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Italia e siccità, tempo scaduto. Serve una vera svolta


Post di Alessandro Brizzi, General Manager di Renovis –
La scarsità d’acqua non è più un fenomeno episodico, ma si conferma ormai una condizione strutturale che espone il nostro Paese a impatti diretti su agricoltura, industria e territori. Con l’arrivo della stagione estiva, il tema torna al centro del dibattito, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle imprese nella gestione delle risorse, l’innovazione tecnologica e la sostenibilità. L’Italia si conferma infatti tra i Paesi europei più vulnerabili sotto il profilo idrico: consuma circa 214 litri di acqua potabile pro capite al giorno , un dato superiore alla media UE. Questo dato è ancora più allarmante se si considera che il 42,4% dell’acqua immessa nelle reti urbane viene dispersa prima di arrivare ai cittadini, per un totale di 3,4 miliardi di metri cubi persi: l’equivalente dell’intero fabbisogno annuo di 43 milioni di persone.
Condizioni di siccità estrema
La crisi climatica sta esasperando ulteriormente il quadro. Secondo ISPRA , nel 2022 le risorse idriche complessive disponibili sono crollate a 67 miliardi di m³, il 50% in meno rispetto alla media 1951-2023, con un ulteriore calo del 18,4% nel 2023. In Sicilia e Sardegna, le condizioni di siccità estrema sono iniziate già a dicembre 2023, obbligando a razionamenti tra febbraio e maggio 2024. I modelli del CMCC, integrati con dati Copernicus, prevedono che entro il 2030 l’Italia registrerà una diminuzione media delle precipitazioni estive tra il 10% e il 20%, accompagnata da estati sempre più calde, siccitose e prolungate.
A confermare il trend su scala mediterranea contribuisce anche uno studio del 2025 (EGU preprint 2024) , che proietta, per il periodo 2030‑2060, una riduzione complessiva delle precipitazioni annuali tra il 10% e il 20% legata al progressivo incremento dell’aridità. I grandi bacini idrici italiani, come il Po, hanno già subito una riduzione delle portate del 10% rispetto alle medie pluridecennali, e la sindrome di “stress idrico permanente” potrebbe aggravarsi nei prossimi 10 anni, soprattutto al Sud.
Infrastrutture vecchie di decenni e gestione frammentata
Tra le principali cause della crisi idrica italiana spiccano infrastrutture ormai obsolete, con reti di distribuzione che in molti casi risalgono agli anni ’50 e ’70 del 900 e presentano livelli cronici di dispersione. A questa fragilità strutturale si somma una gestione fortemente frammentata: sul territorio operano oltre 2.100 gestori, l’82% dei quali sono enti pubblici di piccole dimensioni, spesso privi delle risorse tecniche e finanziarie necessarie per sostenere investimenti rilevanti e programmare interventi di lungo periodo.
La molteplicità degli operatori complica l’applicazione uniforme dei programmi nazionali, come il PNRR, e ostacola la realizzazione di economie di scala e di un coordinamento efficiente. Ne deriva un sistema idrico nazionale che, nel suo insieme, fatica a modernizzarsi e ad affrontare con efficacia l’impatto crescente dei cambiamenti climatici.
I danni all’agricoltura e all’industria
Le ripercussioni della siccità e della crisi idrica non si fermano all’ambiente, ma stanno progressivamente erodendo la stabilità del tessuto produttivo nazionale. L’agricoltura, prima grande consumatrice d’acqua con quasi il 50% dei prelievi totali, rappresenta oggi uno dei comparti più esposti. Nel corso del 2024 la scarsità idrica ha già provocato cali produttivi significativi in molte colture — dai cereali alla frutta — con pesanti ricadute economiche e sociali, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno.
Ma le difficoltà non risparmiano nemmeno il settore industriale. Filoni produttivi fortemente idro-esigenti come il tessile, la chimica, l’alimentare e il farmaceutico iniziano a fare i conti con restrizioni crescenti all’utilizzo dell’acqua, con conseguenti rischi di interruzioni forzate della produzione, aumento dei costi di trattamento e normative sempre più stringenti.
Il Rapporto Agroalimentare 2023 della Regione Emilia-Romagna, ad esempio, quantifica danni significativi — superiori al miliardo di euro — legati all’alluvione di maggio 2023 e alla siccità dei mesi successivi, con impatti diretti sia sulle produzioni agricole che sull’industria alimentare regionale.
