I dubbi sulla bolla IA e le conseguenze per il dollaro

scritto da il 23 Dicembre 2025

Post di Vladimiro Giacché, Responsabile Direzione Comunicazione, Studi e Innovazione Digitale di Banca del Fucino

 

Da tre anni a questa parte l’IA è al centro dell’attenzione dei mercati. Le big tech statunitensi che stanno sviluppando questa tecnologia sono state identificate come le portatrici di una nuova rivoluzione tecnologica e hanno quindi fortemente beneficiato del favore degli investitori. I titoli delle società del settore sono così cresciuti ben oltre la media dell’S&P500, arrivando a costituire oltre un terzo dell’intero indice borsistico.

Ma quanto è razionale la corsa dei titoli tecnologici Usa? Ormai non è più solamente Michael Burry – famoso per aver previsto lo scoppio della crisi del 2008 – a denunciare la presenza di una bolla speculativa. Un numero crescente di analisti invita alla cautela in merito all’investimento nelle big tech, le cui quotazioni appaiono decisamente elevate: i P/E ratio delle principali società di alta tecnologia statunitensi vanno dal 50 di Nvidia agli oltre 350 di Palantir Technologies. 

Si tratta di valori molto alti, giustificabili solo alla luce di una duplice scommessa: 1) che l’IA si riveli effettivamente la rivoluzione tecnologica che i mercati si aspettano; 2) che a beneficiare della crescita degli utili generata dall’IA siano proprio le big tech ad oggi impegnate nel suo sviluppo.  

Sul primo punto si può anche essere concordi: prima o poi l’IA produrrà cambiamenti di grande rilievo nel mondo del lavoro e nell’intero processo produttivo.

Molto meno fondato appare invece il secondo assunto alla base della “scommessa IA”. Sotto questo aspetto, la storia può esserci maestra. Si pensi, ad esempio, al caso della bolla delle ferrovie negli Usa della seconda metà dell’Ottocento: nei primi anni ’70 del secolo le imprese del settore dei trasporti erano arrivate a costituire il 70% dell’intero indice Usa. Il trasporto ferroviario ha poi certamente rivoluzionato l’economia americana, ma a beneficiarne non sono state le società che avevano realizzato e gestito questa infrastruttura: la bolla scoppiò, e chi aveva investito in queste società si ritrovò con un pugno di mosche in mano.

È possibile che accada lo stesso con l’IA? Qualcuno potrebbe obiettare che il vantaggio oggi detenuto dalle big tech statunitensi è tanto grande da porle al riparo da ogni competitor. Dal canto nostro, riteniamo questa convinzione molto ottimistica.

In effetti, ogni volta che sul mercato fa la propria comparsa una nuova tecnologia, i first mover – le imprese in possesso della novità tecnologica in questione – hanno modo di estrarre una rendita da monopolio tecnologico. Ma, come ci ricorda Schumpeter, “una posizione monopolistica non è un guanciale su cui dormire sonni tranquilli”. La dinamica stessa della concorrenza, infatti, fa sì che col tempo altre imprese entrino in gioco, erodendo pian piano il vantaggio iniziale delle società che dominavano il mercato. Queste finiscono quindi per cadere vittima degli eccessi che avevano precedentemente cavalcato in borsa. 

È difficile che l’IA possa rappresentare un’eccezione a questa regola. Viviamo in un mondo altamente globalizzato, in cui la capacità di innovazione non può restare a lungo patrimonio esclusivo di singole imprese. In effetti, negli ultimi mesi abbiamo visto emergere diversi nuovi modelli di IA sul mercato, e non più solo da parte di società statunitensi. Significativo, in particolare, il potenziale dell’ecosistema delle imprese tech cinesi, ormai titolari della maggior parte dei brevetti IA rilasciati ogni anno.

Insomma, non mancano valide ragioni per ritenere che gli attuali multipli delle big tech Usa riflettano attese poco realistiche intorno alla loro redditività di lungo periodo. 

Il motivo per cui la situazione del settore IA statunitense merita un’attenzione speciale va però al di là dei confini di questo comparto. Oggi, infatti, l’IA guida le quotazioni dell’intera borsa statunitense, essendo stata responsabile del 75% della crescita dell’S&P500 registrata da fine 2022 a oggi. Questo significa che l’andamento dell’intero mercato è sempre più legato alla performance di un numero ridotto di titoli, afferenti al settore dell’alta tecnologia.

 

Ciò avviene mentre l’economia e la finanza internazionali sono attraversate da profondi cambiamenti, che disegnano scenari inediti rispetto agli ultimi decenni: da guerre commerciali su più fronti a un rally dell’oro di proporzioni che non si vedevano dagli anni ’70. Agli occhi di molti analisti, la crescita delle quotazioni dell’oro, in particolare, riflette una ricerca di asset sicuri, capaci di proteggere contro rischio geopolitico e inflazione. Per contro, i titoli del Tesoro statunitense, un tempo sinonimo di porto sicuro, sono sotto crescente scrutinio da parte degli investitori. In questo modo il mercato azionario, il cui andamento riposa ormai in larga parte sulla performance delle imprese dell’ecosistema IA, diviene il principale sostegno alla domanda di asset in dollari. In tale contesto, un forte ridimensionamento del valore di questi titoli avrebbe conseguenze di portata sistemica.