L’Euro digitale e il paradosso del Gold Standard

scritto da il 23 Ottobre 2025

Post di Roberto Rivera, Chairman e CEO di RIV Capital – 

L’idea di un euro digitale ha riacceso il dibattito sulla sovranità monetaria europea nell’era post-fiat, cioè oltre la classica moneta a corso legale nelle varie nazioni. Nel suo recente contributo su “Il Sole 24 Ore”, il Professor Stefano Caselli ha colto con lucidità il nodo centrale della questione: riportare il cittadino — e non la burocrazia — al centro della progettazione monetaria. Ma proprio questa visione, tanto condivisibile nei principi, rischia di trascurare l’aspetto più strutturale e meno percepito del problema: la natura e la gestione delle riserve.

1.  L’assenza della dimensione “riserve”

Il dibattito sull’euro digitale tende a concentrarsi su user experience, privacy e fiducia, dimenticando che ogni architettura monetaria è, prima di tutto, un’architettura di riserve. Senza una definizione chiara del reserve backing, cioè di che tipo di asset può essere utilizzato come riserva di garanzia, non è possibile determinare se l’euro digitale sarà una forma di base monetaria (base money), una stablecoin collateralizzata (una criptovaluta progettata per mantenere un prezzo stabile, il cui valore è legato a un asset specifico e reale) o un mero token contabile (ovvero una rappresentazione digitale di un asset).

euro digitale

“L’euro digitale rischia di essere un gold standard tokenizzato” (immagine da Freepik rielaborata con AI)

Nel modello “intermediato” della BCE, il wallet del cittadino resta ancorato al sistema bancario commerciale: una struttura derivata che ricrea la stessa fragilità sistemica sotto una veste digitale. Nel modello alternativo proposto da Caselli, non è specificato se le riserve siano detenute presso la BCE o presso intermediari privati: in entrambi i casi, il risultato è una moneta passiva, incapace di generare valore.

2.  Il paradosso del “digitale = gold standard”

Una stablecoin collegata (peggata) rigidamente all’euro — o a qualunque valuta fiat — ricrea un vincolo analogo al vecchio gold standard. La riserva fissa limita la quantità di moneta in circolazione e nega la funzione anticiclica della politica monetaria. Il risultato è una digitalizzazione del passato, non un’evoluzione del futuro: un ritorno alla rigidità monetaria travestito da innovazione tecnologica.

“Digitale” non è sinonimo di “evoluto” se la logica sottostante rimane quella del collateral immobilizzato. In questo senso, l’euro digitale rischia di essere un gold standard tokenizzato: perfettamente tracciabile, ma sterilmente neutro.

3.  Verso una riserva generativa

Una possibile alternativa è rappresentata dai sistemi a riserve attive, in cui la collateralizzazione non è statica ma performante. Nel caso per esempio del RIVCoin, la riserva è custodita (vaulted) e investita in una strategia integrata che unisce finanza centralizzata (CeFi) e decentralizzata (DeFi) con rendimento medio storico del 20% annuo, gestita dal RIV Capital SICAV-RAIF (Lussemburgo). Il meccanismo di signoraggio redistribuito ai liquidity providers trasforma la riserva da elemento di garanzia a motore di valore, rendendo la moneta non solo stabile, ma produttiva. Questo approccio — in cui la moneta è al contempo strumento di pagamento e asset di rendimento — rappresenta una sintesi tra fiducia pubblica e efficienza privata, tra sovranità e partecipazione.

4.  Conclusione

L’euro digitale non deve limitarsi a essere “un euro più comodo”. Deve diventare una nuova forma di moneta europea capace di generare valore, non solo di custodirlo. Senza una riflessione sulle riserve, ogni disegno digitale rischia di essere un elegante ritorno all’oro. Con riserve attive, invece, l’Europa può finalmente superare il paradigma del pegged e inaugurare quello del performing.

Nota: questo contributo nasce da un confronto aperto e costruttivo con il Professor Stefano Caselli e dal lavoro di ricerca in corso presso RIV Capital Group e RIV Academy sul tema “CeFi/DeFi Integration and the Future of Digital Sovereignty.”