Ripensare il rapporto tra acqua, industria e sviluppo
In questo scenario complesso, fatto di vulnerabilità strutturali e pressioni crescenti, emerge però un dato di fondo sempre più chiaro: l’attuale modello di gestione idrica non è più sostenibile, né sotto il profilo ambientale né sotto quello economico e industriale. La sfida non riguarda soltanto l’adattamento alle emergenze, ma richiede un ripensamento profondo del rapporto tra acqua, industria e sviluppo. Ed è proprio qui che si gioca la partita della transizione: la svolta, inevitabilmente, è il green.
Un aspetto particolarmente promettente in questa transizione riguarda l’integrazione tra gestione idrica e recupero termico, soprattutto nei settori industriali ad alta intensità energetica come l’industria della carta, l’alimentare e il tessile. Sempre più aziende stanno sperimentando soluzioni che integrano sistemi di recupero termico a pompe di calore per produrre vettori energetici in un approccio circolare, condensando al contempo.
Il principio è duplice: gli esausti industriali, spesso rilasciati a temperature elevate, possono essere recuperati per alimentare i processi termici dello stabilimento, condensando al contempo l’acqua contenuta nei fumi umidi. Secondo il Joint Research Centre della Commissione Europea, questa sinergia acqua-calore potrebbe consentire, in alcune filiere, risparmi idrici supplementari e significativi abbattimenti delle emissioni di CO2.
Fondi pubblici (PNRR)
A guidare questo cambiamento è anche la leva pubblica del PNRR, attraverso la Componente M2C4 – Tutela del territorio e della risorsa idrica, che mobilita 15 miliardi di euro. Di questi, 2 miliardi sono destinati all’adeguamento delle infrastrutture idriche primarie (invasi, acquedotti), mentre 1,924 miliardi finanziano la riduzione delle perdite nella rete tramite digitalizzazione e monitoraggio, con una parte significativa dei fondi riservata al Sud.
A questi, si aggiungono 880 milioni per potenziare la resilienza dell’agrosistema irriguo, attraverso tecnologie digitali, sistemi di monitoraggio e riuso delle acque reflue. Nel complesso, l’investimento punta a ridurre le perdite di rete dal 42,4% al 38% entro fine 2025, avviare 50 distretti agricoli pilota per il riuso delle acque reflue e sostenere le imprese nell’investimento in tecnologie avanzate di trattamento e gestione .
E investimenti privati
In parallelo, anche il settore privato sta accelerando l’adozione di soluzioni innovative per l’uso efficiente dell’acqua. In agricoltura, come evidenziato da CREA , si sta diffondendo l’impiego di tecnologie di irrigazione di precisione, che integrano sensori del suolo, centraline di monitoraggio del potenziale idrico e sistemi di irrigazione localizzata.
Grazie a queste soluzioni, è possibile ottimizzare tempi e volumi irrigui, riducendo sensibilmente gli sprechi idrici e migliorando l’efficienza complessiva della gestione dell’acqua in campo. Un esempio concreto di applicazione industriale avanzata del recupero idrico arriva dal settore della raffinazione, dove i reflui biologici vengono trattati tramite ultrafiltrazione e osmosi inversa per la produzione di acqua demineralizzata, destinata sia ai processi produttivi sia al reintegro delle torri di raffreddamento. In uno degli impianti analizzati, il volume d’acqua recuperato annualmente supera i 4,97 milioni di m³, pari al 36% dei consumi idrici totali dell’impianto, con il 79% utilizzato per alimentare i processi interni e il restante 21% per il raffreddamento.
Ma contro la siccità serve un cambio di paradigma
Tuttavia, se le misure già avviate rappresentano un passo indispensabile, non sono ancora sufficienti — da sole — a garantire una sicurezza idrica realmente strutturale per il Paese. La posta in gioco va ben oltre i singoli progetti o i finanziamenti una tantum: serve un cambio di paradigma, capace di intervenire su più livelli contemporaneamente. In primo luogo, sarà necessario superare la cronica frammentazione gestionale che oggi vede oltre 2.100 gestori operare sul territorio, creando invece operatori integrati e solidi, in grado di gestire le reti con logiche industriali di scala.
Parallelamente, sarà decisiva una digitalizzazione diffusa e capillare delle infrastrutture: reti intelligenti capaci di individuare le perdite in tempo reale, ottimizzare i flussi e intervenire preventivamente sui guasti. Altrettanto importante sarà la piena integrazione dell’economia circolare, con il riuso sistematico delle acque reflue non solo in agricoltura, ma anche nei processi industriali, trasformando ogni metro cubo d’acqua trattata in una nuova risorsa produttiva. Infine, servirà una pianificazione adattativa di lungo termine, attraverso piani climatici ventennali in grado di governare i futuri rischi idrici e climatici, ponendo la sicurezza idrica al centro delle politiche industriali e territoriali del Paese.