Il Malawi con i minerali rari riaccende la sfida tra Cina, Usa e Ue

scritto da il 08 Ottobre 2025

Post di Mario Di Giulio, responsabile Africa Desk dello studio legale Pavia e Ansaldo e professore a contratto di Law of Developing Countries all’Università Campus Bio-Medico di Roma – 

In Malawi si sono da poco concluse le elezioni che hanno condotto alla vittoria di Peter Mutharika, 85nne, già presidente nel mandato conclusosi nel 2020. La rielezione, non contestata, giunge nonostante il fatto che, nel 2019, la Corte suprema del Malawi abbia annullato proprio l’elezione di Mutharika a causa di comprovati brogli elettorali.

Altro particolare da notare è che, a darne la notizia, a spoglio non ancora concluso, è stato proprio il presidente uscente, Lazarus Chakwera, quasi sollevato, come qualcuno ha commentato, che a vincere non fosse stato lui.

La situazione economica del paese è infatti assai precaria e le sfide che si pongono non sono di facile soluzione e possono avere riflessi anche su noi europei nell’approvvigionamento dei minerali rari.

Bastano alcuni dati: i tre quarti della popolazione (che è composta da circa 21 milioni di persone) vive in condizioni di assoluta povertà’. L’inflazione, quasi al 30%, erode poi il potere di acquisto in maniera drammatica, creando potenziali situazioni d’instabilità.

Nello stesso tempo, il Malawi sta assumendo sempre più un ruolo rilevante a livello geopolitico, grazie ai minerali strategici. Non solo esso può vantare, infatti, uno dei più grandi giacimenti di terre rare del mondo (progetto Kagankunde gestito dall’australiana Lindian Resources), ma anche la presenza di uranio (la cui estrazione è ripresa ha seguito della lievitazione  del relativo prezzo), di niobio (importante per le leghe di acciaio inossidabile e per le componenti utilizzate per le energie pulite) e di titanio (importante per l’industria aeronautica).

In Malawi si trova, inoltre, il deposito di terre rare denominato Songwe Hill. Esso è stato dichiarato tra gli obiettivi strategici dell’Unione Europea ai sensi del Critical Raw Materials Act ed è stato recentemente finanziato dalla U.S. International Development Finance Corporation, come dichiarato dalla Mkango Resource (società canadese) che ha la concessione per lo sfruttamento.

minerali rari

Mappa dell’Africa centro-meridionale. In rosso il Malawi (Wikimedia Maps)

Il tema che si pone, dunque, è se e come tanta ricchezza avrà un impatto sull’economia del paese e a quali scenari possa condurre, non potendosi dare per scontato che essa sarà distribuita in modo tale da eliminare la povertà e non creare tensioni civili, con riflessi distorsivi anche per quanto riguarda il mercato dei minerali rari.

Condizioni economiche precarie insieme all’esistenza di smisurate ricchezze possono difatti causare quella instabilità che è la condanna di regioni ben più floride, quali ad esempio la Repubblica Democratica del Congo che, sebbene ricchissima di risorse naturali, ha uno dei redditi pro capite tra i più bassi dell’Africa (circa 555 dollari USA nel 2024, un importo non dissimile da quello del Malawi che riscontra, nello stesso anno, 552 dollari statunitensi).

La centralità del Malawi nel contesto internazionale è dimostrata anche dall’interesse cinese e dall’ammontare degli investimenti che la Cina si è dichiarata pronta ad eseguire.

Si tratta di circa 12 miliardi di dollari USA, di cui 7 miliardi per lo sviluppo dello sfruttamento delle miniere di titanio nella regione di Salima e 5 miliardi per lo sviluppo di una zona economica esclusiva nella regione di Chipoka, volta alla trasformazione dei minerali e l’efficientamento dei sistemi estrattivi, volta chiaramente a privilegiare la Cina quale beneficiaria delle estrazioni minerarie stesse. Entrambi i progetti non mancano di prevedere aspetti di inclusione sociale e creazione di expertise.

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Lavoratori impegnati nella raccolta di minerali in Africa. Il Malawi sta emergendo come nuovo hub per le terre rare, contese da Cina, USA e UE (foto di Zach Wear su Unsplash)

Se e quanto questi ultimi aspetti saranno effettivamente implementati è lecito dubitarne. Basta pensare al vicino Zimbabwe, dove si alzano le grida dei molti agricoltori costretti a lasciare le proprie terre per un giacimento di litio (elemento utilizzato, tra l’altro, per le batterie) situato nella provincia di Manicaland, in concessione a una società cinese: nel caso di specie, gli agricoltori si lamentano non solo dello spostamento forzato ma anche di avere ricevuto solo un quinto dell’indennizzo che sarebbe loro dovuto, in base a quanto concordato tra il governo dello Zimbabwe e la medesima società cinese.

Qualcosa sulla quale riflettere, non solo per ragioni umanitarie, ma anche perché dovrebbe spingere noi europei ad assumere un diverso approccio, rendendo più stretti i rapporti con i governi e con le popolazioni locali, per assicurare uno sviluppo più rispettoso dell’uomo e garante di relazioni durature anche nel nostro interesse.