PMI: facciamo il punto tra dazi e strategia di sopravvivenza

scritto da il 15 Settembre 2025

Post di Andrea Stecconi, CEO di Execus – 

Nonostante la politica dei tassi d’interesse della Banca Centrale Europea abbia contribuito a riportare l’inflazione su livelli prossimi al 2%, lo scenario economico globale resta caratterizzato da una congiuntura sfavorevole. In Italia, come nel resto dell’Eurozona, i prezzi stanno rallentando, ma le tensioni sui mercati energetici e delle materie prime mantengono alta la volatilità. A pesare ulteriormente è il rallentamento di partner chiave come Germania e Francia, che continuano a registrare performance economiche deboli. A complicare ulteriormente il quadro generale, si aggiungono la concorrenza del colosso cinese e la torsione protezionista dell’Amministrazione statunitense.

Annunciata lo scorso aprile con il cosiddetto Liberation Day, la politica dei dazi del Presidente Trump nei confronti dei paesi considerati worst offenders – nonostante vari e lunghi tentativi di mediazione – è divenuta operativa il 7 Agosto 2025. Nel caso europeo, anche in conseguenza della tregua commerciale raggiunta in Scozia tra l’Amministrazione americana e la Commissione Europea, sono state applicate aliquote tariffarie al 15% per la maggior parte delle importazioni statunitensi di prodotti europei, includendo settori strategici, tra i quali quello delle automobili, dei prodotti farmaceutici, dei semiconduttori e, infine, del legname.

Rimane aperta, e ancora in corso di definizione, la questione riguardante il settore tecnologico e il ruolo giocato dalle Big Tech. Il Presidente americano sembrerebbe difatti intenzionato a imporre ulteriori dazi e restrizioni all’export di tecnologia e semiconduttori statunitensi verso tutti quegli Stati, Unione Europea in primis, che regolamentano e tassano i giganti del Web. Nel complesso, questo concatenarsi di fattori geopolitici ed economici continua a erodere la capacità di resilienza e d’azione del mercato comune europeo.

In questo scenario, nonostante la forte instabilità delle proiezioni economiche, l’export italiano mostra segnali di tenuta e si apre a mercati secondari, prevalentemente extra europei, come quelli dell’Asia Orientale e del Medio Oriente. È quanto emerge dal report Export italiano: i rischi e le opportunità stilato da COFACE, agenzia di assicurazione sul credito. Il volume totale dell’export nel 2024, pari a 623,5 miliardi, sembra resistere, mantenendosi intorno agli stessi livelli del 2023, con un rallentamento generale minimo (-0,4%). Più nel dettaglio, se da un lato i settori dell’automotive (-12,2%), del manifatturiero tessile (-4,5%) e dei metalli (-3,3%) registrano tendenze negative; dall’altro, i settori riconducibili agli alimentari (+9,5%), alla farmaceutica (+7,9%) e alla gioielleria (+12,4%) mostrano crescite significative. Inoltre, l’apertura verso nuovi mercati emergenti, sebbene non compensi la contrazione della domanda dei mercati “maturi” (Germania, Francia, USA), contribuisce a sostenere la tenuta dell’export italiano.

A tal proposito, Confartigianato stima come, in caso di conferma degli attuali trend di crescita, i mercati secondari potrebbero generare un aumento delle esportazioni pari a 20,4 miliardi. A pesare sulle sorti future del commercio internazionale l’incognita dei nuovi dazi americani. Gli Stati Uniti, infatti, hanno un ruolo estremamente rilevante nell’export italiano, assorbendone circa l’11% del totale. Per il momento, anche l’ISTAT, nel suo ultimo rapporto relativo al giugno 2025, ribadisce la tendenza lievemente crescente dell’export italiano con un saldo commerciale (+ 5.409 milioni di euro) di gran lunga maggiore rispetto al 2024. Nello specifico, l’Istituto Nazionale di Statistica stima una crescita congiunturale più ampia per le esportazioni (+4%) rispetto alle importazioni (+3,3%). Da notare come l’aumento su base mensile delle esportazioni sia maggiore per l’area extra Ue (+6,3%) rispetto a quella Ue (+1,8%).

In questo contesto, le piccole e medie imprese, architrave del sistema produttivo nazionale, svolgono un ruolo di primo piano nel consolidamento della bilancia commerciale e nella promozione dell’internazionalizzazione. Profondamente radicate nel tessuto sociale del Paese, le PMI non solo contribuiscono significativamente alla crescita del PIL, ma stimolano anche l’innovazione tecnologica e rafforzano la coesione sociale. Numericamente consistenti (circa 200.000 unità), le PMI impiegano quasi 5,4 milioni di persone, corrispondenti a circa un terzo degli occupati totali.

A livello di introiti, generano un fatturato superiore a 1.000 miliardi di euro e producono un valore aggiunto che si avvicina al 40% del totale nazionale. Da qui la necessità di potenziare la presenza delle PMI – naturalmente orientate verso l’innovazione – non solo nei mercati tradizionali, ma anche in quelli emergenti. A tal proposito, il rapporto SACE Let’s growth: scenari di crescita per le imprese italiane rileva la necessità, per le imprese italiane, di diversificare i mercati di destinazione per rafforzare la propria posizione internazionale.

