Chi controllerà il futuro: le nove forze che stanno riscrivendo il potere globale

scritto da il 18 Novembre 2025

Post di Alessandro Magnoli Bocchi, fondatore e Chief Investment Officer di Foresight Advisors. 

 

Il potere si sta ridistribuendo in modi difficili da prevedere. Nel breve periodo prevarrà chi controlla; nel lungo, il controllo potrebbe non bastare. Le stesse tecnologie che oggi concentrano potere potrebbero, domani, rovesciarne gli equilibri.

A decidere la prossima decade sarà il conflitto tra efficienza e libertà. La transizione non sarà indolore né lineare.

Il contesto accelera le nuove dinamiche

La crescita globale ristagna — attorno al 3,2% nel 2025 e 3,1% nel 2026 (IMF, 2025) — trainata da pochi settori ad alta concentrazione di capitale, dati ed energia. La demografia rallenta; la produttività non si diffonde; la liquidità abbonda ma non trova sbocchi reali. È un capitalismo che amministra inerzia più che generare mobilità sociale.

In questo quadro, nove forze stanno spostando il baricentro dal produrre al controllare. Rendono il sistema più efficiente ma meno libero. Eppure, nel lungo periodo, potrebbero anche rivoluzionarlo

1. La frattura USA–Cina diventa strutturale

Il mondo multipolare arretra: la nuova architettura del mondo è una bipolarità non cooperativa. Il decoupling è ormai realtà. Gli investimenti difensivi e i controlli sull’export duplicano filiere di chip, cloud e sicurezza, erodendo le economie di scala e moltiplicando i costi (IMF, 2025).

La globalizzazione si ritrae in blocchi regionali. La fiducia evapora, la ridondanza cresce: il potere si sposta sull’accesso — a tecnologie, energia, reti e mercati. Gli Stati Uniti e la Cina non competono solo sull’AI ma sull’egemonia della capacità computazionale: chi controlla la potenza di calcolo, controlla la traiettoria dell’innovazione.

Nel breve, la sicurezza prevale sull’efficienza; la resilienza diventa un costo strutturale. Nel lungo, emergeranno “alleanze di scopo” fra blocchi — cooperazioni selettive su beni critici e standard comuni (Autor, Dorn and Hanson, 2016).

Che fare? Creare corridoi sicuri per chip, energia e materie critiche, e garantire un livello minimo di interoperabilità tra blocchi. Il rischio del XXI secolo non è il contagio da interdipendenza, ma l’isolamento dell’autarchia.

2. L’intelligenza artificiale crea monopoli

L’AI riduce costi e tempi, ma concentra valore e potere. Chi controlla chip, energia e cloud decide chi può innovare (WEF, 2025). Nata per democratizzare il sapere, l’AI rischia di feudalizzare: diventa gerarchia di accesso e infrastruttura di potere (Acemoğlu and Robinson, 2012; Kurz, 2023).

Nasce un capitalismo di licenze, dove la conoscenza è proprietà privata e la produttività si trasforma in rendita. Il vantaggio competitivo non è più nell’idea, ma nella capacità di farla funzionare.

Nel breve, i modelli richiedono dati, il calcolo energia e l’energia capitale. La produttività cresce “a macchie di leopardo”: le regioni con accesso attirano valore, mentre le altre si svuotano; i salari si polarizzano.

Nel lungo, se l’infrastruttura cognitiva diventerà bene pubblico — con calcolo condiviso, dataset verificabili e standard aperti — l’AI potrà riaprire la frontiera dell’innovazione diffusa.

Che fare? Creare commons pubblici di calcolo e dati, audit indipendenti dei modelli e standard aperti. L’AI deve essere un’infrastruttura civile, non una rendita privata.

3. Le piattaforme sono i nuovi feudi

Il capitalismo digitale ha assunto forma feudale. Chi controlla ranking, logistica e pagamenti controlla la domanda, e quindi il valore (Varoufakis, 2024). Non produce, intermedia. Il profitto non nasce più dall’invenzione ma dalla posizione.

Ogni clic è una tassa privata, ogni algoritmo un contratto non negoziabile. Gli utenti diventano fornitori inconsapevoli di dati: ogni interazione alimenta il monopolio informativo. La rendita di canale crea mercati chiusi, algoritmi opachi e pedaggi obbligati, dove il contratto privato sostituisce la regola pubblica (Kurz, 2023).

Nel breve, le piattaforme centralizzano potere e valore; gli Stati reagiscono moltiplicando la sorveglianza, ma finiscono per legittimare il controllo che dovrebbero limitare. Le imprese si inchinano alla compatibilità: si compete solo alle condizioni del gatekeeper.

