Il benessere dei medici: la soluzione è nella flessibilità

scritto da il 02 Settembre 2025

Post di Giacomo Baldi, medico e fondatore/CEO di GAPMED* – 

Dal 31 luglio 2025 è entrato in vigore lo “stop ai gettonisti”: ospedali e strutture sanitarie pubbliche non potranno più reclutare nel SSN medici (o altri sanitari) liberi professionisti. Numerose Aziende Sanitarie Locali hanno espresso preoccupazione per l’impatto operativo che potrebbe derivare dalla riduzione di medici liberi professionisti, soprattutto nei periodi di maggiore pressione, come l’estate, quando i pronto soccorso registrano picchi di accesso: in molti contesti, infatti, questi professionisti rappresentano oggi una componente integrata dell’organizzazione dei reparti, contribuendo alla continuità dei servizi e al mantenimento degli standard assistenziali.

Secondo un’analisi del centro studi Crea Sanità[1] mancano circa 30.000 medici per soddisfare pienamente il bisogno di assistenza sanitaria nazionale e un settore particolarmente critico è la medicina di base, dove la carenza è di circa 5.500 medici[2]. Il personale medico dipendente del SSN, quindi, opera spesso in un contesto caratterizzato da dotazione organica limitata, che può tradursi in turni prolungati, ridotta disponibilità di riposi e un ricorso frequente agli straordinari.

La fuga del personale sanitario dagli ospedali pubblici

Secondo una survey condotta da FADOI[3] su un campione di 2000 operatori, in Italia ammette di essere in burnout un medico su due (52%) e quasi un infermiere su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza raddoppia tra le donne, dove permangono difficoltà a conciliare lavoro e famiglia.

Le cause di questa situazione sono complesse e strutturali ma, di fronte a un sistema che rende difficile bilanciare vita private e professionale, molti medici scelgono di lasciare gli ospedali pubblici italiani: per Fondazione GIMBE sono circa 80.000 i sanitari che esercitano fuori del SSN, in ambito privato o come liberi professionisti. Tale dato che riflette una tendenza crescente: sempre più medici nel nostro Paese scelgono modalità di lavoro alternative al rapporto di dipendenza.

In questo scenario, la domanda è: come garantire un servizio sanitario di qualità senza trascurare il benessere dei medici? Occorre ripensare il sistema, evitando di colpevolizzare le scelte individuali e cercando soluzioni praticabili per ricostruire fiducia e motivazione nel personale clinico, che rappresenta il cuore della sanità pubblica.

Il vuoto di organico e lo stress dei camici bianchi

Secondo i dati ufficiali del Ministero della Salute, nel Servizio Sanitario Nazionale operano circa 101.827 medici (compresi gli odontoiatri, ma esclusi i medici di famiglia), vale a dire 4,25 ogni 1000 persone: considerando l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle patologie croniche, al fine di colmare le uscite per pensionamento e la carenza strutturale di personale, il SSN dovrebbe assumere 15.000 medici ogni anno nei prossimi dieci anni[4]. Il vuoto di organico è una delle sfide più impellenti per il Sistema Sanitario Nazionale, e in questa situazione è richiesto a medici e infermieri di sostenere carichi di lavoro sproporzionati per coprire la domanda di cure a livello nazionale.

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In Italia ammette di essere in burnout un medico su due (52%) e quasi un infermiere su due (45%). Per entrambe le professioni, l’incidenza raddoppia tra le donne (designed by Freepik)

Sebbene l’orario contrattuale per un medico dipendente del SSN sia in Italia di 38 ore settimanali, nella realtà si lavora in media circa 44 ore[5], con punte di 60-70 ore settimanali nei periodi critici che superano anche le direttive europee, secondo le quali la durata massima della settimana lavorativa del personale sanitario è di 48 ore.

A fronte di questo impegno, vi è un riconoscimento economico generalmente considerato inadeguato, in quanto l’Italia è tra le nazioni europee con le retribuzioni più basse per i medici ospedalieri: dopo il nostro Paese, solo Grecia, Estonia e Portogallo.

Medici a rischio burnout: il caso Lombardia

Uno studio condotto in Lombardia[6] ha rilevato che oltre il 71,6% dei medici sospetta di avere sperimentato il burnout almeno una volta nella vita, mentre quasi il 60% teme di poterne soffrire in futuro. Anche a livello nazionale, le indagini confermano un quadro preoccupante: il 57% dei medici italiani segnala un aumento dei carichi orari negli ultimi anni e il 35% individua nella carenza di personale la principale causa di stress lavorativo[7].

Il carico di lavoro eccessivo si traduce troppo spesso nell’impossibilità di staccare e recuperare le energie: sebbene i sanitari dipendenti abbiano diritto a circa 30-32 giorni di ferie all’anno, il sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed ha calcolato che ammontano a circa 5 milioni le giornate di ferie non godute né monetizzate da parte di chi lavora nel SSN[8].

Integrare i liberi professionisti: un disegno strutturato e responsabile 

Le cause delle difficoltà che affrontano oggi i medici del Servizio Sanitario Nazionale sono complesse, stratificate e radicate in decenni di scelte politiche, vincoli normativi e cambiamenti demografici. Non esiste una soluzione rapida, ma è possibile adottare approcci che rendano più sostenibile l’organizzazione del lavoro medico. Tra questi, tra le possibilità va considerato il contributo dei liberi professionisti, non solo come risposta emergenziale, ma come parte di un disegno strutturato e responsabile, capace di garantire flessibilità senza compromettere la qualità delle cure.

In questa prospettiva, diversi modelli organizzativi – come l’inserimento di team flessibili e multidisciplinari all’interno delle strutture pubbliche, sempre sotto la regia della direzione sanitaria – potrebbero favorire una migliore gestione dei reparti più critici, assicurando continuità assistenziale e al tempo stesso alleggerendo il carico sul personale strutturato.

I potenziali risparmi sulle esternalizzazioni tradizionali

Parallelamente, strumenti digitali per la pianificazione dei turni e il monitoraggio delle ore lavorative possono contribuire a rendere più trasparente e tracciabile l’impiego delle risorse, favorendo l’integrazione dei professionisti esterni nei protocolli clinici. Studi di settore mostrano inoltre che un utilizzo efficiente di queste soluzioni consente potenziali risparmi significativi, in alcuni casi stimati tra il 16% e il 30% rispetto ai modelli di esternalizzazione tradizionali.

Si tratta, in definitiva, di mettere in campo soluzioni pragmatiche e lungimiranti, capaci di rafforzare – e non sostituire – il SSN, rendendolo attrattivo per i professionisti e sostenibile per il futuro. Perché il SSN rappresenta una delle conquiste più alte della democrazia italiana e, come tale, occorre proteggerlo con soluzioni pragmatiche, coraggiose, e visione di lungo periodo.

NOTE

* L’autore di questo articolo, Giacomo Baldi, è medico e fondatore e CEO di GAPMED, provider internazionale di servizi e soluzioni tecnologiche per il settore healthcare, nato per facilitare l’accesso alle cure e migliorare l’efficienza dei sistemi sanitari anche attraverso l’integrazione di medici liberi professionisti nel Servizio Sanitario Nazionale.

[1] Crea Sanità 2023 – Risorse umane

[2] Gimbe

[3] 28° Congresso Nazionale della Società scientifica della Medicina InternaFADOI

[4] Crea Sanità 2023 – Risorse umane

[5] Univadis Medscape Italia

[6] ANAAO‑ASSOMED Lombardia

[7] Univadis Medscape Italia

[8] ANAOO‑ASSOMED