Più che della Grecia l’Europa dovrebbe preoccuparsi di Angola e Venezuela

scritto da il 08 Giugno 2015

Se smettessimo, anche solo per un attimo, di preoccuparci della Grecia e ci guardassimo intorno scopriremmo che i rischi per l’eurozona non arrivano (o almeno non solo) da questo piccolo e complicato stato mediterraneo. Al contrario, il rischio di instabilità, che magari uscirà dalla porta una volta che la Grecia troverà in un modo o nell’altro, la soluzione con i suoi creditori, potrebbe rientrare dalla finestra, e per giunta cogliendoci di sorpresa.

Ne ho avuto sentore sfogliando l’ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria pubblicato a maggio scorso dalla BCE, che a un certo punto esibisce un approfondimento che faremmo bene a tenere a mente: “Lower oil prices and their implications for financial stability in the euro area“.

L’idea che i ribassi petroliferi, che tutti concordano avranno effetti positivi sui consumi europei, possano avere un lato oscuro potrà sembrare controintuitiva, ma è drammaticamente fondata, solo che si consideri quanto sia diventata ingarbugliata l’economia globale. Di conseguenza, ciò che è buono per noi, sarà di sicuro meno buono per altri. E se questi altri sono nostri debitori, il combinato disposto di questi effetti può essere deleterio per la stabilità globale.

Un esempio aiuterà a capire. Ci preoccupiamo della Grecia, quindi, ma non del fatto che il Portogallo (si veda il grafico) ha un sistema bancario pesantemente esposto (circa il 5% del Pil portoghese) nei confronti dell’Angola, un piccolo stato africano di cui pensiamo di poterci disinteressare solo perché è lontano da noi, trascurando di notare quanto e come siano fitti i legami fra le economie, e per le vie più traverse.

Così come non ci preoccupiamo della Spagna, che al momento sembra un campione dell’eurozona, perché ha fatto i suoi compiti a casa, trascurando però di osservare come il sistema bancario spagnolo sia altresì esposto per oltre il 2% del Pil nei confronti, ad esempio del Venezuela, e vi risparmio il Brasile.

E figuriamoci se ci preoccupiamo della Francia, il cui sistema bancario (si veda il grafico) risulta essere fra i più esposti nel settore dei prestiti sindacati nei confronti delle compagnie energetiche, sempre dei paesi emergenti.

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E il punto è proprio questo. Cos’hanno in comune l’Angola e il Venezuela? Sono paesi produttori di petrolio.

Un altro grafico della BCE ci mostra con chiarezza quanti danni fiscali questi paesi produttori possono subire qualora i corsi petroliferi non tornino a sostenere i loro debiti esteri, in gran parte peraltro denominati in valuta straniera, e per lo più in dollari.

Quindi, come il classico gatto che si morde la coda, i paesi emergenti produttori, e le loro compagnie energetiche, hanno disseminato una montagna di debiti nelle pance dei paesi europei, alcuni dei quali assai fragili, che adesso devono augurare tanta buona salute a questi debitori, per non trovarsi in casa un rischio Emergenti assai più grave, perché insidioso, di quello greco.

Rischio che peraltro deve molto agli esiti della politica monetaria americana.

Il rischio per i paesi emergenti dal rialzo dei tassi Usa è praticamente una costante nella reportistica internazionale. Meno osservato è come sia molto più facile che questo rischio di contagio si trasmetta all’Europa molto prima che agli Stati Uniti.

Sarà per questo che il FMI ha chiesto alla Federal Reserve di aspettare un attimo prima di alzare i tassi. Almeno fino al 2016.

Per ora.

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