Conversazione intima su come far crescere il made by Italians. In Iran  

scritto da il 14 Settembre 2016

Le donne iraniane sono, generalmente, attente al look (a volte troppo passionali con la scelta di trucco, un tanto al kg) e molto femminili. Non sorprende che la moda italiana (come confermato da una recente analisi del Sole 24 Ore) sia da sempre un punto di riferimento per le persiane Doc. Tuttavia c’è differenza tra esportare il made in Italy e il made by Italians. Ne ho già scritto a proposito del cioccolato: noi italiani non abbiamo solo prodotti da esportare ma know-how, tecnologie, visioni. Tutto quello che ci rende italiani.

Ecco allora che un marchio storico dell’intimo italiano, Liabel, decide di esportare il mondo dell’intimo italiano. Produrre in Iran per le brave persiane (e forse anche per quelle cattive), adattando gusti e stili alla moda locale, senza perdere il tocco italiano. Sono andato a scovare Marcello Laurenzio, vicepresidente e ceo di Liabel, per farci due chiacchere e capire quali opportunità offre l’Iran.

Intimo di qualità in Iran?
L’idea è partita perché cercavamo un’espansione in Medio Oriente. L’Iran è una piattaforma di lancio perfetta per espandersi anche in Centro Asia. Il nostro contratto prevede per i primi tre anni ingresso in Iran, sviluppo sul mercato iraniano, successiva espansione verso quelle nazioni con cui l’Iran ha buoni rapporti come Georgia, Azerbaijan e Csi (la Comunità degli stati indipendenti, dove la presenza persiana è in continua crescita). L’Iran è un mercato molto simile al nostro: una popolazione con elevata scolarizzazione, sono possessori di un buon prodotto tessile grazie a macchinari innovativi comprati da molti fornitori italiani. La nostra strategia era orientata a cercare produttori di filati, con buona qualità di cotone, dando loro tutto il know-how tecnico, stilistico, e produttivo. Gli iraniani hanno macchinari più moderni dei nostri. Noi italiani investiamo sempre meno come paese.

D-Day, il primo passo in Persia?
Io sono partito dalla base. In Iran esiste un’associazione di tutti i produttori tessili iraniani molto strutturata, visibile da web. Quindi ho selezionato per fascia di fatturato, numero di dipendenti, solidità finanziaria. Ho trovato due produttori molto svegli e interessati: in Iran se parli di stile e design italiano impazziscono. Con entrambi i produttori ho firmato un memorandum of understanding.

Il primo era più su abbigliamento, come jeans, polo. Il secondo invece aveva caratteristiche compatibili con le nostre: produttore di quantità limitate per una piccola catena retail. Alla fine ho scelto per quest’ultimo. Siamo partiti con un business plan guidato da noi. Abbiamo definito per loro standard e parametri.

Le ricerche di mercato in Iran sono ancora agli albori. Quindi abbiamo organizzato una ricerca sul campo: hanno fatto 200 interviste telefoniche, 50% donne 50% uomini. Domande scontate da noi ma che lì son innovative come approccio: il livello di consumo d’intimo, le marche, dove acquistavano etc. Abbiamo individuato 9 città primarie dove cominciare, un secondo gruppo di città più piccole, in una terza fase il CSI.

Da queste analisi abbiamo derivato un consumo ipotetico. Un business plan decennale: contratto di licenza standard da dare in pasto ai nostri avvocati e i loro, minimo garantito e tasso di royalty.

Le fase successive?
Invieremo le tavole dei disegni delle nostre collezioni che seguono la stagionalità, guardando le tendenze di colore europee, che andranno riadattate. In aggiunta le nostre risorse umane, direttore di produzione e il direttore tecnico, saranno in visita da loro per valutare se la materia prima, filati e tessuti, possa servire a queste produzione. Se sono bravi possiamo anche portarci a casa la loro produzione: filati misti e tessuti già pronti all’utilizzo da tagliare e cucire.

Sourcing della materia prima cotone?
Ogni tipo di prodotto avrà un scheda tecnica da cui si vede la tracciabilità del prodotto. In questo caso io ho chiesto dove acquistano la materia prima. Gli iraniani lo comprano in Iran. Ovvio se faranno sourcing di materie prime da paesi che non rispettano i diritti umani li blindiamo.

Io ho preteso di farmi visitare i laboratori, dove producono. Ho fatto un po’ di giri e non ho trovato nulla. Gli iraniani mi han fatto dormire nello stabilimento. Dove c’è sempre una foresteria. Quando ero nello stabilimento ho guardato i bancali e non ho visto cotone uzbeko (paese oggetto di interesse internazionale per la sua modalità di raccolta del cotone piuttosto criticata negli ultimi anni).

La realtà commerciale iraniana?
Si deve investire in attività pubblicitaria. I social, per esempio, sono in crescita. La popolazione con meno di 35 anni usa molto lo smartphone. Il mercato e-commerce è in crescita. Sull’e-commerce noi seguiremo lo stile ma gli aspetti operativi saranno seguiti da loro. Per i canali tradizionali miriamo a grossisti e supermercati; i centri commerciali stanno sviluppandosi molto rapidamente.C’è molto controllo da parte del governo in rete.

A proposito. Il ruolo del governo (iraniano o italiano) nel vostro progetto?
Mai avuto relazioni con il governo iraniano. Abbiamo fatto tutto tra privati.
Dal nostro governo non è arrivato nessun supporto.

Concorrenza di qualità? Cina?
Quello che mi ha stupito? Non ho trovato invasione di merce cinese. Ho visto tanta merce turca. Esistono degli accordi di free-zone tali per cui la Turchia ha spazi di manovra. Sul mercato tu vedi tanto prodotto turco di buona qualità e a prezzi più accessibili dei nostri. Di qui la nostra decisione di creare questa sinergia Italia-Iran: la nostra qualità, standard produttivi, know-how e stile, con i costi di produzione e vendita persiani per espanderci in medio oriente e centro Asia.

E il futuro?
Il mio feeling è che per entrare in certi paesi, le barriere in entrata sono molto elevate: commerciale, lingua, dogane etc. Un’azienda italiana deve trovare un partner locale che sa confrontarsi con la sua realtà (il nostro partner esiste da 30 anni) ma cosa più importante deve esserci un rapporto proficuo: il partner locale deve avere dei vantaggi. Sarà ben difficile che il partner investa veramente su di voi; io, per esempio, ho voluto rinunciare ad una parte delle royalties.

In più il popolo iraniano è molto curioso, educato e crea una relazione di lavoro basandosi sulla fiducia. Sedersi di fronte a un persiano e pensare subito di fare affari non funziona. Sono una popolazione con cui è importante creare empatia e fiducia. Fortunatamente noi italiani siamo bravi in questo.

Twitter @enricoverga