Con l’AI la bolla è diventata sistema

scritto da il 24 Ottobre 2025

Le bolle, è noto, si riconoscono dopo. Nel Seicento olandese, durante la “tulipmania”, i bulbi più rari toccarono prezzi ben superiori al reddito annuo di un artigiano. Durò pochi mesi (1636–1637), poi il mercato crollò in pochi giorni. Nell’Ottocento, le ferrovie britanniche si espansero finanziandosi a debito finché fallirono banche e risparmiatori. Nel 2000, bastava aggiungere “.com” al nome per pretendere valutazioni milionarie. Oggi tocca all’intelligenza artificiale. Cambia la tecnologia, non il copione: l’innovazione diventa aspettativa, e l’aspettativa diventa aumento di prezzo. La differenza è che oggi la bolla non scoppia: si cronicizza, sostenuta da liquidità, leva e fede cieca nelle capacità di salvataggio delle banche centrali.

Due mercati, due storie

Le azioni delle grandi piattaforme AI sono ai massimi; i rendimenti dei titoli di Stato a lunga scadenza tendono a scendere all’annuncio di nuovi modelli. Se il mercato credesse in crescita diffusa, i tassi salirebbero. Il messaggio è semplice: l’equity scommette su profitti concentrati; il mercato dei bond sconta crescita modesta e lontana.

Anche le istituzioni parlano più chiaro del solito: “valutazioni oltre i fondamentali”, “rischio di correzioni brusche e disordinate”. Eppure l’ottimismo regge. Gli investitori contano sulla “rescue squad” di politica monetaria: tagli rapidi dei tassi, acquisti di asset, backstop d’emergenza. Da quindici anni ogni crisi si cura con più liquidità; “comprare il ribasso” non è un adagio, è un modello operativo. Finché dura la fiducia, funziona.

La crescita che non si vede

L’AI viene presentata come la prossima rivoluzione della produttività. A livello micro ci sono segnali: alcuni casi d’uso riducono tempi e costi. A livello macro, però, la produttività non sembra decollare. Mancano statistiche sistematiche su chi usi davvero l’AI, in quali processi, con quali effetti su occupazione, salari, margini, e a quali costi in termini di energia. Finché questa contabilità non esiste, confonderemo trasformazione e narrativa.

In più, se i guadagni si concentrano nei grandi player, la produttività media di sistema resta piatta. In molti comparti la spesa digitale è una gara a somma zero (contenzioso, marketing, pricing algoritmico). Per esempio, se due studi legali usano modelli sempre migliori, l’efficienza operativa sale; il reddito aggregato no. Molte innovazioni, abbassando i prezzi, migliorano il surplus del consumatore più del PIL. Da qui la frattura: il mercato dei capitali vede “il potenziale”; le statistiche economiche colgono poco impatto.

L’AI non è solo software: è cemento, silicio ed elettricità

L’AI non è soltanto codice: è un progetto fisico. Data center, chip, reti elettriche, contratti di fornitura pluriennali. Nei prossimi anni servirà un’ondata di investimenti in potenza elettrica e di calcolo: migliaia di miliardi entro il 2030 fra infrastrutture digitali e rete. Il collo di bottiglia non è il capitale, è l’energia: la domanda dei data center cresce più della capacità installata e della rete. Per questo le big tech firmano contratti di acquisto (PPA) ventennali, studiano micro-reti energetiche di accumulo locale (“dietro al contatore” – BTM), mettono sul tavolo progetti di nucleare modulare. L’AI non si alimenta solo di dati: si alimenta di kilowatt e di debito.

Rispetto al 1999, alcuni fondamentali sono più solidi. I leader dell’AI hanno utili, cassa, piattaforme. Non ci sono migliaia di start-up senza prodotto. E la spesa infrastrutturale, paragonata a rivoluzioni precedenti, non è ancora ai picchi storici.

La leva che non si vede

I costi fissi sono importanti. Se la curva dei ricavi attesi rallenta, le spese restano. La finanza “spalma” il rischio: leasing di capacità, cartolarizzazioni legate ai flussi dei data center, joint venture tra fondi pensione, REIT, private credit e utility.

Sotto la superficie, l’indebitamento cresce. La leva dei fondi speculativi è su livelli storicamente elevati (oltre 6.200 miliardi di dollari di prestiti); l’esposizione bancaria verso soggetti non bancari è ampia (più di 1.100 miliardi di dollari). Le stesse banche che alimentano il credito privato finanziano la costruzione dei data center che, a loro volta, generano domanda per chip e cloud.

Fuori dall’ambito bancario, il circuito è ancor più incestuoso: il produttore di chip investe nella compagnia di software; la compagnia di software paga il fornitore cloud; il fornitore cloud compra i chip. Finché i flussi di cassa rispettano le attese, la catena regge.

Bolla

Da bolla a sistema: l’euforia dell’AI si trasforma in ingranaggio del mercato, dove l’innovazione diventa struttura e la finanza meccanismo di sostegno permanente (immagine generata da AI)

Se l’AI delude, la produttività non arriva e la politica monetaria resta l’unico faro, l’equilibrio si regge su aspettative, non su redditi. Nel 2008 la leva era concentrata nei mutui; oggi è meno visibile, ma forse più estesa. Il rischio non sparisce: si distribuisce. Funziona finché funziona. Poi, scattano vendite forzate e margin call.

Mercati ad alta correlazione

Il sistema finanziario è più interconnesso che mai e la diversificazione è meno utile di quanto sembri. Azioni, bond e crypto si muovono (troppo spesso) insieme, alimentati dalla stessa narrativa di tecnologia e liquidità. Sono a leva anche strumenti apparentemente innocui: ETF sintetici, stablecoin garantite da T-bill, fondi di credito privato. Un’onda d’urto su un comparto può propagarsi rapidamente agli altri.

Tre mosse di buon senso

Non servono nuove regole, ma vecchie virtù.

  1. 1. Trasparenza sulla leva. I regolatori devono pubblicare, con cadenza regolare, dati aggregati e comparabili su margin debt, repo e prestiti dei dealer ai fondi, linee bancarie al credito privato, finanziamenti ai data center lungo la catena; più disclosure sulla composizione delle riserve delle stablecoin. Sapere dov’è il rischio è la prima difesa.
  2. 2. Incentivi misurabili. Se l’AI è strategica, fondi pubblici e benefici fiscali devono dipendere da metriche ex ante: produttività per addetto, adozione nei settori non-tradable, tempi di diffusione, intensità energetica per unità di servizio. Premi a chi aumenta produttività e occupazione, non a chi gonfia la capitalizzazione.
  3. 3. Restituire un prezzo al tempo. Tassi strutturalmente troppo bassi non stimolano l’innovazione: la distorcono. Il costo del capitale deve tornare a selezionare progetti e valutazioni. Senza prezzo del tempo, ogni valutazione è una scommessa.

Il problema non è l’AI: è l’ecosistema che la finanzia

Leva alta, liquidità perenne, fiducia nel salvataggio delle banche centrali. La bolla è diventata sistema, un equilibrio politico-finanziario che preferisce la liquidità al ciclo, la protezione al rischio. Può durare a lungo. Finché la crescita resterà un effetto collaterale della liquidità, la bolla non scoppierà: continuerà a cambiare forma. Più dura, più costoso sarà tornare alla realtà. La cura è semplice sulla carta, difficile da mettere in atto: misura, responsabilità energetica e finanziaria, e piedi nel mondo reale.

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