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Investire nella difesa può essere sostenibile? Bruxelles dice sì


Post di Silvia Merler, head of ESG e Policy Research di Algebris Investments –
La Commissione Europea lo scorso 17 giugno ha pubblicato un piano con l’obiettivo di facilitare maggiori investimenti nella difesa dell’UE, che includeva una nota sull’applicazione delle normative europee in materia di finanza sostenibile al settore della difesa, un tema controverso a causa dell’alto rischio percepito di finanziare aziende coinvolte nella produzione di armi.
La nota esamina se e come gli investimenti nella difesa possano superare il test per essere considerati “investimenti sostenibili” secondo il Regolamento sull’informativa sulla finanza sostenibile dell’Unione Europea (SFDR), tema centrale alla call to action della Commissione per mobilitare capitali privati in supporto degli sforzi di riarmo.
I due test di sostenibilità secondo le regole di Bruxelles
Per essere considerato sostenibile secondo l’SFDR, un investimento deve superare due test. Il primo richiede che l’investimento contribuisca in maniera significativa a un obiettivo di sostenibilità. A questo proposito, la Commissione chiarisce che “l’industria della difesa contribuisce in maniera cruciale alla resilienza e alla sicurezza dell’Unione, e quindi alla pace e alla sostenibilità sociale ” in linea con l’Obiettivo di Sostenibilità delle Nazioni Unite (SDG) 16 – pace, giustizia, istituzioni forti.
Gli SDG delle Nazioni Unite sono un riferimento comune per gli investimenti a impatto e sostenibili; quindi prevedere uno spazio per la difesa in questo quadro è una dichiarazione forte a favore della legittimazione del settore all’interno delle normative europee sulla finanza sostenibile.
Ma le armi nucleari non sono incluse
Il secondo requisito del test di sostenibilità SFDR è che l’investimento non arrechi danno ad alcun obiettivo di sostenibilità – cosa che è difficilmente applicabile alle armi letali. La nota della Commissione invita gli operatori a concentrarsi su tre “indicatori principali di impatto avverso” per stabilire se un investimento in difesa arrechi danno. Questi sono: il coinvolgimento delle aziende della difesa in armi controverse; il rischio che le armi vengano utilizzate per violare i principi del Global Compact delle Nazioni Unite o le linee guida dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) sui diritti umani; e i processi e meccanismi delle aziende per monitorare il rispetto di tali principi e linee guida.
Più nello specifico, la Commissione sostiene che il rischio di impatto avverso è mitigato dal fatto che l’industria della difesa dell’UE è altamente regolamentata e soggetta a normative sulla produzione, uso e trasferimento dei prodotti e tecnologie che sviluppa, comprese le armi, all’interno e all’esterno dell’UE. L’avviso chiarisce anche che la definizione di “armi controverse” secondo l’SFDR non include le armi nucleari, facendo così chiarezza su un tema controverso.
Finanziare le aziende per la difesa può essere sostenibile. A patto che…
La nota delinea quindi un quadro in cui il finanziamento delle aziende di difesa dell’UE potrebbe qualificarsi come investimento sostenibile, purché (1) le aziende non producano mine antiuomo, munizioni a grappolo, armi chimiche o biologiche, e (2) rispettino la legislazione dell’UE e nazionale sul controllo delle esportazioni e abbiano politiche e procedure di due diligence per rispettare le disposizioni sui diritti umani delle Nazioni Unite e dell’OCSE, seguendo pratiche di buona governance.
Il trend della “difesa sostenibile” metterà però sotto pressione gli approcci tradizionali di investimento sostenibile, che tipicamente adottano liste di esclusione settoriali generalizzate. Le linee guida della Commissione infatti esortano gli investitori a una valutazione caso per caso, ma affinché questo approccio possa essere attuato in modo credibile senza ridurre gli standard di sostenibilità, saranno necessari cambiamenti sia nell’industria della difesa che in quella degli investimenti.
Il riferimento alla legislazione sulle esportazioni dell’UE
I dati sulla segmentazione geografica e sui prodotti dei ricavi delle aziende di difesa dovranno diventare più dettagliati, e la trasparenza sulle politiche e processi di due diligence dovrà aumentare. Le linee guida della Commissione fanno esplicito riferimento alla legislazione sulle esportazioni dell’UE, ma è prerogativa dei singoli paesi dell’UE concedere le licenze di esportazione. Un impegno credibile verso le capacità di difesa dell’UE dovrebbe prevedere una centralizzazione di queste disposizioni.
Infine, gli operatori del mercato finanziario che scelgono di seguire questa tendenza dovranno abbracciare la maggiore responsabilità che deriva dalla maggiore flessibilità e, soprattutto, tradurla in un coinvolgimento più attivo con le aziende che finanziano.