Grecia, perché è un dialogo fra sordi e come se ne esce (in quattro mosse)

scritto da il 09 Giugno 2015

Nel balletto quotidiano in scena da mesi fra il governo Tsipras e il fronte dei creditori, la ex Troika formata da Commissione Europea, BCE e Fondo Monetario Internazionale, l’unico vero assente è un qualsiasi credibile piano per rilanciare la disastrata economia greca.

Le proposte sul tavolo (questa mattina Atene a una bozza di 47 pagine ha aggiunto tre pagine, la risposta non si è fatta attendere) sembrano fatte apposta per farsi dire di no dalla controparte, ma nessuna delle due ha in sé alcun elemento di novità o abbastanza pregnante per rappresentare una svolta positiva sul piano economico, quanto piuttosto rappresentano una sfida politica, una prova di forza per vedere chi è il primo a cedere. Vediamole in dettaglio (cliccare sull’immagine per ingrandirla):

Fonte: RBS Credit Strategy

Fonte: RBS Credit Strategy

Da parte dei creditori è chiaro che non c’è nulla di nuovo tranne il riproporre, con qualche differente modulazione, le ricette di austerità già “somministrate” in questi ultimi anni con esiti che definire fallimentari è un eufemismo. Ma anche da parte del governo Tsipras le controproposte non sono certo rivoluzionarie, giusto un alleggerimento del carico e lo spostamento del peso dal lavoro verso le imprese.

Il vero punto del contendere è infatti un altro.

Tutti sanno che la Grecia non sarà mai in grado di restituire il pesantissimo debito estero che ha, con una NIIP (Net international investment position) pari al 122% del PIL a fine 2014. Che si faccia un haircut, cioè lo si tagli, o che lo si congeli a tassi prossimi allo zero, è anche questa una differenza più politica che pratica. Non c’è speranza che i creditori vedano indietro quei soldi. Mai.

Dall’altro lato l’austerità non è riuscita a far recuperare competitività all’economia greca, è servita solo ad evitare che l’indebitamento aumentasse ancora. La svalutazione interna, abbattendo il potere d’acquisto dei salariati, ha fermato la domanda interna e quindi l’acquisto di beni: è stata favorita, è vero, la competitività verso l’estero dei propri beni e servizi, ma oltre a un tanto, come si vede anche dall’analisi delle serie storiche, non può fare.

Import-Export della Grecia in % del Pil (Fonte: dati World Bank ed Eurostat)

Import-Export della Grecia in % del Pil (Fonte: dati World Bank ed Eurostat)

Le soluzioni sono veramente poche, la Grecia è SEMPRE, con la dracma, con l’euro, coi Colonelli, con la democrazia, con la destra e con la sinistra, SEMPRE stata dipendente da trasferimenti dall’estero per potere reggere. Che fossero i prestiti Usa ai tempi della Guerra Fredda, le rimesse degli emigrati o i prestiti delle banche dell’Eurozona.

L’illusione che un maggiore afflusso di capitali modificasse magicamente l’economia ellenica si è dimostrata solo un’illusione, nonostante negli anni dell’euforia creditizia i ritorni sugli investimenti in Grecia fossero fra i più alti dell’Eurozona, una delle più tipiche caratteristiche di una bolla speculativa basata sul debito che paga altro debito e nel mentre ne attrae ancora fino al crack.

Credere di sostituire flussi di denaro in prestito, che erano arrivati fin oltre al 10% del PIL greco all’anno nel 2008, con quelli derivanti dal saldo commerciale dei beni e servizi verso l’estero solo attraverso la deflazione salariale e le famose riforme strutturali è stata un’altra illusione come è un’illusione esattamente equivalente credere di raggiungere quell’obiettivo fuori dall’euro tramite la svalutazione di una Nuova Dracma.

Come ha ben detto il ministro delle finanze Varoufakis durante un’intervista “noi non possiamo diventare competitivi come la Mercedes, noi non produciamo Mercedes.”

La realtà è che la Grecia ha davanti quattro percorsi:

a) continuare con l’austerità dentro l’Euro con somministrazioni ogni tanto di qualche spicciolo da parte della UE-BCE. Questa è la posizione, più o meno, di Merkel e Hollande

b) fare default sui debiti, uscire e/o essere cacciata dall’Euro e continuare con un’austerità ancora più dura per essere finanziariamente indipendente dall’estero; quindi, comprimendo ancora di più salari e consumi e favorendo l’emigrazione e le relative rimesse, negli anni accumulare un po’ di capitale per nuovi investimenti. Questa è la posizione di Schäuble e di alcuni no-euro sia greci che esteri, forse non ben consapevoli della quasi impossibilità del compito.

c) congelare, rinegoziare i debiti pregressi, cercare di fare arrivare nuovi capitali per investimenti (tipo il piano di Varoufakis tramite la BEI) che piano piano rendano davvero competitiva l’economia greca mantenendo comunque un controllo sui redditi e sul fisco molto migliore che nel passato.

d) diventare un vero e proprio stato che vive di assistenzialismo dall’estero tramite trasferimenti fiscali dagli stati dell’Eurozona, che è il vero terrore dei tedeschi.

Starà a Tsipras convincere gli altri Paesi di essere in grado di seguire il percorso c) e alla Germania di avere il coraggio di vincere la tentazione di sbarazzarsi dell’inconveniente tramite il percorso b).

Tutte le altre strade porterebbero a conseguenze gravi sia per la Grecia che per l’intera Eurozona.

Twitter @AleGuerani