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Commercio e AI, Italia vs. Europa: come vincere la sfida


Post di Paolo Picazio, Country Manager Italia di Shopify –
L’intelligenza artificiale (AI) è uscita dalla dimensione “futuristica” in cui per anni ha rischiato di rimanere confinata per diventare, invece, un elemento sempre più concreto della quotidianità d’impresa. Dalla generazione di contenuti all’analisi dei dati, fino al supporto nella gestione dei processi, le applicazioni sono ormai alla portata di qualsiasi azienda, indipendentemente da dimensioni e settore. Questo passaggio epocale apre nuove possibilità, ma porta con sé anche interrogativi profondi: in che modo PMI e aziende italiane stanno realmente utilizzando l’AI? E quali priorità emergono nei diversi mercati europei?
Per rispondere a queste domande, Shopify ha condotto un sondaggio che ha coinvolto oltre 1.000 dei suoi merchant in cinque mercati chiave (Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito). Il quadro che emerge è sfaccettato e offre spunti per comprendere come le diverse economie si stanno preparando a sfruttare – o talvolta a frenare – l’impatto di questa trasformazione.
Italia: marketing e contenuti al centro
In Italia, il dato più significativo è che le aziende guardano all’AI soprattutto come strumento per rafforzare marketing e comunicazione: secondo i dati emersi dal sondaggio, il 47% prevede di utilizzarla per attività come raccomandazioni di prodotto e social advertising, mentre il 46% intende sfruttarla per la generazione di contenuti. È il valore più basso tra i mercati europei analizzati, ma segnala comunque un’apertura crescente.
Questa preferenza non è casuale: in un tessuto produttivo come quello italiano, composto in larga parte da PMI, l’AI viene percepita prima di tutto come leva per aumentare la visibilità e la capacità di raggiungere i clienti. In mercati ad alta concorrenza, saper comunicare in modo efficace e personalizzato può fare la differenza. Tuttavia, questa scelta evidenzia anche un approccio più prudente verso gli ambiti di automazione e ottimizzazione dei processi, che richiedono investimenti tecnologici e organizzativi più complessi.
Le altre priorità
Guardando al dettaglio, il 39% delle aziende italiane intende utilizzare l’AI per i servizi di traduzione, utile per chi si apre a mercati esteri; segue il 35% che la impiega per la creazione di immagini di prodotto, utile a ridurre tempi e in alcuni casi i costi di shooting fotografici, e il 30% che la considera per migliorare customer experience e servizio clienti attraverso assistenza e supporto automatizzati.
Più contenuta è la percentuale di chi vede nell’AI un alleato per la razionalizzazione dei processi interni (27%) o per l’ottimizzazione dei prezzi (25%). Soltanto un quinto dei merchant italiani (20%) dichiara invece di volerla applicare per attività di fraud detection (prevenzione e identificazione delle frodi) o per lo sviluppo di nuovi prodotti.
Segnali che confermano come, almeno per ora, l’approccio delle aziende italiane all’intelligenza artificiale resti maggiormente orientato verso ciò che genera impatti più immediati sul fronte della comunicazione e delle vendite.
Europa e AI: strategie e scenari a confronto
Il quadro italiano assume ulteriore rilevanza se messo a confronto con gli altri Paesi coinvolti nello studio. In Germania, ad esempio, il 60% dei merchant dichiara di voler usare l’AI per la generazione di contenuti, mentre il 51% la considera per attività di marketing: percentuali più alte che riflettono un ecosistema tecnologico maturo e orientato alla sperimentazione.
Oltralpe, in Francia, il focus è sulla customer service: il 38% dei merchant prevede di utilizzare l’AI per migliorare la relazione con i clienti, il valore più alto tra i cinque mercati. In Spagna, invece, emerge un orientamento più trasversale: oltre metà dei merchant (52%) intende usarla per il marketing e il 41% per l’analisi dei dati, dimostrando una propensione ad abbracciare l’AI come leva di efficienza interna oltre che di crescita.
