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Quasi quasi mi faccio “in dual”

Post di Silvano Joly, Director – Strategic Business Advisory di Deloitte.
“Quasi quasi mi faccio uno shampoo…” cantava Giorgio Gaber nel 1972, ironizzando sull’incertezza esistenziale e sulla necessità di cambiare, evolvere, adattarsi. Una parafrasi canora di quanto teorizzava Darwin a proposito del mondo animale. Oggi, più di cinquant’anni dopo, anche le aziende italiane sembrano trovarsi davanti allo stesso dilemma: un mercato che cambia, nuove sfide e mercati, lo Spazio come nuova frontiera e prospettiva futura, e il mondo militare e della difesa sempre più attivo. Forse, Mister G oggi canterebbe: “Quasi quasi mi faccio in Dual.”
Quando le imprese non cambiavano mestiere
C’è stato un tempo in cui le imprese nascevano con un’idea chiara e vi restavano fedeli per generazioni. Nel grande come nel piccolo: un’officina metalmeccanica produceva pezzi per auto, una fonderia continuava a colare acciaio, un lanificio filava come Berta per secoli. Chi faceva pistoni e chi faceva bicchieri. Al massimo si aggiungeva una linea di lavorazione, si acquistava un fornitore per ampliare la gamma di offerta, si modernizzava un impianto per diminuire il time-to-market o si delocalizzava in Far East. Ma era rarissimo che un’azienda nata per l’automotive decidesse di puntare, per esempio, all’aeronautica, figuriamoci allo spazio. La traiettoria industriale era una linea retta, non una curva di apprendimento, un po’ come nelle carriere, come mi capitò di scrivere nel 2019, sempre qui su Econopoly: «Chi crede ancora al lungo periodo?».
Si cambia galassia: dal cofano al satellite
Oggi quella linearità sembra pronta a saltare, o forse deve saltare. La crisi delle catene di fornitura, la transizione elettrica, la pressione geopolitica e digitale stanno riscrivendo le regole del gioco. Ed è qui che entra in scena il concetto di dual-use: le tecnologie a doppio impiego, civile e militare (o spaziale). Come spiega bene il SRV (Centro Strategico Sicurezza Rischio Vulnerabilità) dell’Università di Genova, il termine Duplice Uso (Dual-Use) si riferisce a prodotti, software e tecnologie che, sebbene primariamente concepiti for scopi civili, possiedono anche un potenziale per essere impiegati nella fabbricazione, nello sviluppo o nella manutenzione di armi di distruzione di massa o di vettori missilistici. A causa di questo potenziale, l’esportazione di tali prodotti è rigorosamente disciplinata a livello internazionale.
Da qualche anno, molte PMI italiane della meccanica, tanto al Nord quanto al Sud, stanno pensando di “farsi in dual”: riconvertendo competenze, macchinari e know-how da settori maturi come l’Automotive a mercati in crescita come aerospazio, difesa, energia e spazio. Un tornio di precisione, in fondo, non sa se sta lavorando per un motore d’auto o per un satellite. Così come il know-how di un tecnico specializzato nel controllo qualità o nella saldatura laser, maturato in decenni di lavoro nel settore automobilistico, può essere riqualificato con un breve percorso di formazione aggiuntiva (ad esempio, sulle certificazioni specifiche Aerospace come la AS9100) per servire il nuovo mercato. Il passo in termini di conoscenze tecniche di base non è lungo. Lo stesso vale per logistica e processi: si può adattare la gestione del magazzino e i processi produttivi per garantire la tracciabilità completa e la separazione dei lotti, necessarie per i settori ad alta criticità come la Difesa, passando da una catena di fornitura ottimizzata per il volume a una ottimizzata per la precisione e l’affidabilità assoluta.
Il tessuto industriale italiano è il terreno ideale per questa metamorfosi. La cultura della meccanica fine, l’artigianalità tecnologica e la flessibilità delle PMI sono asset perfetti per il doppio uso. Così nascono iniziative nei distretti lombardi, piemontesi ed emiliani per favorire la riconversione produttiva. Centri come il Kilometro Rosso di Bergamo, il Polo Meccatronica di Rovereto e il Competence Center CIM4.0 di Torino stanno già formando tecnici e ingegneri “bivalenti”.
C’è chi ce l’ha fatta
Alcune imprese il salto orbitale lo hanno già realizzato:
- UmbraGroup (Perugia): da viti e cuscinetti per macchine utensili ad attuatori elettromeccanici per Boeing e Leonardo.
- Breton S.p.A. (Treviso): da macchine per la lavorazione del marmo a sistemi per componenti aerospaziali.
- Eles (Terni): dai test elettronici per il settore civile ai sistemi per l’aerospazio e la difesa.
- Sitael (Bari): dall’elettronica industriale ai microsatelliti e propulsori elettrici.
