Il desiderio di capire e la responsabilità di decidere, ecco l’eredità di Ciampi

scritto da il 17 Settembre 2016

Quando una persona ci lascia a 95 anni non si può dire che sia una morte prematura. Ma i tempi che stiamo vivendo rendono la dipartita di Carlo Azeglio Ciampi non solo triste ma anche carica di rimpianti. In anni in cui parte dell’opinione pubblica si scaglia contro le élite, in cui la delegittimazione di chiunque abbia studiato a fondo un problema è la regola, i moniti di Ciampi ci mancheranno molto.

Ogni volta che mi presento in aula per la prima lezione di Sistema Finanziario – presso la Liuc-Università Cattaneo – leggo ai ragazzi uno dei passaggi chiavi di Ciampi (intervistato da Arrigo Levi) in “Da Livorno al Quirinale”: “Studiare come un forsennato vuol dire scavare problemi, capirli, non mandare meccanicamente a mente nozioni. In questo mi aiutò molto la mia familiarità con il metodo della filologia classica… Bisogna rendersi conto delle origini delle cose, approfondire, scavare, per capire… il testo base”. La curiosità, il desiderio di capire, di approfondire, fino a sviscerare tutte le opzioni, così da prendere la decisione migliore, è una delle lezioni che lo statista Ciampi ci lascia come testamento.

In un Paese dove per prendere una decisione si convoca una commissione per rinviare il tutto alle calende greche, Ciampi ha improntato la sua vita al rispetto rigoroso per gli impegni presi (come ha ricordato Giavazzi in relazione al calendario delle privatizzazioni del 1993/4): “Non rinviare a domani quello che potresti fare oggi, il tempo è breve”.

Arturo Carlo Jemolo ha magistralmente spiegato come la “Repubblica italiana è fondata sul Riposo, con i loro figli Santa Proroga e Santo Slittamento”. Proprio per superare l’attesa infinita prima di una decisione Ciampi insisteva sul momento deliberativo: “Nella discussione si affinano le idee, si migliora il contenuto della soluzione che uno può avere in mente già in partenza, ma poi si deve chiudere. La discussione non è mai fine a se stessa e non è mai senza fine, deve finire, ci sono tempi da rispettare. Questo è, per me, il famoso problema del rapporto fra conoscenza e atto volitivo. Ci vuole il massimo della conoscenza. Ma poi c’è l’esigenza di smettere, di mettere la parola fine a un processo conoscitivo, altrimenti senza fine, e di chiudere con la decisione, con la scelta”.

Prima si prende esempio da Luigi Einaudi – il cui motto era “conoscere per deliberare” – poi occorre assumersi fino in fondo la responsabilità del decidere. Non a caso il predecessore in Banca d’Italia, Paolo Baffi, il governatore della Vigilanza nelle Considerazioni finali scrisse: “Non ci tornino in cagion di condanna le cose sentite e non operate” (Imitazione di Cristo, Tommaso da Kempis).

La determinazione di Ciampi, il suo carattere d’acciaio sono emersi più volte nelle vicende italiane. Due tra tutte: 1) da governatore, il velocissimo trasbordo dal fallito Banco Ambrosiano al Nuovo Banco Ambrosiano (guidato dal coraggioso Giovanni Bazoli), in stretta collaborazione con il ministro del Tesoro di allora Beniamino Andreatta; 2) da presidente della Repubblica, quando il premier Berlusconi considerò un “atto di guerra” il diniego alla promulgazione della Legge Gasparri. A fronte delle dure proteste di Berlusconi, che ritenne di essere danneggiato come proprietario di Mediaset, Ciampi rilevò come “questa sua affermazione rappresenta una conferma eclatante del conflitto di interessi esistente tra l’uomo di governo e il proprietario di una grande impresa, la quale, tra l’altro, esercita la sua attività sulla base di appositi atti di concessione e/o autorizzazione statali” (Contro scettici e disfattisti. Gli anni di Ciampi 1992-2006, U. Gentiloni Silveri, Laterza, 2013, p. 188)

I giovani e i diritti delle generazioni successive sono stati quasi un’ossessione per Ciampi (sempre preoccupato per la crescita continua del debito pubblico), il quale si chiedeva “se sia questa mancata sinergia tra generazioni diverse l’origine di quel mancato ricambio che ha cristallizzato, con le sue classi dirigenti, la società italiana”. Ai giovani Ciampi affidava quel compito difficile di trovare le “energie spirituali per traghettare questa società”.

Alle nuove generazioni Ciampi ha rammentato che l’antidoto contro il ripiegamento, la sfiducia e la rassegnazione sta nell’azione, nello “sta in noi”, espressione cara a Donato Menichella, governatore della Banca d’Italia dal 1948 al 1960. Sono purtroppo ancora attuali le Considerazioni finali del 1992: “A chi si interroga sulla possibilità di uscire dalla difficile situazione in cui versiamo, le analisi contenute in questa Relazione inducono a rispondere, con convinta fiducia, quanto affermammo allorché l’inflazione a due cifre appariva un male incurabile: sta in noi”.

Ti sia lieve la terra, caro Carlo Azeglio Ciampi.

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