Privilegi o merito? Sì all’uguaglianza, ma nelle condizioni di partenza

scritto da il 12 Maggio 2019

La caduta del Muro di Berlino del 1989 ha reso l’Italia più fragile a livello geopolitico. Il ruolo strategico di Paese in cui al partito comunista non era permesso governare è venuto meno. L’apertura degli scambi commerciali degli anni seguenti – grazie al WTO – ha consentito a Paesi come India e Cina di iniziare un percorso di crescita mostruoso che ha fatto uscire dalla miseria miliardi di persone.

Se nei paesi emergenti il miglioramento delle condizioni di vita è stato diffuso, come ci ha spiegato con chiarezza Branko Milanovic con il suo “grafico dell’elefante”, nei paesi occidentali la concentrazione della ricchezza è aumentata. Sono aumentati, e di molto, i perdenti, i “losers”, penalizzati dalla globalizzazione che ha reso meno competitivi alcuni settori a basso valore aggiunto, le cui imprese sono state costrette a chiudere e licenziare i lavoratori.
A questo punto, hanno avuto buon gioco quei partiti che hanno promesso maggiore protezione ai disoccupati, agli esclusi, a chi ha perso il lavoro, a chi non ha una formazione adeguata per i nuovi tempi.

La parola “uguaglianza” è quindi tornata in auge, come se fossimo a fine ‘800, o subito dopo la rivoluzione francese, il cui celebre motto era: Liberté, Égalité, Fraternité. E non dimentichiamo il motto “Libertà ed eguaglianza” dei fratelli Rosselli, grandissimi patrioti. Il problema è che l’obiettivo dell’uguaglianza va declinato in modo corretto. Ciò a cui bisogna mirare è l’uguaglianza delle condizioni di partenza, non di arrivo. Occorre distinguere tra privilegi e merito, tra rendite e profitti. Per i liberali, i punti di arrivo possono essere estremamente distanti verso l’alto, purché la meritata ricchezza della prima generazione non diventi ereditaria della seconda.

Il liberale Valerio Zanone anni fa su Reset scrisse che non dovevano essere soppresse le “ineguaglianze salutari” (termine caro al grande Ernesto Rossi, coautore del “Manifesto di Ventotene”), che devono permanere “fra pigri e laboriosi, inetti e capaci”.

Quando nel maggio 1948 Luigi Einaudi venne eletto presidente della Repubblica, lasciò la carica di governatore della Banca d’Italia, e il 12 maggio, nella seduta comune della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, lesse un messaggio di tre pagine, ficcante e incisivo, come era nello stile dell’economista piemontese (nato a Carrù il 24 marzo 1874).
Vale la pena citare un passaggio chiave: “La costituzione che l’Italia si è ora data…afferma due principi solenni: conservare della struttura sociale presente tutto ciò e soltanto ciò che è garanzia della persona umana contro l’onnipotenza dello stato e la prepotenza privata; e garantire a tutti, qualunque siano i casi fortuiti della nascita, la maggiore uguaglianza possibile nei punti di partenza. A quest’opera sublime di elevazione umana noi tutti, parlamento, governo e presidente siamo chiamati a collaborare”.

Einaudi, che ha scritto pagine memorabili sul valore del lavoro e del risparmio, ha sempre sostenuto che l’uguaglianza ci dovesse essere nelle opportunità di partenza. La scuola risulta quindi decisiva. La costituzione all’art. 34 parla chiarissimo: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti negli studi”. A vedere nei Test PISA enormi differenze tra nord e sud Italia piange il cuore. Come ha proposto Francesco Giavazzi, le scuole dovrebbero rimanere aperte tutto il giorno (anche nel pomeriggio fino alle 18.30!) e diventare un centro di cultura, di formazione, di dibattito; un luogo di riferimento, soprattutto per tutti i ragazzi svantaggiati, che non hanno le famiglie di supporto alle spalle.

Da che mondo è mondo, il riscatto sociale viaggia sul binario della liberazione dall’ignoranza. Spiace quindi vedere che nelle leggi di Bilancio che si approvano negli ultimi anni, calano gli investimenti pubblici e le risorse destinate all’istruzione.

Bisognerebbe favorire progetti come quello portato avanti in Francia da Bertrand Périer, avvocato e professore di arte oratoria all’Università della periferia parigina di Seine-Saint-Denise, il quale ha collaborato alla realizzazione del programma Eloquentia, volto a trasmettere le regole dell’eloquenza a giovani provenienti dai quartieri popolari (cfr. B. Périer, Parlare è un’arte marziale, Bur Rizzoli, 2018). Quando alcuni anni fa volevo realizzare, a beneficio dei migliori studenti, un programma volto a finanziare corsi per il superamento del SAT (Scholastic Aptitude Test, test attitudinale, lasciapassare per accedere alle migliori università del mondo), molti presidi milanesi non mi hanno neanche ricevuto. Uno mi chiese: “Ma lei Piccone, che interessi persegue, qual è il motivo recondito di questa iniziativa?”. Io, che ho letto Einaudi nelle mie notti insonni, volevo solo portare un bravo studente di Quarto Oggiaro ad Harvard University con le borse di studio.

I tempi che stiamo vivendo purtroppo sono carichi di rancore, invidia e rabbia verso chi ce l’ha fatta, verso chi legittimamente ha avuto successo nella vita professionale. Si respira un clima di “cattiveria”, così ben descritto dall’ultimo rapporto del Censis. Sono lesti e furbi i politici che soffiano sul fuoco del risentimento invocando un’uguaglianza sbagliata, quella nelle condizioni di arrivo.

Quando uno è più bravo di te, hai alcune opzioni a tua disposizione:

– Riconoscere che ne sa di più, che è più smart di te;

– Cercare di imparare da lui; impegnarti per migliorare te stesso e il tuo modo di agire;

– Attaccarlo sul piano personale cercando una causa strumentale per estrometterlo dalla carica;

– Sparare un po’ di fuffa sul web e farti eleggere in Parlamento.

In un’intervista al “Corriere della Sera”, il filosofo francese Pascal Bruckner ha usato parole sferzanti verso i populismi europei, accusati di fomentare odio verso il denaro degli altri: “Nei gilet gialli come nei Cinque Stelle in Italia vedo un lato “khmer rossi”, tutti gli intellettuali vanno puniti. È il trionfo degli incompetenti… C’è una violenza verbale che è lo specchio di quella che imperversa nei social media…Qualsiasi insoddisfazione è attribuibile allo stato…Un atteggiamento molto infantile”.

Siamo certi che molti politici non abbiano mai letto gli scritti di Luigi Einaudi. Ci facciamo carico noi allora di diffondere il suo pensiero, con spirito costruttivo, prendendo i testi da “Lo scrittoio del Presidente, 1948-1955” (Giulio Einaudi editore, 1956). La chiosa dell’intervento da presidente della Repubblica appena eletto è formidabile perché evoca l’obiettivo di una migliore civile convivenza, di una giustizia sociale fondata sulla parità delle condizioni di partenza:

“Signori senatori, signori deputati,
volto lo sguardo verso l’alto, intraprendiamo umilmente il duro cammino lungo il quale la nostra tanto bella e tanto adorata patria è destinata a toccare mète ognor più gloriose di grandezza morale, di libera vita civile, di giustizia sociale e quindi di prosperità materiale. Ancora una volta si elevi in quest’aula il grido di Viva l’Italia!”.

Twitter @beniapiccone