma ad esempio le cure veterinarie), attenzioni che rafforzano la loyalty e l’identificazione con l’organizzazione, dimostrando che l’azienda si prende cura dei suoi dipendenti anche nelle loro sfere più personali e delicate.

Un modello manageriale orientato alla persona

Queste pratiche potrebbero sembrare meri espedienti atti a migliorare l’immagine aziendale, ma sono espressioni di un modello manageriale più avanzato, orientato alla persona. E al benessere animato – rappresentato dall’animale che fa compagnia, che dona sollievo o stimola un sorriso improvviso – come un vero e proprio benefit intangibile prezioso e – di fatto – a costo zero!

Questa analisi parte da un incontro con Navid, Iraniano che ha scoperto l’amore per i cani in Italia, e si salda a una relazione personale duratura con il mio piccolo grande Ramses, ma va oltre: è un invito a ripensare il workplace come spazio di cura, bellezza e produttività. Una economia umana, più umana, fatta anche di ciotole e zampette negli open-space. Chissà se saremo pronti a ricalibrare le politiche HR, la cultura e forse anche l’arredamento del lavoro, includendo l’attenzione emotiva che nasce anche da un incontro felice tra un impiegato e il suo animale?