Può il marketing fidarsi dell’AI su dati, creatività e privacy?

scritto da il 20 Maggio 2025

Post di Andrea Stecconi, CEO di Execus – 

L’intelligenza artificiale è entrata a pieno titolo nelle strategie di marketing, cambiando tempi, strumenti e linguaggi. Dalla generazione automatica dei contenuti alla segmentazione avanzata del pubblico, le aziende la utilizzano per essere più efficienti e rilevanti. Non è più una tecnologia sperimentale, ma un asset concreto nella comunicazione tra brand e consumatori.

Secondo un rapporto di Bloomberg Intelligence, il mercato globale dell’AI generativa crescerà fino a valere 1,3 bilione di dollari, con un tasso di crescita annuale previsto del 42% e un aumento di dieci volte rispetto al 2020. Analogamente, Fortune Business Insights stima che il mercato globale della GenAI raggiungerà circa 1 bilione di dollari entro il 2032, con un tasso di crescita annuale del 40% rispetto al valore attuale di circa 43 miliardi di dollari. Numeri che testimoniano non solo l’entusiasmo del settore, ma anche un cambio di paradigma: oggi, il successo di una campagna non si misura più soltanto in creatività, ma nella capacità di analizzare dati, prevedere comportamenti, personalizzare esperienze e automatizzare processi.

L’adozione dell’AI consente di orchestrare funnel di marketing sempre più complessi, gestire centinaia di touchpoint lungo la customer journey e rispondere in tempo reale alle esigenze di un consumatore iper-connesso. Grazie a strumenti predittivi, sistemi di recommendation, generative AI e automazione, le aziende possono oggi sviluppare strategie su misura, con un’efficienza impensabile fino a pochi anni fa.

I grandi brand lo hanno capito per primi. Secondo le stime di McKinsey, Amazon genera il 35% del proprio fatturato grazie a un motore di raccomandazione AI-based che analizza in tempo reale i comportamenti di acquisto e navigazione. Coca-Cola ha utilizzato l’intelligenza artificiale per personalizzare le sue campagne – come nel caso di “Share a Coke”, dove ogni bottiglia riportava un nome scelto in base all’analisi dei dati social – ottenendo oltre il 2% nelle vendite e un incremento nella loyalty​. E Netflix, grazie al suo sofisticato sistema di raccomandazione dei contenuti basato sull’intelligenza artificiale, è riuscita a trasformare l’AI in un potente alleato per la fidelizzazione degli utenti e la riduzione del tasso di abbandono. Si stima che circa il 75% del tempo di visione sulla piattaforma sia generato proprio da contenuti suggeriti dal suo motore di raccomandazione, considerato uno dei più avanzati del settore.

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Se da una parte la GenAI semplifica e potenzia molte attività, dall’altra solleva questioni e scenari complessi (Designed by Freepik)

Ma l’intelligenza artificiale non è più un’esclusiva dei grandi colossi. Anche le Piccole e Medie Imprese stanno iniziando a guardare con interesse a questa tecnologia, consapevoli delle opportunità che offre in termini di automazione, personalizzazione e ottimizzazione del ROI. Dalle piattaforme CRM intelligenti ai generatori di contenuti, dai chatbot agli strumenti di A/B testing e analytics predittiva, le soluzioni disponibili oggi sono più accessibili che in passato. Tuttavia, resta un divario tra potenziale e adozione concreta. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, il mercato italiano dell’AI ha raggiunto nel 2024 un valore di 1,2 miliardi di euro (+58% rispetto al 2023), trainato soprattutto dalla Generative AI. A guidare questa crescita sono principalmente le grandi aziende, mentre le PMI restano in ritardo: solo il 7% delle piccole imprese e il 15% delle medie ha avviato progetti strutturati in questo ambito.

Se da una parte la GenAI semplifica e potenzia molte attività, dall’altra solleva questioni e scenari complessi che meritano attenzione, come standardizzazione dei contenuti. Studi accademici hanno infatti evidenziato un rischio concreto: l’uso indiscriminato di strumenti generativi può ridurre la diversità di pensiero e appiattire la creatività, con una perdita di originalità del 41% in alcune situazioni​[1]. Inoltre, quando l’AI viene utilizzata oltre le sue competenze – ad esempio in compiti di problem-solving complessi – può generare un calo di performance fino al 23%. La tentazione di affidare completamente alle macchine la scrittura di contenuti, l’ideazione di campagne o la gestione dei social può portare a risultati scadenti o, peggio, dannosi per la reputazione del brand.

