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Una promessa da 20 miliardi non basta a fare decollare le CER


Post di Moreno Scarchini, CEO EnergRed –
Cominciamo da qui: l’Italia ha, in materia di CER (Comunità energetiche rinnovabili), la normativa più avanzata d’Europa e ogni euro investito sul nostro territorio ne genera quattro. Un potenziale di almeno 20 miliardi di euro a cui serve un modello scalabile, trasparente ed inclusivo. Nel 2024 il nostro Paese ha dato un grande esempio di adesione ai piani UE in materia, promulgando una normativa avanzatissima, grazie all’esperienza nel campo infrastrutturale (reti di trasmissione e distribuzione), tecnologica e di servizi che ci ha reso leader mondiali nel mondo dell’energia ed in particolare di quella elettrica e sostenibile.
Abbiamo infatti una tariffa premiale, variabile a seconda della zona e della taglia dell’impianto, per chi investe nella produzione di rinnovabili secondo il nuovo concetto di energia condivisa. Chiare le regole: la CER, come soggetto giuridico, può includere semplici cittadini, imprese così come pubbliche amministrazioni, in assenza di scopo di lucro, nel perseguimento di benefici ambientali, economici e sociali per il territorio, principi di democraticità, libertà di adesione e trasparenza. Ma soprattutto dal meccanismo di valorizzazione della comunità: l’incentivo premia i piccoli impianti (fino a 1MWp) e la circolazione dell’energia in uno spazio ristretto, portando più sostenibilità e risorse per il territorio ed evitando un sovraccarico alla rete nazionale.
In questo momento, i prezzi di mercato dell’energia lo vedono assestarsi tra i 108 €/MWh e i 138 €/MWh, ma il decreto ha già previsto di raggiungere un contingente di potenza installata di 5 gigawatt entro il 31 dicembre 2027: un potenziale di investimenti pari ad almeno 5 miliardi di euro e che secondo noi genererà altri 20 miliardi di euro di valore tra rendimenti redistribuibili agli investitori (anche di matrice crowd), flussi netti per i produttori (derivanti dalla vendita di energia alla rete), flussi netti per i consumatori e gli associati alle CER (derivanti dalla tariffa premio erogata), inclusi i flussi per i servizi di gestione amministrativa e tecnologica delle CER medesime.
Di questi, al netto del costo delle infrastrutture, almeno 20 miliardi rimarranno ad operatori e maestranze italiane nei prossimi 20 anni.
Sono davvero numeri sorprendenti destinati ad avere un impatto economico tremendo per i territori ed il loro sviluppo sostenibile, nonché per l’evoluzione del mercato, anche del lavoro legato alla sfera ESG. Senza contare che ancora parliamo di una piccola frazione (circa il 6,2%) del totale fotovoltaico che si vuole installare al 2030, ed ancora più inferiore (circa 3,6%) del totale di 138 GWp di potenza rinnovabile prevista dai nostri piani nazionali (PNIEC). Immaginiamo se tale modello fosse spinto a rappresentare il 20% o il 30% del totale di sviluppo.
Eppure, a poco più di due anni dalla fine del percorso tracciato, in Italia si contano 768 configurazioni CACER (configurazioni per l’autoconsumo e la condivisione dell’energia rinnovabile) per una potenza totale installata di soli 50 MWp, di cui il 45% CER*. Un incremento importantissimo rispetto al 2024, ma ancora pochissime rispetto alle potenzialità. Inoltre, la taglia mediana si attesta a soli 20 kWp per le prime e 22 kWp per le seconde con una mediana di 5 utenze coinvolte a configurazione: si tratta di realtà estremamente piccole che se da una parte testimoniano i benefici dell’iniziativa anche su scala ridotta, dall’altra confermano le difficoltà a “scalare” lo sviluppo per esaurire il contingente a disposizione.
È fondamentale lavorare insieme per capire come scalare e far sì che l’esperienza delle CER non rimanga una periferia della transizione energetica, costruendo tavoli allargati per promuovere l’adesione alle CER senza dimenticare di lavorare alla più giusta redistribuzione dell’incentivo tra produttori, anche terzi, e consumatori. Il rischio che intravedo è che sviluppatori o società dotate di risorse finanziarie approfittino letteralmente degli spazi comunitari (fisici ed economici) per lucrare sulle infrastrutture, impoverendo le possibilità residue per gli associati, svilendo di fatto così i giusti e saggi propositi del legislatore. Le comunità energetiche sono una vera e propria “chiamata a mettere la propria energia in comune”. E si può ben dire che saranno le persone a fare la differenza per rendere un successo questo importante capitolo della transizione energetica in Italia.
*Fonte: Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano