Partecipazione dei lavoratori: per la rivoluzione c’è da aspettare

scritto da il 22 Maggio 2025

Post di Giorgia Giorgetti, counsel, e Mariachiara Quintiliani, trainee, di A&O Shearman

La recente approvazione da parte del Senato della proposta di legge popolare depositata dalla Cisl a fine 2023 in tema di partecipazione dei lavoratori segna un passaggio che, al netto dei clamori che hanno accolto una normativa indubbiamente inedita ma anche delle critiche che l’hanno accompagnata, deve essere letto come un primo passo verso il cambiamento. Dopo decenni di tentativi malriusciti e diffidenze, il tema della partecipazione esce finalmente dall’ombra delle buone intenzioni e si affaccia come strumento per affrontare le sfide del presente e del futuro.

In un contesto socio-economico come quello attuale, segnato da problematiche nuove che hanno un impatto significativo sul mondo del lavoro, tra cui la crisi demografica, con la connessa riduzione dell’offerta di lavoro, la rivoluzione tecnologica e una crescente domanda di riequilibrio della dimensione lavorativa rispetto a quella privata – soprattutto da parte dei più giovani – lo strumento della “partecipazione” potrebbe rappresentare davvero la chiave per ricostruire un dialogo tra lavoratore e azienda e un clima di fiducia che può fare la differenza nei momenti di crisi e di profonda trasformazione.

Partecipazione dei lavoratori come leva strategica (sulla carta)

In questo scenario, la partecipazione dei lavoratori alle diverse dimensioni dell’impresa non è solo una questione di democrazia interna, ma può rappresentare una leva strategica per promuovere l’innovazione, la competitività, l’inclusione ed accrescere la motivazione, che sempre meno risulta legata al mero aspetto retributivo.

Non va sottovalutato, inoltre, il valore culturale della nuova normativa. Nel nostro Paese, storicamente, il rapporto tra capitale e lavoro è stato vissuto come un terreno più di conflitto che di collaborazione, spesso segnato da diffidenze e rigidità. Lo strumento della partecipazione, nelle diverse forme (gestionale, economica e finanziaria, organizzativa e consultiva) declinate dal DDL appena licenziato, offre – a volerla cogliere – la possibilità di superare questa logica. È però una sfida che richiede la maturità e la disponibilità ad abbandonare i vecchi schemi, sia da parte delle imprese che dei sindacati.

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La partecipazione dei lavoratori alle diverse dimensioni dell’impresa può rappresentare una leva strategica per promuovere l’innovazione, la competitività, l’inclusione ed accrescere la motivazione (Designed by Freepik)

Ampia discrezionalità alle imprese, mancano gli obblighi giuridici

Eppure, se la portata simbolica del provvedimento è indiscutibile, non si può ignorare come il testo finale sia il frutto di compromessi che hanno inevitabilmente ridotto l’ambizione della proposta originaria. La spinta iniziale, che puntava a introdurre veri e propri obblighi per le imprese, a rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva e a prevedere strumenti innovativi come il Garante della sostenibilità sociale, si è progressivamente depotenziata nel corso del dibattito parlamentare.

Il risultato è una legge dalla natura fortemente promozionale e programmatica, che valorizza (ma non incentiva) le esperienze partecipative, lasciando ampia discrezionalità alle imprese e indebolendo il ruolo della contrattazione collettiva, che viene subordinato agli statuti societari.

Non ci sono obblighi giuridici che impongano l’adozione di modelli partecipativi, nemmeno in relazione a parametri di fatturato o di dimensione aziendale, come previsto inizialmente nella proposta di legge, né gli sgravi fiscali – peraltro circoscritti al solo 2025 – si presentano come un reale incentivo, risultando di fatto scollegati dall’effettiva implementazione di tali modelli da parte delle aziende.

Un testo orfano di 8 dei 22 articoli iniziali

Con il passaggio parlamentare, che ha alleggerito il testo originario di 8 dei 22 articoli iniziali, è venuto meno anche l’originario carattere obbligatorio della consultazione preventiva per le imprese sopra una determinata soglia, così come l’obbligo di consultazione per banche, servizi pubblici essenziali e partecipate pubbliche. Sono anche venuti meno diversi degli originari meccanismi premiali, sia lato azienda che lato lavoratori, come quelli previsti per la contribuzione al miglioramento e all’innovazione.

Questa scelta, se da un lato ha permesso di superare le resistenze e di portare a casa l’approvazione della legge, dall’altro rischia di limitare l’impatto trasformativo della riforma. Senza il bastone (con la volontarietà della partecipazione, rimessa agli statuti societari) e senza la carota (i meccanismi premiali più diffusi) la partecipazione resta, in larga parte, una possibilità e non un diritto esigibile dai lavoratori.

Il rischio che la partecipazione resti inapplicata

Il rischio concreto è che, in assenza di un impulso più incisivo, la legge resti priva di una reale applicazione, trasformandosi in un provvedimento dal valore prevalentemente simbolico, più che come strumento capace di produrre effetti concreti (e immediati).

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Il cambiamento è iniziato, ma il cammino verso una partecipazione diffusa e sostanziale è ancora tutto da costruire (Designed by Freepik)

Nonostante questi limiti, il provvedimento rappresenta comunque un cambio di paradigma: per la prima volta, la partecipazione dei lavoratori viene riconosciuta ed istituzionalizzata come elemento utile alla democrazia economica ed alla sostenibilità delle imprese, in applicazione di quell’articolo 46 della Costituzione rimasto troppo a lungo lettera morta.

Il cambiamento è ancora tutto da costruire

La vera sfida, ora, è culturale: spetta alle parti sociali, alle imprese e ai lavoratori cogliere l’opportunità, sperimentare nuovi modelli di collaborazione e rendere la partecipazione una leva concreta di innovazione e benessere.

Il cambiamento è iniziato, ma il cammino verso una partecipazione diffusa e sostanziale è ancora tutto da costruire.