Nel lungo, una combinazione di pressione normativa antitrust, maturità tecnologica e diritti digitali potrebbe frammentare i feudi, favorendo reti aperte e interoperabili.

Che fare? Rendere obbligatoria la portabilità dei dati e la trasparenza algoritmica. La vera libertà digitale è il diritto di uscita: poter lasciare una piattaforma senza uscire dal mercato.

4. Lo Stato controlla di più, ma ispira meno fiducia.

lo Stato è diventato un algoritmo di sorveglianza: identità digitali con dati biometrici, flussi finanziari monitorati da controlli antiriciclaggio (AML) rendono ogni procedura più efficiente, ma ogni cittadino più esposto. I governi misurano tutto ma rispondono di poco, e intervengono nell’economia confondendo potere pubblico e privato.

Da diciannove anni consecutivi i diritti civili arretrano (Freedom House, 2025). Si consolidano i paradossi contemporanei: più dati, meno libertà; più trasparenza, meno privacy; più sorveglianza, meno legittimità.

Nel breve, la sicurezza sostituisce la fiducia. Nel lungo, una burocrazia automatizzata non legittimata rischia di logorare la cooperazione sociale.

Che fare? Rendere lo Stato verificabile: registro pubblico degli accessi ai dati, giustificazione delle decisioni automatizzate, rimedi effettivi. La tecnologia può rafforzare la fiducia solo se la trasparenza è reciproca.

5. La fiscalità diventa sorveglianza e i pagamenti perdono fiducia

La tassazione entra nell’era della visibilità totale. Gli Stati, a corto di risorse, usano AI e identità digitale per inseguire basi imponibili mobili.

La rete FATCA degli USA — che tassa per cittadinanza e non per residenza — si espande come infrastruttura globale: anche la Francia valuta una “citizenship tax”. Il Regno Unito ha abolito lo status di non-dom. Germania e Svizzera valutano patrimoniali e imposte di successione più severe.

Nella sfera pubblica, la cittadinanza diventa un profilo di controllo permanente. Nella sfera privata, ogni transazione è tracciabile e ogni conto può essere sospeso da un algoritmo. L’accesso al denaro diventa revocabile, non garantito.

Nel breve, la tecnologia amplia la capacità impositiva ma riduce la legittimità. Nel lungo, la trasparenza senza garanzie incentiva l’evasione difensiva e dissolve il patto fiscale. Il rischio è che la tassazione diventi un’arma di sfiducia reciproca: più lo Stato sa, meno è percepito come legittimo.

Cittadini e imprese cercano rifugio: oro fisico, blockchain, valute decentralizzate, circuiti informali. Così evapora la fiducia collettiva, si assottiglia la base imponibile e cresce la pressione fiscale sul lavoro (Case and Deaton, 2020).

Che fare? Tassare la rendita più del lavoro, fissare limiti internazionali alla profilazione fiscale, garantire diritti di continuità nei pagamenti: nessun blocco algoritmico senza contraddittorio.

6. Energia e calcolo diventano i nuovi vincoli di crescita

La potenza elettrica è il capitale del XXI secolo. L’AI consuma energia e vive di rete. I modelli più complessi richiedono carichi di picco e reti stabili.

Entro il 2030, i data center assorbiranno oltre 945 TWh, il doppio di oggi. Negli Stati Uniti, quasi metà della crescita della domanda elettrica sarà dovuta a data center e AI. I capitali si spostano dal software al megawatt, dalle linee di codice ai contratti di capacità. Si costruisce e si finanzia tutto a leva, come se la domanda fosse infinita — ma l’energia non lo è.

Nel breve, chi controlla la potenza elettrica controlla il ritmo dell’innovazione. Tuttavia, i data center si degradano rapidamente, i chip diventano obsoleti in pochi anni, e l’infrastruttura viene spacchettata in strumenti finanziari complessi. Anche qui il rischio non sparisce: si sposta lungo la catena finanziaria.

Nel lungo, chi investirà nella capacità programmabile e nelle reti distribuite otterrà economie di scala esponenziali, industriali e geopolitiche. La produttività dipenderà da accesso certo, tempi di allaccio brevi, costi prevedibili e accumulo. La Cina, che può decidere dove e come generare energia senza troppi vincoli, parte con un vantaggio strutturale rispetto a Europa e Stati Uniti.

Che fare? Trattare l’energia come infrastruttura strategica dell’AI: investire in reti e stoccaggi, con regole pro-concorrenza sull’accesso e tutela dei nodi critici. La generazione distribuita — rinnovabili, microgrid, nucleare modulare — può restituire autonomia e resilienza.

