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Copyright e intelligenza artificiale in cerca d’autore

Post di Francesco Banterle, avvocato esperto di copyright di Hogan Lovells
La nuova legge italiana sull’IA ribadisce un principio noto ma oggi più discusso che mai: la creatività protetta dal diritto d’autore nasce dall’ingegno umano. E tuttavia in un’epoca in cui i sistemi di IA trasformano istruzioni in immagini, testi, musica e video, comprendere dove si arresta la macchina e dove inizia la creazione diventa sempre più complesso. Il legislatore rimette al centro l’autore ma il processo creativo si ibrida. E la domanda torna con forza: quando lavoriamo con l’IA chi è davvero l’autore del risultato?
La paternità come soglia della protezione
L’articolo 25 della legge 132/2025 modifica l’articolo 1 della legge sul diritto d’autore introducendo una precisazione apparentemente ovvia, ma tutt’altro che marginale: sono protette le opere dell’ingegno “umano”, anche quando realizzate “con l’ausilio di strumenti di intelligenza artificiale”, purché costituiscano “risultato del lavoro intellettuale dell’autore”.
Un intervento di natura più dichiarativa che innovativa ma che intercetta una tensione crescente tra pensiero creativo e calcolo algoritmico. L’aggettivo “umano” richiama infatti la fonte dell’originalità che deve restare nella mente e nella volontà dell’autore. E diventa una linea di confine: ciò che nasce da un apporto creativo riconoscibile è protetto; ciò che è generato dalla sola macchina no. Una precisazione simbolica, ma significativa nel contesto attuale.
Il quadro europeo: l’impronta personale come criterio attributivo
Il diritto d’autore europeo collega da tempo la protezione alla presenza di una creazione intellettuale umana. Le decisioni Infopaq, Painer e Cofemel della Corte di giustizia dell’UE hanno fissato un principio chiave: un’opera è tutelata se riflette la personalità dell’autore attraverso scelte libere e creative. L’originalità coincide dunque con la presenza di un’impronta (il “tocco personale” dell’autore) riconoscibile.
La nuova disposizione italiana non fa che rendere esplicito questo principio, estendendo la tutela ai contenuti generati con l’ausilio dell’IA purché il contributo umano sia effettivo e individuabile. La macchina può intervenire; la paternità rimane ancorata all’autore.
Ma quando un’opera è davvero “umana” se interviene l’IA?
Qui si apre il nodo decisivo. Che cosa significa in concreto che un contenuto generato con l’aiuto dell’IA è il risultato del lavoro intellettuale dell’autore?
Un prompt elaborato può bastare? Le idee, in sé, non sono protette; e istruzioni più o meno generiche lasciano spesso all’IA un ampio margine decisionale. Il contributo umano deve allora essere più strutturato? Riguardare la definizione dei parametri, la progettazione del processo generativo, oppure la selezione e l’editing dei risultati?
Per ora, la giurisprudenza europea è quasi assente. L’unico precedente noto, del Tribunale di Praga, ha negato la tutela a un’immagine interamente generata da IA per assenza di un autore umano, senza però poter approfondire il ruolo del prompting o dell’intervento creativo.
La questione su che cosa costituisca un contributo sufficiente resta dunque aperta.
L’esperienza statunitense: il prompt come semplice idea
Uno sguardo agli Stati Uniti aiuta a capire dove potrebbe evolvere il dibattito. Il Copyright Office, che opera come filtro preventivo nella registrazione delle opere, ha affrontato numerosi casi.
Nelle vicende Théâtre d’Opéra Spatial (Allen) e A Recent Entrance to Paradise (Thaler), l’Ufficio ha negato la registrazione sostenendo che i prompt anche molto articolati non bastano a fondare la paternità: l’utente formula un’intenzione, ma non determina effettivamente la forma finale dell’opera. Nel report “Copyright and Artificial Intelligence – Part 2: copyrightability” (2025), la posizione dell’Ufficio è espressa con nettezza: “prompts alone do not provide sufficient human control to make users of an AI system the authors of the output.” La selezione di un singolo output, inoltre, non viene considerata un atto creativo.
È un approccio prudenziale che riflette lo stato attuale della tecnologia: la parte realmente espressiva, nella maggior parte dei casi, risiede nel modello più che nell’utente.
Il contributo creativo come criterio di autorialità
Se si applicasse questo approccio alla nuova norma italiana, la domanda diventerebbe: quali attività svolte dall’utente nel processo generativo possono costituire un vero contributo creativo ai fini dell’autorialità?
La giurisprudenza tradizionale sulla co-autorialità fornisce un criterio utile: non è necessario realizzare materialmente ogni parte dell’opera; può bastare ideare, selezionare, coordinare o montare, purché da tali attività emerga un apporto creativo riconoscibile. Chi fornisce solo idee generiche, indicazioni tecniche o supporto operativo non è co-autore.
Nel contesto dell’IA, la titolarità dipenderà dal grado di intervento umano effettivo: dalla capacità della persona di orientare il processo, filtrare gli output, finalizzarli e riconoscerli come espressione della propria visione.
Cos’è il bello? Una proposta di giudizio estetico come faro del processo creativo
Faccio allora sommessamente una proposta. Ciò che può assumere un ruolo decisivo è la visione estetica che l’autore imprime al processo creativo. L’IA non dispone di un’esperienza estetica: non percepisce forme, non coglie armonie, non attribuisce significato. Elabora secondo un calcolo statistico. L’autore umano invece riconosce come “bello” ciò che corrisponde al proprio sentire espressivo secondo una dinamica che la filosofia estetica ha da sempre posto al centro dell’esperienza artistica: l’opera è vera quando rispecchia interiormente chi la crea.
In un processo AI-assisted questo giudizio estetico può orientare l’intera sequenza generativa: partire da un’idea, orientare la generazione attraverso i prompt, selezionare gli output prodotti e rifinirli progressivamente fino a riconoscere ciò che corrisponde al proprio sentire estetico. È in questa sequenza di scelte – e nel momento in cui l’autore vi scorge la propria verità espressiva – che può situarsi il contributo creativo umano.
Tutto ciò, naturalmente, andrà provato. E la prova non sarà banale, perché la soglia non si abbassa: si tratta di dimostrare che il giudizio estetico ha effettivamente orientato il processo creativo, in un contesto in cui gli strumenti generativi sono capaci di scelte autonome. Ogni linguaggio artistico avrà il suo equilibrio: immagini, musica, video, testi, ciascuno con un diverso margine di controllo e interazione con l’IA. Ma ciò che deve restare fermo è il principio: l’autore è colui che riconosce come proprio il risultato dovendo dirigerlo attraverso il proprio giudizio estetico.