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PFAS, Italia al bivio tra veleni invisibili e corsa all’innovazione


Post di Paolo Dellachà, Amministratore Delegato di Industrie De Nora –
Nel cuore della chimica moderna si nasconde una minaccia silenziosa, persistente e globale: i PFAS. Di cosa si tratta e, soprattutto, perché rappresentano un pericolo?
Le sostanze per- e polifluoroalchiliche, note anche come “forever chemicals”, sono composti sintetici utilizzati da decenni in una miriade di applicazioni industriali e commerciali. Dalle pentole antiaderenti ai tessuti impermeabili, dai cosmetici ai rivestimenti industriali, i PFAS hanno rivoluzionato il modo in cui viviamo, offrendo soluzioni resistenti all’acqua, al calore e agli agenti chimici. Ma proprio questa resistenza è ciò che li rende pericolosi: non si degradano facilmente, si accumulano nell’ambiente e nel corpo umano.
La loro diffusione è talmente capillare che i PFAS sono stati ritrovati persino nel sangue umano, a causa dell’ingestione di acqua e cibo contaminati, ma anche tramite inalazione e contatto con prodotti contenenti queste sostanze. In questo caso, gli effetti sulla salute sono molteplici e particolarmente preoccupanti. Studi recenti hanno dimostrato che anche concentrazioni molto basse possono avere impatti significativi, soprattutto nei bambini, più vulnerabili per via della fase critica di sviluppo.
PFAS minaccia globale (ed evoluzione normativa)
Negli ultimi anni, la comunità internazionale ha intensificato gli sforzi per regolamentare i PFAS. Dal punto di vista sanitario, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato il PFOA come “possibile cancerogeno per l’uomo”. Negli Stati Uniti, l’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) ha proposto limiti più stringenti nelle acque potabili e ha avviato azioni legali contro le aziende produttrici, mentre in Europa alcune tipologie di PFAS sono già vietate e c’è un fermento regolatorio in questo senso.
In Italia, il tema è esploso con forza nel 2013, quando uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità ha rilevato la contaminazione delle falde acquifere in un’area di circa 300.000 abitanti tra Padova, Vicenza e Verona. La fonte era una grande azienda chimica locale, che per anni aveva scaricato PFAS nei corsi d’acqua locali. La conseguenza è stato un lungo processo penale, concluso nel 2025 con 11 ex dirigenti condannati e 300 famiglie risarcite.

Le università e i centri di ricerca italiani sono già impegnati nello sviluppo di tecnologie all’avanguardia per scongiurare il problema dei PFAS (designed by Freepik)
Un caso emblematico, ma non isolato: simili situazioni sono state documentate ad esempio in Toscana, nella zona di Prato, che ha mostrato livelli elevati di contaminazione legati all’industria tessile. In Piemonte, la provincia di Alessandria è sotto osservazione per la presenza di impianti chimici. In Lombardia, sono in corso monitoraggi in aree industriali del milanese e del lodigiano. La bonifica dei siti inquinati è tecnicamente complessa e costosa, e la mobilità dei PFAS implica che, anche in caso di cessazione delle emissioni, essi rimarranno nell’ambiente per generazioni.
Il quadro regolatorio nazionale relativamente al tema PFAS è oggetto di forti evoluzioni. È recente l’introduzione del Decreto Legislativo 102/2025, entrato in vigore il 19 luglio di quest’anno, relativo alla qualità delle acque destinate al consumo umano. Le novità più rilevanti riguardano l’aggiornamento dei parametri di qualità, l’introduzione di nuovi obblighi per i materiali a contatto con l’acqua potabile, il rafforzamento delle misure di autocontrollo e gestione del rischio.
Rischi e opportunità per l’Italia
La situazione italiana è complessa e stratificata. Da un lato, il Paese è tra quelli più colpiti in Europa, con casi di contaminazione diffusa e impatti sanitari documentati. Dall’altro, l’Italia ha dimostrato una capacità di risposta normativa e giudiziaria significativa, come dimostra la sentenza sopra citata e l’adozione del D.Lgs. 102/2025 appena citato.
In questo contesto le aziende giocano un ruolo cruciale. La transizione verso un’economia PFAS-free non può prescindere dall’impegno del settore privato. Alcune imprese hanno già avviato la revisione dei processi produttivi, eliminando i PFAS dove possibile e investendo in materiali alternativi. Particolarmente proattive in questo senso sono l’industria tessile, l’industria cosmetica e il comparto alimentare.
Il futuro dei PFAS in Italia dipenderà dalla capacità di coniugare rigore scientifico, volontà politica e impegno industriale. La pressione pubblica è in crescita, alimentata anche da movimenti civici che hanno portato il tema all’attenzione nazionale. I consumatori chiedono prodotti sicuri e sostenibili, e le aziende che sapranno rispondere a questa domanda saranno premiate dal mercato.
Esiste però un lato positivo della medaglia: le opportunità derivano dalla possibilità di trasformare una crisi ambientale in un volano per l’innovazione. Le università e i centri di ricerca italiani sono già impegnati nello sviluppo di tecnologie all’avanguardia per scongiurare il problema dei PFAS. Anche i grandi player industriali possono dare un contributo positivo