Il Regno Unito, infine, si distingue per un approccio più cauto: solo il 27% dei merchant britannici considera l’AI per la customer service, il dato più basso tra i cinque mercati, mentre il 23% guarda alla personalizzazione dell’esperienza cliente.
Queste differenze raccontano di ecosistemi a velocità diverse, che rispecchiano non solo il grado di maturità digitale, ma anche le specificità culturali ed economiche di ciascun Paese.
Cosa significano queste scelte per la competitività delle imprese italiane?
La propensione a utilizzare l’AI in un ambito piuttosto che in un altro non è neutrale. Significa orientare risorse, competenze e investimenti in una direzione precisa. Nel caso italiano, la priorità al marketing e ai contenuti conferma una visione pragmatica: rafforzare la capacità di comunicare e attrarre clienti è spesso il primo passo per crescere.

Integrazione dell’AI: sono diverse le aree strategiche in cui si svolge la gara della competitività in Europa
Tuttavia, questa deve essere solo la fase iniziale di un percorso che dovrà progressivamente includere l’integrazione dell’AI in altre aree strategiche come supply chain, pricing e processi interni. In questo modo le imprese potranno non solo sostenere la crescita, ma anche rafforzare la competitività e generare valore reale per l’economia italiana, mantenendosi allineate all’evoluzione dei mercati globali.
Il fattore culturale
Alla base delle differenze e delle peculiarità di approccio per ciascun mercato si intravede anche un fattore culturale. In tutti i Paesi, compresa l’Italia, le imprese stanno affrontando un percorso di consapevolezza progressiva verso l’adozione dell’AI. Spesso si parte con cautela, privilegiando soluzioni che mostrino ritorni immediati e concreti, ma questo non significa essere in ritardo: è un approccio che rispecchia le diverse esigenze locali e i diversi livelli di maturità digitale.
I dati emersi dalla survey evidenziano come l’intelligenza artificiale non debba essere vista solo come un alleato per il marketing, ma come un’infrastruttura di competitività a 360 gradi. La vera sfida non è solo generare un annuncio più efficace, ma costruire aziende capaci di affrontare mercati sempre più complessi con nuovi strumenti che semplificano, prevedono e ottimizzano.
Uno sguardo al futuro: andare oltre la prudenza
La lezione che arriva dall’Europa è chiara: non esiste un’unica traiettoria, ma in tutti i mercati analizzati l’AI sta diventando parte integrante delle strategie di business. L’Italia, con la sua maggior propensione per marketing e contenuti, mostra segnali di apertura ma anche un certo grado di prudenza. È una posizione intermedia, che riflette il diverso grado di maturità digitale e le esigenze specifiche delle nostre imprese.
Il punto, però, è un altro: l’intelligenza artificiale non è più un’opzione, ma può essere un fattore determinante della competitività. Le aziende che sapranno integrarla non solo per comunicare, ma anche per migliorare i processi e innovare prodotti e servizi, saranno quelle che riusciranno a costruire un vantaggio sostenibile.
Conclusione: tradurre la tecnologia in un vero vantaggio competitivo
Siamo in un momento in cui l’AI rischia di essere percepita come una moda, perché accessibile a tutti e facilmente sperimentabile. Ma ridurne il ruolo a un semplice strumento tattico significherebbe perdere di vista la sua portata rivoluzionaria. L’AI deve essere, prima di tutto, un abilitatore di sistema, uno strumento al servizio della crescita e non con un fine a sé stante, potenzialmente in grado di trasformare il modo in cui le aziende italiane competono, crescono e si rapportano al mercato globale.
Il compito, ora, è passare dalla curiosità alla strategia: trasformare l’apertura verso l’AI in una scelta consapevole e strutturata, che accompagni le imprese verso una nuova fase di maturità digitale. Solo così la tecnologia può tradursi in un vantaggio competitivo reale e duraturo, sostenendo lo sviluppo del commercio digitale italiano e preparandolo alle sfide dei prossimi anni.