La guerra di Uber e una richiesta a @dettaarese

scritto da il 27 Maggio 2015

Uber divide e fa discutere come poche altre cose al mondo. L’ordinanza del tribunale di Milano che ha disposto il blocco del servizio UberPop su tutto il territorio nazionale (su Infodatablog la differenza da Uber Black, che non subisce stop) ha riacceso la tenzone. Da una parte gli strenui difensori dello stato delle cose (i tassisti, che hanno vinto il primo round), inteso come rispetto della normativa in vigore – la 21/1992 (che regola il trasporto pubblico non di linea) più il Codice della Strada – dall’altra gli ultras dell’innovazione. Secondo questi ultimi se un nuovo player risponde alle esigenze dei consumatori, beh tanto basta a giustificarne l’ingresso in campo, anche in assenza di un arbitro o di un’equilibrata riscrittura delle regole. Il mercato, in fondo, sarà giudice supremo e farà giustizia.

Ho letto con interesse e apprezzato l’intervento di Giacomo Lev Mannheimer sul Leoni Blog. Coglie nel segno più di molti altri commenti apparsi su testate e social network. È vero, il punto qui è la politica. Era il 22 maggio, ma del 2014, quando il presidente del Consiglio Matteo Renzi disse di Uber – in piena fase di polemiche e scioperi dei tassisti – “servizio straordinario, ci pensiamo la settimana prossima”. Dopo un anno è toccato a un tribunale, come troppo spesso capita in Italia, mettere mano alla questione. Dolorosamente per l’azienda californiana, almeno per ora.

Uber ricorrerà, lo ha già fatto in molti altri Paesi (dalla Francia al Belgio, dalla Spagna all’Olanda, agli stessi Stati Uniti) in cui è incorsa in sospensioni del servizio, sempre su richiesta dei tassisti (non solo in Italia si difende il privilegio di avere un posto di lavoro, pare). Addirittura il sindaco tory di Londra, Boris Johnson, non un pericoloso comunista, si è posto il problema di come trovare un punto di equilibrio. Ma intanto resta aperta la domandona di rito: riusciranno i nostri eroi (Governo, Autorità dei trasporti) a dare risposte adeguate?

Soprattutto perché, ad avviso di chi scrive, i policy maker non possono ignorare quali sfide ponga Uber.

Non c’è soltanto il profilo dell’innovazione tecnologica. I taxi – pur meno attrezzati di un colosso ormai ex startup, visto che viene valutato 40-50 miliardi di dollari – possono sempre impegnarsi per essere più competitivi, com’è auspicabile che sia per la loro sopravvivenza (ne ha scritto Rosamaria Bitetti qui su Econopoly) e per elevare il livello qualitativo del servizio. Proprio oggi sul Sole 24 Ore abbiamo dato notizia del lancio della nuova Apptaxi.

Una questione centrale, su cui molti sorvolano, è la qualità e la retribuzione del lavoro. È il modo in cui Uber e gli altri player globali della cosiddetta sharing economy impattano sugli equilibri esistenti (non dimentichiamo il mercato delle licenze taxi, il cui valore è già crollato negli Stati Uniti nelle città in cui Uber ha avuto carta bianca dalle autorità e vince) e ne creano di nuovi. I consumatori hanno sempre ragione e la concorrenza andrebbe incoraggiata, ma non ignoriamo che anche chi consuma ha un lavoro… (su questo punto sarei lieto di ricevere contributi).

Ecco perché proprio la sharing economy, nel suo complesso, esige dal legislatore risposte veloci, e all’altezza. È un fenomeno globale, in forte crescita. Quindi va compreso e normato (non ingabbiato, si badi bene), come ogni altra attività economica. Altrimenti il rischio è che si spalanchino portoni a un’economia sommersa, invece che di condivisione (dei risvolti controversi di Airbnb, per esempio, abbiamo parlato su Infodatablog).

Oltretutto se Uber opera come piattaforma, e grazie a quella fa profitti, il rapporto fra cliente e driver non ha l’aria di essere quello di un cortese scambio fra amici quanto piuttosto di un servizio vero e proprio, perfino se complementare e non pubblico, come sostiene Uber.

Infine, una richiesta a chi è responsabile di Uber in Italia, la country manager Benedetta Arese Lucini. I dati. Servono dati per misurare correttamente i fenomeni e decidere nell’interesse di una comunità, non di un’azienda. Se non quelli sul fatturato (aspettiamo pazientemente che la creatura di Travis Kalanick si quoti in Borsa per saperne di più) almeno quelli su auto disponibili e corse effettuate.

Del resto da un mese a Milano ha preso il via Expo. Uber ha avviato sui social una massiccia campagna di adesioni a UberPop. I taxi, interpellati da Econopoly, sostengono di lavorare molto meno (il dato lo so, ma non ve lo dico per par condicio). Ecco perché, cara @dettaarese, fornire cifre sarebbe un segno concreto di collaborazione e un atto di trasparenza.

Twitter @albe_