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L’AI funziona davvero solo se cambia la cultura aziendale

Post di Enrico Bellinzona, General Manager Large Corporate, Deda Bit –
Gli investimenti in AI generativa hanno raggiunto un valore nell’ordine dei 30-40 miliardi di dollari. L’80% delle aziende ha sperimentato o fatto progetti con ChatGPT e Copilot, il 40% è passato all’adozione nell’operatività quotidiana. L’hype verso la nuova frontiera tecnologica si è trasformata in una scommessa concreta e consistente, che però non sembra produrre gli effetti sperati. I risultati sono ampiamente al di sotto delle attese: solo il 5% delle aziende ha concretizzato benefici misurabili, il restante 95% non ha prodotto un ritorno sugli investimenti reale e visibile.
La realtà dell’AI fotografata dal Mit
La fotografia fatta dal Mit in un recente report sullo “State of AI in business” non lascia molto spazio alla speranza: l’AI ha indotto trasformazioni strutturali solo in due settori – media-telecom e servizi professionali -, sugli otto che ne hanno avviato l’adozione, le grandi imprese guidano le sperimentazioni ma faticano nello scalare i progetti, gli investimenti si focalizzano su funzioni più visibili senza intaccare quelle di back-office a più alta potenzialità di Roi. In uno slogan utilizzato nel report per sintetizzare la situazione: “High adoption, low transformation”.
Siamo forse arrivati al momento della disillusione rispetto all’AI generativa, tanto da parlare di un “Gen AI divide”, di una frattura insidiosa tra la realtà e le illusioni?
A un esame superficiale si potrebbe concludere che sì, forse l’hype è stata eccessiva, che la tecnologia è stata caricata di responsabilità e attese esagerate, che la bolla si sta sgonfiando.
Un errore: mirare a risultati immediati
L’analisi dei business case di successo dimostra che la tecnologia è assolutamente in grado di mantenere le promesse e di realizzare progressi visibili in termini di efficienza che si tramutano in risultati misurabili e in vantaggi competitivi che possono fare la differenza in un mercato in continua trasformazione.
Proprio i casi di successo delle aziende che hanno fatto scelte adeguate dimostrano che l’AI generativa ha un potenziale di disruption in grado di produrre efficienze e rivoluzionare interi processi, trasformando i dati in conversazioni e istruzioni che possono sciogliere le complessità. Tanto più in vista di quello che è il nuovo stadio di evoluzione, quello dell’AI agentica, fatto di strumenti in grado di gestire processi e prendere decisioni in maniera autonoma, nell’ambito di funzioni molto specifiche e verticali.
Il nodo che può colmare il “divide” è legato all’approccio utilizzato finora, troppo mirato a singole funzioni e a risultati immediati di efficienza limitati ai settori più in vista. Non è un caso che l’adozione dell’AI generativa si sia concentrata sulla componente di sales & marketing, tipicamente sotto forma di assistenti virtuali per l’help desk e per supporto alla funzione, senza, però, incidere in profondità sui processi e sull’intera struttura aziendale nel suo complesso.
Imparare dalla lezione del passato
D’altra parte, è ciò che è già successo con la digitalizzazione e l’avvento di Internet: ci sono voluti almeno un paio di decenni per comprendere che il cambiamento non si esauriva nell’acquisto di un pacchetto software, e nella creazione di un sito web, ma richiedeva un percorso di digital transformation che coinvolgesse l’intera struttura e tutti i processi dell’azienda, dalle grandi, fino alle più piccole.
Lo stesso sta avvenendo anche con l’AI generativa. La lezione del passato ci permette di risparmiare tempo e risorse, imparando in mesi e non in anni. Anche con la nuova tecnologia siamo arrivati a un momento cruciale che impone un cambio di paradigma: passare dalla mera adozione di strumenti alla disruption dei modelli organizzativi basata su una ridefinizione strategica, e che parta dalla costruzione di un percorso che ribalti completamente il mindset aziendale.
L’AI non porta valore senza un cambamento culturale
In parallelo al ridisegno dei processi, serve un cambiamento altrettanto profondo nella cultura aziendale. L’AI generativa non porta valore se le persone continuano a ragionare secondo modelli tradizionali: occorre favorire un mindset aperto alla sperimentazione, alla collaborazione uomo-macchina e all’apprendimento continuo. La vera trasformazione avviene quando i team si fidano dei dati e integrano l’AI nel modo di pensare, non solo negli strumenti che usano.
Lo sottolinea anche il Mit: la barriera alla scala non è l’infrastruttura, la regolamentazione o il talento, ma la cultura, la capacità di imparare, come, peraltro, fanno gli stessi modelli di GenAI che non si fermano al feedback, ma si adattano al contesto e migliorano con l’esperienza. Ecco, questo è il passaggio cruciale per mettere a terra integralmente le reali potenzialità dell’AI generativa.
Il nuovo approccio messo alla prova
Per fare un esempio abbiamo applicato questo approccio con un’azienda con enormi repository documentali adottando un sistema dinamico o di Agentic AI e di “retrieval augmented generation” per verifiche automatiche di clausole normative e contrattuali, con il risultato di passare da un contratto certificato in tre giorni/uomo a uno in un minuto. Il che, allo stesso tempo, non comporta la riduzione della forza lavoro, ma la realizzazione di una maggior efficienza basata sulla velocità di analisi dei dati che impone comunque una validazione finale dell’essere umano, che rimane imprescindibile.

L’intelligenza artificiale diventa leva di trasformazione solo se integrata nei processi e nella cultura aziendale (immagine da Freepik)
Ancora più evidente è l’applicazione a settori industriali, dove la mole di dati prodotte dalle macchine diventano linguaggio, in grado di facilitare la comunicazione. In questo ambito, abbiamo sviluppato strumenti per il knowledge management che raccolgono manuali, report tecnici e richieste dei clienti integrandoli in una base coerente grazie all’AI generativa. Si crea così un dialogo continuo tra conoscenza umana e dati di macchina, con effetti tangibili in termini di produttività ed efficacia.
Concretizzare l’AI generativa
Non bisogna inseguire ciecamente l’ultimo modello di GenAI: lo strumento ottimo e utile ma sterile se non si accompagna a un cambio di paradigma che coinvolga l’intera azienda.
Difficile fare da soli, anche con un management illuminato serve una collaborazione strutturata con provider di soluzioni capaci di accompagnare l’innovazione.
Anche questi ultimi devono cambiare paradigma, trasformandosi da aziende code-based a partner che sfruttano l’intelligenza artificiale e le reti neurali per fornire ai clienti insight importanti, non soluzioni già pronte: il co-pilota agentico deve trasformarsi in capacità di co-evoluzione con le aziende.
Solo così quella proporzione del 95%-5% può cambiare verso, dando spazio a una grandissima maggioranza di aziende in grado di concretizzare l’AI generativa in termini di redditività e ritorno sugli investimenti.