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Le stime attestano come le aziende che innovano e puntano al rafforzamento della propria filiera registrano una crescita del fatturato superiore di 2 punti percentuali rispetto a quelle che non investono negli stessi ambiti. (designed by Freepik)

Prendendo in considerazione due specifici indicatori (l’Export Opportunity Index e l’Investment Opportunity Index), il gruppo assicurativo finanziario ha individuato 14 mercati definiti GATE (Growth, Ambitious, Transforming and Entrepreneurial), tra cui rientrano Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, India, Vietnam, Messico e Brasile. A questo elenco si aggiunge il continente africano, di recente al centro dell’attenzione da parte del Governo italiano con il Piano Mattei.

Di conseguenza, è opportuno per le PMI ripensare il proprio posizionamento di marca e le proprie strategie commerciali. Tra le formule disponibili per la realizzazione di questo obiettivo, il futuro delle PMI passa inevitabilmente dalla cosiddetta Twin Transition, ovvero dall’integrazione dei principi di digitalizzazione e sostenibilità nella governance aziendale. È proprio in questo contesto che strumenti digitali come il Social Selling stanno emergendo come una vera e propria chiave di volta. Difatti, investire in tecnologia, digitalizzazione e formazione non solo migliora la produttività, ma rende le imprese più resilienti e competitive nel lungo periodo. Un’azienda che innova e rafforza la sua filiera, ad esempio, può diversificare i rischi e ampliare i propri margini di business.

Le stime attestano come le aziende che innovano e puntano al rafforzamento della propria filiera registrano una crescita del fatturato superiore di 2 punti percentuali rispetto a quelle che non investono in questi ambiti. In questo senso, strumenti agili e accessibili come l’e-commerce B2B e il Social Selling rappresentano un importante vettore di produttività. Questo perché abbassano la “scala minima” per accedere ai mercati esteri attraverso l’annullamento delle distanze fisiche (e culturali); riducono i costi di entrata; e, infine, annullano le asimmetrie informative. La Twin Transition risulta quindi congeniale per le realtà imprenditoriali più piccole che vogliono mantenere la propria autonomia e competitività in uno scenario di mercato sempre più imprevedibile.

Sul versante della digitalizzazione, le PMI italiane, anche grazie al finanziamento di risorse da parte del Next Generation EU, stanno accelerando i processi di riconversione sia nei comparti produttivi che nella gestione delle relazioni commerciali. Il report 2025 dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI della Polimi School of Management di Milano – realizzato con il supporto, tra gli altri, di Assolombarda – rileva come nel 2025 il 54% delle imprese italiane – più di una PMI su due – abbia dichiarato di investire con intensità nelle tecnologie digitali. Tuttavia, nonostante questi numeri sembrino incoraggianti, solo il 19% adotta le tecnologie avanzate in modo strutturato e trasversale a tutta l’organizzazione.

Da questo punto di vista, permangono ancora limitazioni di carattere culturale che impediscono una piena affermazione dei processi di digitalizzazione. Laddove il 47% delle imprese evidenzia criticità nell’accesso alla connettività, il 59% lamenta la carenza di figure specializzate. In tutto ciò, la formazione resta ancora un obiettivo lontano: il 38% delle PMI non riconosce la necessità di alzare il livello delle skill digitali interne. Per colmare questo divario, l’Unione Europea ha varato il programma strategico Decennio Digitale Europeo, avviato nel 2022. A livello nazionale, l’Italia ha integrato questi obiettivi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), finanziato attraverso il programma europeo Next Generation EU.

Tra le soluzioni digitali più diffuse, il Social Selling rappresenta uno strumento efficace per consolidare la presenza delle PMI sui mercati esteri. A tal proposito, lo SME Digital Growth IndeX realizzato da Webidoo Insight Lab afferma come il 54,8% delle PMI italiane utilizzi già i social media per promuovere i propri servizi, dimostrando una crescente consapevolezza del loro potenziale strategico. L’adozione di piattaforme come LinkedIn, che nel 2025 conta oltre 1,2 miliardi di utenti, permette alle aziende non solo di entrare in contatto diretto con buyer, distributori e stakeholder esteri, ma anche di raccogliere preziose informazioni di mercato e curare il posizionamento del proprio marchio.

Secondo una pubblicazione comparsa sull’International Business Review, l’uso dei social media da parte delle imprese esportatrici migliora notevolmente la comunicazione virtuale con i clienti e rafforza le relazioni transfrontaliere, contribuendo anche a una riduzione indiretta dei costi di esportazione. A conferma dell’efficacia dello strumento, i dati LinkedIn segnalano come il Social Selling generi il 45% di opportunità di vendita in più rispetto ai metodi tradizionali. Inoltre, il 31% dei professionisti B2B ha dichiarato di aver costruito relazioni più solide con i clienti proprio grazie a questo approccio.

In conclusione, in un contesto globale segnato da un’inflazione in calo ma ancora soggetta a volatilità, dal rallentamento delle principali economie europee e da una crescente incertezza geopolitica, le PMI italiane sono chiamate a rafforzare la propria competitività attraverso strategie di export sempre più orientate a digitalizzazione e sostenibilità. Ripensare il posizionamento di marca e adottare strumenti come il Social Selling non rappresenta più un’opzione, ma una risposta indispensabile per restare autonomi in un mercato in rapida trasformazione. La sfida per il futuro passerà dal potenziamento delle digital skills e dall’uso della tecnologia come leva per una crescita duratura e sostenibile.