Sostenibilità: non è scomparsa, si è solo fatta più scomoda

scritto da il 30 Ottobre 2025

Post di Mauro Lajo, consigliere delegato per la sostenibilità di Confindustria Cisambiente e AD di Forever Bambù – 

Negli ultimi mesi, chi si occupa di sostenibilità ambientale ha percepito chiaramente un cambio di tono. Temi che fino a ieri erano “sexy”- protagonisti di convegni, campagne, investimenti – oggi sembrano aver perso centralità. Il sentiment è diffuso. Le imprese guardano altrove, schiacciate da altre urgenze e convinte, spesso, che la transizione ecologica possa aspettare.

Ma c’è un equivoco di fondo: se la sostenibilità può perdere appeal, gli obiettivi climatici no. L’Europa non ha arretrato di un millimetro rispetto ai target che si è data. Restano fermi il -55% di emissioni entro il 2030, il -90% al 2040 e la neutralità climatica al 2050. Il Governo italiano continua a ribadire questi traguardi, e non potrebbe essere altrimenti. Significa che, piaccia o meno, le imprese dovranno adeguarsi.

E qui nasce il problema: molti imprenditori non hanno ancora compreso davvero cosa questo significhi.

Proviamo a tradurlo in parole semplici. Se oggi, nel 2025, un’azienda consuma 100 unità di energia, materie prime, trasporti, logistica e produzione, nel 2030 dovrà farne 45. Non perché “fa green marketing”, ma perché i suoi processi dovranno essere realmente decarbonizzati. Significa metà chilometri percorsi, metà ore di macchinari accesi, metà energia consumata, metà emissioni. Con un fatturato da mantenere – o da far crescere. Se spostiamo la linea al 2040, questo taglio sarà del 90%.

Ora, immaginate il signor Rossi e la sua fabbrica. Oggi produce a pieno regime. Se non pianifica nulla, nel 2030 si troverà con metà impianto fermo, costretto a tagliare produzione e margini. Non perché qualcuno lo punisce, ma perché i costi energetici e ambientali, i vincoli normativi e la pressione dei mercati glielo imporranno. Non sarà una scelta.

sostenibilità

La sostenibilità non è scomparsa: la riduzione delle emissioni resta l’obiettivo e non è gratuita. Le imprese devono investire e riorganizzarsi concretamente per rispettare i target (immagine da Freepik)

In questo scenario, i crediti di carbonio assumono un ruolo strategico, non accessorio. Se la politica può rallentare la narrazione, il carbon market resta centrale: le aziende dovranno necessariamente compensare le emissioni residue, e lo faranno attraverso strumenti certificati e misurabili.

Non è più tempo di chiedersi se la decarbonizzazione arriverà, ma quando e come farsi trovare pronti. Perché la curva del cambiamento non aspetta nessuno: chi si muove oggi, investendo in efficienza e crediti di carbonio reali, si troverà domani in vantaggio competitivo. Chi la ignora, rischia di trovarsi con le luci spente e la metà dei ricavi.

La transizione non è un optional da calendario politico. È un orizzonte già scritto. Ed è ora di guardare dalla parte giusta. Perché il ritardo di ognuno potrebbe rischiare di essere la fine di tutti e del Made in Italy.