Non solo. Uno dei problemi più discussi riguarda la cosiddetta “black box”: molti sistemi AI non spiegano come arrivano a una decisione, rendendo difficile capire se l’output sia affidabile o influenzato da bias. Questo è particolarmente critico nel marketing predittivo, dove un errore nell’interpretazione dei dati può portare a investimenti sbagliati, discriminazioni inconsapevoli o messaggi non etici.

Oltre ai rischi legati alla qualità dei contenuti o alla trasparenza degli algoritmi, esistono sfide strutturali che stanno ridefinendo le regole del marketing digitale. La prima è il modo in cui gli utenti interagiscono con i motori di ricerca. Con l’introduzione delle risposte AI generate direttamente nelle SERP, stanno crescendo le cosiddette zero-click searches, ovvero ricerche che si esauriscono senza portare traffico ai siti. Dati dimostrano che nel 2024 oltre il 59% delle ricerche in Europa e negli Stati Uniti si è concluso senza alcun clic.

Per i brand, questo si traduce in una riduzione del traffico organico e nella necessità di adattare le strategie SEO, puntando su contenuti ad alto valore, ottimizzati per i risultati AI-driven. In un ecosistema dove le risposte sono automatizzate e la competizione è invisibile, ciò che fa davvero la differenza è la qualità editoriale, l’autorevolezza della fonte e la capacità – profondamente umana – di comunicare in modo autentico.

Parallelamente, vi è la scomparsa dei cookie di terze parti, ormai imminente, che obbliga le aziende a rivedere le proprie strategie di targeting e tracciamento. In questo contesto, l’intelligenza artificiale può offrire soluzioni alternative: dall’analisi dei dati di prima parte alla creazione di audience simili, fino ai modelli predittivi privacy-friendly. Ma il passaggio richiede una revisione profonda delle pratiche attuali per conciliare personalizzazione e rispetto della privacy.

A proposito di privacy, i consumatori sono sempre più consapevoli di come le aziende raccolgono e utilizzano le informazioni personali: la trasparenza è diventata una condizione imprescindibile per costruire relazioni di fiducia. Le aziende devono quindi interrogarsi non solo sull’efficacia dei loro strumenti AI, ma anche sulla trasparenza e sulla qualità dei dati utilizzati. La mancanza di governance in questo senso può comportare gravi danni reputazionali, oltre che legali, soprattutto in un contesto normativo sempre più attento alla tutela dei dati personali.

A livello normativo, lo scenario si sta evolvendo in modo significativo. Oltre al GDPR, che già impone regole stringenti sul trattamento dei dati personali, l’Europa ha approvato l’AI Act, il primo regolamento al mondo pensato per disciplinare l’intelligenza artificiale. Entrato in vigore il 1° agosto 2024, alcune disposizioni, come il divieto di pratiche di IA considerate ad alto rischio e gli obblighi relativi all’alfabetizzazione sull’IA, sono applicabili dal 2 febbraio 2025. I sistemi considerati “ad alto rischio” – come quelli impiegati nel profiling, nell’analisi predittiva e nel marketing automatizzato – saranno soggetti a requisiti di trasparenza, tracciabilità e supervisione umana. Le aziende dovranno quindi attrezzarsi per garantire la conformità, documentando le scelte algoritmiche e integrando la governance dell’IA all’interno delle proprie strategie di comunicazione.

Secondo il Gartner Hype Cycle, ogni nuova tecnologia attraversa una curva di aspettative gonfiate, disillusione e successiva maturazione. L’AI non fa eccezione: molte aziende hanno adottato soluzioni ancora acerbe, con risultati inferiori alle promesse. La vera sfida, oggi, è capire quando e come utilizzare l’intelligenza artificiale in modo efficace, evitando derive techno-entusiastiche.

Servono figure professionali capaci di interpretare i dati, validare le performance dei modelli, integrare l’AI nei flussi esistenti senza snaturarli. La tecnologia non può sostituire la strategia: può (e deve) potenziarla.

L’adozione consapevole dell’AI nel marketing richiede un approccio multidisciplinare. I leader aziendali devono assumere un ruolo guida nel definire politiche etiche, nel formare i team e nel costruire un’infrastruttura di dati solida. La collaborazione tra marketer, data scientist e professionisti della comunicazione diventa fondamentale per bilanciare efficienza, creatività e rispetto dei valori aziendali.

L’intelligenza artificiale ha il potenziale per trasformare radicalmente il marketing, rendendolo più efficace, personalizzato e misurabile. Ma comporta anche nuovi rischi, nuove responsabilità e nuove competenze da sviluppare. La sfida per le aziende non è solo adottare l’AI, ma farlo in modo consapevole, etico e strategico. Perché nel marketing del futuro, l’intelligenza sarà davvero artificiale solo se quella umana saprà guidarla.

 

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[1] Human-Generative AI Collaboration Experiment (May-June 2023); BCG analysis