- OMI – Officine Meccaniche Irpine (Avellino): da componenti per automobili a strutture in titanio per il settore aeronautico.
Questi casi mostrano come “farsi in dual” non sia un salto nel vuoto, ma un’evoluzione naturale per chi sa trasformare la propria esperienza in tecnologia.
I vantaggi (e le sfide) di una doppia vita
I vantaggi sono evidenti, ma vale la pena elencarli, perché a volte sono proprio le cose ovvie a sfuggire nelle situazioni di emergenza e panico:
- Diversificare i mercati, riducendo la dipendenza da settori maturi.
- Innovare, grazie ai fondi europei e alle collaborazioni con università e centri di ricerca.
- Salire di livello: da subfornitori a partner tecnologici nelle filiere globali.
- Comunicare meglio: “dual” non significa militarizzato, ma raddoppiato nel potenziale.
Ma attenzione: ci sono anche le sfide. I committenti richiedono certificazioni complesse, investimenti in ricerca e nuove regole di export. La direzione, però, è chiara: meglio cambiare galassia che restare in coda.
Dalla subfornitura alla strategia
L’ironica citazione di Gaber, “Mi faccio in dual”, sta davvero diventando parte della politica industriale italiana. Per farlo, però, servono programmi di formazione, sinergie pubblico-privato, incentivi fiscali dedicati e task force operative. Il Dual-Use, o Doppio Uso, diventa così una doppia opportunità. I numeri per un’Italia “dual” ci sono:
- 8.700: imprese italiane potenzialmente riconvertibili (Unioncamere, 2025).
- 45%: PMI meccaniche interessate a progetti di difesa o aerospazio.
- 5,8 miliardi di euro: valore del comparto aerospaziale italiano (AIAD, 2024).
- +13%: crescita media annua delle imprese “dual” tra 2020 e 2024.
- 2.100: startup europee con prodotti a duplice uso registrate presso ESA e NATO.
Come affermato dall’Osservatorio Innovazione Industriale del Politecnico di Milano: «Il dual-use è la nuova frontiera della manifattura italiana: non un cambio di vocazione, ma un cambio di prospettiva».
Un po’ di storia, qualche riflessione e (forse) qualche idea
Il Dual-Use è il tema “del momento”, ma esiste da anni. Se c’è un contesto in cui il termine si è storicamente radicato, oltre a quello militare, è quello dell’Aerospazio, delle Telecomunicazioni e della Cybersecurity. Spesso è accaduto il contrario di ciò che vediamo oggi: quante invenzioni nate per lo spazio sono poi “atterrate” sulla Terra? Il fenomeno dello “spin-off” tecnologico dimostra come le innovazioni nate per contesti estremi, come l’esplorazione spaziale o la Formula 1, trovino applicazione nella vita di tutti i giorni.
Ne sono un esempio il Velcro, inventato per assicurare gli strumenti degli astronauti, o il Memory Foam, sviluppato dalla NASA per migliorare l’ammortizzazione dei sedili. E che dire degli utensili a batteria senza fili, nati dall’esigenza di avere strumenti leggeri e potenti per le missioni Apollo? Questo trasferimento tecnologico sottolinea un percorso di innovazione che, partendo da esigenze di frontiera, può avere un impatto profondo e positivo sulla società.
Oggi, la crescente attenzione dell’Europa verso un sistema spaziale comunitario, con programmi come Galileo e Copernicus (GMES), conferma questa tendenza. Galileo, nato per uso civile, offre una precisione cruciale per la navigazione autonoma e i servizi di emergenza. Copernicus fornisce dati indispensabili per la Protezione Civile e il monitoraggio ambientale. Anche le nanotecnologie promettono importanti applicazioni duali, come rivestimenti speciali per aerei e navi che migliorano l’efficienza e riducono le emissioni.
Questi esempi confermano che il rapido avanzamento tecnologico sta dissolvendo i confini tra applicazioni militari e civili, inaugurando un’era di tecnologie Omni-Use. Questo fenomeno rende urgente una regolamentazione coordinata per gestire i rischi associati. Le tecnologie duali si presentano quindi come un’arma a doppio taglio: un potente fattore di crescita, ma anche una potenziale minaccia se non regolamentate. Sarà responsabilità della politica e della diplomazia definire un quadro normativo per questo fenomeno di primaria importanza.
Conclusione e parliamone se volete
La trasformazione verso il “dual-use” non è più una semplice opzione, ma un imperativo strategico per la competitività del nostro tessuto industriale. Le opportunità sono immense, ma il percorso richiede visione, competenza e una guida esperta. Questo è il momento di agire: le aziende che desiderano non solo sopravvivere ma prosperare in questo nuovo scenario devono trovare un piano (e dei partner?) strategico per navigare la complessità, definire la rotta e trasformare questa sfida in un’incredibile opportunità di crescita. Non si può aspettate di dover cambiare, bisogna evolvere.