categoria: Il denaro non dorme mai
AI e finanza: la corsa dei numeri contro il tempo del giudizio


Post di Simone Strocchi, Presidente e Managing Partner di Electa Ventures –
L’industria del risparmio è sempre più dominata da algoritmi che replicano benchmark e liquidità. Ma nella finanza abilitante l’intelligenza artificiale ha un altro scopo: estendere la visione, non sostituirla. Perché il valore, alla fine, lo crea chi sa fermarsi a capire.
Nella finanza quantitativa l’intelligenza artificiale tende a sostituire il gestore. Elabora dati, individua pattern, anticipa andamenti di mercato, ottimizza le posizioni in tempo reale per strappare qualche punto base di vantaggio. È una macchina che corre assetata di volumi, misurando il successo sulla velocità con cui riesce a intuire la direzione di un trend.
Lo vediamo nei fondi UCITS, dove la maggior parte delle strategie è ormai eterodiretta da algoritmi e compliance, fino a diventare omologa a quella degli ETF. La gestione attiva si è ridotta a una gestione automatizzata, priva di giudizio, in cui la logica dell’anticipazione e del volume, impostata su large cap, prevale su quella della selezione. È un modello che ha una sua coerenza, ma anche un limite: l’orizzonte temporale è il gioco concentrato su blue chips.
Nel breve periodo l’AI può ottimizzare la performance; nel lungo, rischia di generare omologazione, amplificando movimenti già noti, gonfiando picchi e contrazioni e sterilizzando la capacità di distinguere ciò che ha valore intrinseco da ciò che è solo momentaneamente in tendenza. Si finisce così per confondere la volatilità con il valore, l’efficienza con il senso.
Nella finanza abilitante, invece, il paradigma è opposto. Qui l’intelligenza artificiale non sostituisce, ma estende. Non si tratta di automatizzare la decisione, ma di ampliare la comprensione.
L’AI diventa un acceleratore di inquadramento del contesto e delle persone: consente di leggere in modo più profondo e immediato bilanci, filiere, margini, rischi di governance, ma anche di ricostruire in pochi istanti il profilo degli interlocutori, la coerenza dei loro percorsi industriali e le dinamiche settoriali. È uno strumento che complementa il giudizio umano, lo rende più informato e più esigente. Non toglie complessità, ma la rende leggibile. Non impone scelte, ma consente di maturarle con maggiore consapevolezza.
La finanza abilitante, per sua natura, non vive di segnali, ma di costruzione. Lavora su imprese reali, dove contano i fondamentali, la reputazione, la capacità di generare margini, valore aggiunto nazionale e occupazione. In questo ambito, l’AI è utile se restituisce tempo all’analisi, se aiuta a distinguere ciò che è sostenibile da ciò che è solo brillante.
È utile se diventa un moltiplicatore del tempo umano, non un sostituto della responsabilità. Ma perché questo accada, serve una vera governance dell’intelligenza artificiale. Non bastano regole sulla privacy: servono modelli spiegabili, tracciabilità dei flussi informativi, custodia dei dati in Europa e criteri di utilizzo che tengano conto del nostro interesse industriale e civile. Una finanza paziente, fondata su conoscenza e tempo, non può essere consegnata a logiche che privilegiano la velocità e l’anonimato.
In sintesi, l’AI in finanza, come nella maggior parte degli ambiti, può essere due cose: o un sostituto del giudizio, o un amplificatore del discernimento. Nella gestione quantitativa prevale la prima, perché il fine è anticipare. Nella finanza abilitante vale la seconda, perché il fine è costruire.
L’innovazione, come il capitale, è neutra: acquista senso solo in base al fine che le diamo. E in questo fine – la scelta di costruire valore reale, di far crescere imprese e comunità – la differenza resta tutta umana.
Simone Strocchi
Imprenditore e investitore, fondatore di Electa Ventures, Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. Ha introdotto in Italia strumenti innovativi come le SPAC e i veicoli pre-IPO, promuovendo la crescita di aziende come Sesa, Pharmanutra, Digital Value e Italian Wine Brands.