Ruling fiscali: il vero dumping europeo che l’Italia non fa

scritto da il 09 Ottobre 2025

Post di Fabio Ciani, Avvocato Tributarista, Fiscalista e Cassazionista, studio legale Ciani Partners – 

La censura sul presunto dumping fiscale dell’Italia, legata all’uso del regime speciale dei “residenti non domiciliati” previsto dall’articolo 24-bis del Tuir, torna ciclicamente a far discutere.

Questo regime, che consente la detassazione dei redditi prodotti all’estero attraverso una flat tax, fu introdotto dal Governo Renzi nel 2017.

L’attuale esecutivo, invece, lo ha reso più restrittivo, aumentando dal 2024 l’imposta dovuta dai beneficiari. Per questo, l’accusa rivolta al Governo appare più una polemica occasionale che una vera denuncia, dato che la misura non nasce oggi ed è stata pensata come strumento competitivo, simile a quello adottato da altri Paesi europei per attrarre capitali e professionisti.

Flat tax: l’Italia non è un paradiso fiscale

Va inoltre ricordato che l’Italia non figura tra i principali paradisi fiscali: nel Corporate Tax Haven Index è solo al 29° posto, dopo Paesi come Francia, Olanda, Svizzera e Lussemburgo.

Tax

Pratiche fiscali aggressive. Le raccomandazioni della Commissione europea hanno riguardato soprattutto Stati come Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo, Irlanda e Olanda (immagine da Freepik)

Parlare quindi di dumping fiscale in ambito UE è fuorviante, soprattutto considerando l’esistenza di regimi agevolati in Paesi come Irlanda e Lussemburgo. La nostra misura non è unica: il Regno Unito, ad esempio, ha previsto meccanismi simili. In Europa non esiste un divieto di fissare aliquote concorrenziali, mentre è nota la pratica di ruling fiscali concessi da Stati come Olanda, Lussemburgo e Irlanda a grandi multinazionali (Amazon, Starbucks, Apple, Google) che hanno così beneficiato di trattamenti selettivi.

L’armonizzazione fiscale europea appare ancora lontana

In realtà, le aliquote nominali d’imposta non corrispondono mai a quelle effettivamente pagate dalle imprese, grazie a deduzioni e detrazioni diffuse in tutta l’Unione. Per questo, una vera armonizzazione fiscale europea appare ancora lontana.

Il regime introdotto dall’articolo 24-bis del Tuir prevede una flat tax di 200.000 euro sui redditi prodotti all’estero, senza applicazione delle aliquote progressive Irpef. Ciò rende l’Italia attrattiva per cittadini ad alta capacità contributiva che trasferiscono la residenza, anche sfruttando i trattati internazionali contro le doppie imposizioni. È un fenomeno strutturale: persone e imprese si spostano dove la fiscalità è più conveniente. L’Italia, come altri Paesi europei, ha esercitato la propria sovranità fiscale in modo analogo all’Irlanda, che già dal 1996 applica un’imposta sulle società al 12,5%.

I Paesi richiamati dalla Commissione europea

Non a caso, le recenti raccomandazioni della Commissione europea hanno riguardato soprattutto Stati come Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo, Irlanda e Olanda, accusati di pratiche fiscali aggressive che attraggono grandi imprese. In questi Paesi, la movimentazione di dividendi, royalties e interessi testimonia un’intensa attività di tesoreria delocalizzata, mentre mancano strumenti efficaci di contrasto al riciclaggio.

Sullo studio verticale della norma di cui all’art. 24-bis del Tuir, si osserva che, la flat tax (200k) copre i redditi prodotti all’estero, individuati ai sensi dell’art. 165 del Tuir attraverso una lettura a specchio dell’art. 23 del Tuir, con l’effetto che, sono esclusi dal regime e saranno gravati delle aliquote Irpef i redditi prodotti in Italia e quelli finanziari su assets esteri ceduti nel quinquennio successivo al trasferimento di residenza.

Che cosa succede alle stock option

Limitatamente a quest’ultimo profilo, ossia i redditi di natura finanziaria percepititi nella qualità di lavoratore dipendente, come le stock option, si osserva che esse, incassate quando è esercitata l’opzione de qua (restricted period) ricadranno nella flat tax essendo redditi prodotti all’estero diversi dai capital gains. La flat tax si applica dunque ai redditi esteri, che così non rientrano nelle aliquote progressive Irpef, le quali continuano a valere solo per i redditi prodotti in Italia.