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Tassare i ricchi?


Probabilmente è vero che a livello globale, nel mondo, le disuguaglianze sono diminuite grazie alla globalizzazione. Centinaia di milioni di persone in Cina, India, Indonesia, Brasile e altri Stati sono uscite dalla povertà grazie al commercio globale. Questa riduzione delle disuguaglianze, però, non c’è nei paesi ricchi, come il nostro, dove invece le disuguaglianze sembrano crescere.
Nel marzo 2025 i miliardari erano quasi 150 in Francia con una ricchezza totale di 730 miliardi, 130 in Germania per una ricchezza totale di 637miliardi, più di 70 in Italia per una ricchezza totale di 314 miliardi (Fonte: EU Tax Observatory).
Su queste basi cresce il dibattito per l’introduzione di una patrimoniale sui ricchi, cioè una tassa sulla ricchezza, non sul reddito, netta (1). Se ne è parlato anche in Italia, senza arrivare a proposte operative, ma è in Francia in questi giorni che se ne discute di più. Gabriel Zucman, della Paris School of Economics, ha proposto una tassa del 2% annuo sul patrimonio netto di chi possiede più di 100 milioni di euro.
Una goccia nel mare del debito pubblico
Zucman ha fatto arrabbiare Bernard Arnault, miliardario del lusso che possiede marchi come Louis Vuitton, Bulgari, Loro Piana e Christian Dior. Nelle intenzioni di Zucman la tassa potrebbe raccogliere venti miliardi, ma secondo altre fonti, critiche verso la proposta, considerando l’elusione, la migrazione dei capitali e l’evasione si raggiungerebbero solo cinque miliardi, una goccia nel mare del debito pubblico francese.
Inoltre, dicono i critici, una tassa del 2% sui patrimonio oltre 100 milioni potrebbe colpire start up ad alta valutazione ma con profitti nulli, costringendo i proprietari a vendere quote (Mistral, il chatbot francese di intelligenza artificiale vale 11 miliardi) e favorirebbe elusione e migrazione capitali. La soluzione potrebbe essere permettere il pagamento della tassa in natura (quote azionarie).

Esiste la volontà politica di chiamare i ricchi a un contributo più equo al bene pubblico? (designed by Freepik)
Venendo al nostro Paese, il patrimonio privato complessivamente posseduto dalle famiglie italiane è stimato principalmente da due fonti: la Banca d’Italia, per la parte finanziaria, e l’Istat, per quella non finanziaria. La prima componente è stimata in circa 3.500 miliardi, al netto delle passività (mutui ed altri debiti), e la seconda in circa 6.500 miliardi, per un totale di circa 10.000 miliardi di euro. Aggiungendo lo stock di attività non finanziarie possedute dalle imprese, pari a circa 3.000 miliardi, il patrimonio privato complessivo in Italia è stimabile in circa 13.000 miliardi, ovvero circa 6 volte il Pil.
I trucchi per “vestire” gli utili da capital gains
Il gettito potenziale di un’imposta patrimoniale in Italia dipende ovviamente dalle aliquote e dalla base imponibile presa in considerazione. Secondo alcune stime potrebbe variare da 3 miliardi a 10 miliardi di euro all’anno. Oxfam Italia indica un gettito potenziale tra 13,2 e 17,85 miliardi di euro all’anno per l’Italia. Un’altra stima (eticaeconomia.it) replica la proposta Zucman per l’Italia, stimando in 7 miliardi il gettito di una imposta patrimoniale del 2% annuo su patrimoni superiori a 5 milioni.
Ma i ricchi sono bravissimi nello sfuggire alle imposte. Consideriamo quelle sul reddito e prendiamo il caso dei fondi di investimento, come i private equity. I loro guadagni derivano da due fonti: l’aumento del valore degli investimenti (capital gain), e gli utili distribuiti agli investitori. I primi sono tassati in genere molto meno dei secondi. Per questo vengono attuati dei trucchi per “vestire” gli utili da capital gain, pagando aliquote molto più basse, 27% contro 45% in Italia. Questa abilità permette trucchi anche nell’imposta patrimoniale, dove è facile manipolare la base imponibile.
L’elemento centrale è, comunque, la volontà politica di chiamare i ricchi a un contributo più equo al bene pubblico, una volontà che è la risorsa più scarsa quando in gioco c’è la ricchezza dei ricchi, ma molto più abbondante quando si tratta di toccare la “ricchezza” dei ceti popolari, che è in buona parte fatta di servizi pubblici.
E proprio i servizi pubblici si richiamano alla teoria di Michael Sandel: invece di tassare i super ricchi bisogna restringere il campo delle cose vendibili e comprabili, facili prede della finanza privata, aumentando il campo delle cose che non si possono vendere o comprare: istruzione, sanità pubblica, biblioteche, verde pubblico. Questi servizi riducono implicitamente le disuguaglianze. A parità di reddito tassato.
NOTA
(1) Si discute molto della tassazione degli ultraricchi, ma le analisi con numeri credibili sono scarse. Ecco una analisi scettica ma documentata. E una panoramica sulla tassazione patrimoniale in Europa.