Avere paura o no del TTIP? Sostiene Rodrik…

scritto da il 07 Maggio 2015

Un silenzio quasi completo avvolge in Italia la negoziazione in corso a Bruxelles sul TTIP, il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti che dovrebbe creare un’area di libero scambio comprendente l’Unione Europea e gli Stati Uniti, mentre invece dall’altro lato dell’oceano numerose voci mettono in dubbio i vantaggi per le rispettive economie che la dottrina economica mainstream attribuisce all’apertura dei mercati e all’eliminazione di barriere al commercio.

Il docente di Princeton Dani Rodrik, famoso per i suoi studi sugli effetti della globalizzazione sui sistemi politici e sociali, analizza in un bel post sul suo blog i modelli economici sugli effetti del trattato, usati nella loro propaganda, a seconda dei casi, dai favorevoli o dai critici.

Secondo Rodrik gli effetti macroeconomici positivi del trattato, prospettati dal modello usato per illustrarne i vantaggi, sarebbero comunque limitati: ci sarebbe un incremento anche cospicuo delle quantità dei beni scambiati che potrebbe certo avvantaggiare i consumatori tramite una diminuzione dei prezzi, ma, essendo le barriere commerciali attuali sulle merci già piuttosto esigue, tale vantaggio e il suo conseguente impatto sulla crescita economica sia degli Stati Uniti che dell’Ue sarebbe talmente basso da essere inferiore al punto percentuale di Pil a pieno regime.

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L’analogo modello di matrice keynesiana usato per criticare il TTIP prospetta invece un calo del Pil e dell’occupazione nella Ue, dovuto a un peggioramento del saldo attuale fra import ed export rispetto agli Stati Uniti. Anche qui l’effetto sarebbe a breve termine e comunque limitato a livello di dati macro nelle due aree economiche in oggetto.

Giustamente Rodrik sottolinea invece che i maggiori rischi derivanti dal trattato sarebbero quelli legati all’armonizzazione delle regole e dalla normativa ISDS (Investor-State dispute settlement), che potrebbe portare a rischi sociali ed economici legati all’indebolimento delle legislazioni nazionali ed europee, a rischio di finire sotto ordinate rispetto alle previsioni del trattato e al meccanismo di risoluzione delle dispute sulle differenze normative fra Usa ed Ue.

I vantaggi e gli svantaggi macroeconomici sarebbero in definitiva di piccola entità, ma si avrebbe un mutamento dei rapporti di forza e, probabilmente, delle quote di mercato, con un ulteriore indebolimento delle aziende medio-piccole, che non potrebbero certo “gareggiare” con le grandi, pensiamo poi con le multinazionali, nel campo delle regole.

Chi potrà permettersi di pagare parcelle milionarie a studi legali specializzati acquisirebbe una posizione dominante assolutamente incompatibile con l’even playing field, cioè la parità di condizioni di partenza nella competizione economica, che è uno dei capisaldi del libero mercato di matrice liberale. Una sorta di “lobbying on steroids” sarebbe invece il risultato possibile e non auspicabile dell’applicazione del nuovo trattato.

Considerando che la struttura manifatturiera italiana non brilla certo per dimensione aziendale è facile anche prevedere che questi effetti sarebbero più accentuati da noi che in altri paesi dell’Unione. Un aspetto che è al momento assolutamente trascurato nelle entusiastiche parole del governo Renzi a proposito del TTIP.

Nel prossimo post analizzerò invece le preoccupazioni della sponda americana sul mercato valutario rispetto al trattato transatlantico.

Twitter @AleGuerani