7. L’AI può riscrivere le istituzioni, sostituirsi al mercato e ridurre il ruolo delle imprese

Oggi l’AI accentra. Domani potrebbe dissolvere, cambiando le regole del gioco.

L’economia moderna si è sempre retta su due meccanismi di coordinamento: i prezzi (mercato) e la pianificazione (Stato). Sinora, nessun centro poteva processare l’informazione dispersa trasmessa dai prezzi (Hayek, 1945); ma se l’informazione diventa computabile in tempo reale, la pianificazione può farsi automatica. Agenti di AI capaci di negoziare autonomamente abbattono i costi di transazione e rendono ridondanti molte funzioni d’impresa (Coase, 1937).

L’AI potrebbe sostituire i prezzi come segnale della scarsità, coordinando domanda, produzione e distribuzione su bisogni effettivi, tempi certi e vincoli fisici — non più solo sul potere d’acquisto.

È la promessa — o il rischio — di una “pianificazione cognitiva”: può mitigare la logica del profitto, ma al prezzo della libertà.

Che fare? Impedire che la pianificazione cognitiva diventi privata. Gli agenti devono appartenere agli utenti, non alle piattaforme. La libertà economica del futuro dipenderà dalla proprietà degli algoritmi. L’efficienza non deve sostituire la scelta.

8. Le multinazionali bypassano lo Stato

Il potere politico migra verso attori transnazionali. Le grandi corporation — tecnologiche, finanziarie, energetiche — dispongono di dati, capacità d’investimento e continuità temporale che i governi non hanno.

Le prime cinque Big Tech — Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon — valgono quanto intere aree economiche. Ma il punto non è la dimensione: è la sovranità di fatto che esercitano. Gestiscono identità, pagamenti, cloud, standard — funzioni tipiche della sovranità — e condizionano settori chiave quali difesa, energia e sanità.

Nel breve, i governi reagiscono con tasse e regolazioni; nel lungo, rischiano di essere aggirati da infrastrutture private che si comportano come beni pubblici, ma senza controllo democratico. La sovranità si frantuma in reti di potere senza territorio.

Che fare? Istituire uno statuto fiduciario globale per le infrastrutture essenziali — cloud, pagamenti, identità digitale — con governance mista e rappresentanza effettiva degli utenti.

9. Il potere si sposta tra generazioni

Il riassetto del potere non avviene solo tra Stati e imprese, ma tra generazioni. Il più grande trasferimento patrimoniale della storia — oltre 80 mila miliardi di dollari entro il 2035 — cambierà chi decide priorità e investimenti.

Nel breve, il capitale accumulato nell’era industriale consoliderà le oligarchie ereditarie, estendendosi al digitale e alla finanza.

Nel lungo, le nuove generazioni globali e digitali — meno legate a confini, proprietà fisiche e istituzioni tradizionali — potrebbero ridefinire la nozione stessa di ricchezza: più accesso e reputazione, meno possesso. Il futuro del capitalismo si giocherà anche qui: non solo tra Stati e imprese, ma tra età e visioni del mondo.

Che fare? Favorire la mobilità intergenerazionale: piani azionari diffusi, crediti d’imposta per investimenti produttivi, accesso facilitato al capitale per innovatori e imprese sociali. La successione del potere deve diventare occasione di rigenerazione, non di cristallizzazione.

Il capitalismo è in revisione

Sta perdendo il suo collante: la fiducia. La produttività resterà concentrata nei nodi che controllano modelli e reti; la ricchezza in pochi bilanci. Gli Stati, più potenti ma meno legittimi, misureranno di più e risponderanno di meno.

È un capitalismo che sopravvive ma non convince: efficiente per chi lo presidia (AI monopolistica, piattaforme chiuse, fiscalità algoritmica), opaco e meno libero per chi lo subisce.

Eppure, la storia del potere non è mai stata lineare. Le stesse forze che oggi accentuano il controllo possono, se rese aperte e interoperabili, redistribuirlo.

Il prossimo decennio si decide tra accesso condiviso e rendita tecnologica. Il primo genera crescita e libertà; la seconda cristallizza asimmetrie e disuguaglianze.

Se accettiamo che l’AI resti una rendita e le piattaforme feudi, avremo più efficienza e meno libertà. Se invece progettiamo infrastrutture aperte — calcolo, dati, pagamenti, identità — con accountability pubblica e diritti portabili, la produttività potrà tornare a significare sviluppo, non dominio.

Il potere si sta ridistribuendo: la frizione è certa, l’esito no.

 

Bibliografia