Per il prestito fra privati in Italia si investe meno di una tazzina di caffè

scritto da il 24 Ottobre 2016

52 centesimi. Ecco quanto investe mediamente un italiano nella cosiddetta “alternative finance”, intesa come comprensiva del peer to peer lending (il prestito tra privati), del crowdfunding e di altre attività similari.

Innovazioni? Può darsi, ma la realtà dei fatti è ben diversa.

Quando nel 1885 la Statua della Libertà, arrivò a New York come regalo diplomatico della Francia in occasione del primo centenario dell’indipendenza americana, sembrava quasi perfetta. Quasi.

C’era solo un problema, anche se di fondamentale importanza. Mancava il piedistallo.

I finanziamenti pubblici non erano sufficienti e così Joseph Pulitzer, editore del New York World, decise di avviare una campagna di fundraising sul proprio giornale.

In 5 mesi raccolse 101.091 dollari da più di 160.000 donatori di tutte le categorie: bambini, uomini di affari, spazzini e politici.

Si tratterebbe niente di più di quella che oggi vediamo come una classica campagna di crowdfunding: esiste un’idea da realizzare, il promotore dell’idea lancia la raccolta di piccole somme di denaro per realizzare e sostenere il proprio progetto, parte il finanziamento del pubblico.

La differenza?

Pulitzer utilizzò il giornale, oggi il potere è di Internet.

Ad ogni modo, torniamo all’inizio e procediamo per gradi.

Per risalire alle origini del peer to peer lending occorre tornare indietro nel tempo, prima della nascita delle banche. Chi aveva disponibilità finanziarie prestava soldi a chi ne avesse necessità. Come potete immaginare il rischio era alto e difficilmente si concedeva credito a persone non fidate.

Eppure con la nascita delle banche cambiò tutto. Operavano da intermediario tra chi disponeva di risorse finanziarie e chi no, diversificando il prestito su un certo numero di soggetti, diminuendo notevolmente il livello di rischio da sostenere. Il loro modello di business (escludiamo il tema delle commissioni, per ora) era molto semplice: si garantiva al prestatore x, al debitore facevano pagare y e con la differenza si coprivano i costi fissi e assicuravano il loro guadagno, sempre più grandi e avide.

Grandi perché hanno dovuto coprire sempre più vaste zone geografiche, aumentando esponenzialmente i loro costi fissi. Avide perché per poter massimizzare il loro guadagno hanno concesso credito a soggetti con dubbia solvibilità a tassi molto alti con la speranza – di solito vana – di un profittevole ritorno. Per questo motivo nel corso del tempo è aumentata progressivamente la percentuale di capitale che la banca deve necessariamente accantonare ogni qualvolta decida di concedere credito.

Ecco allora che in questo quadro il peer to peer lending da un lato innova e dall’altro ci riporta al passato sostituendosi alla banca.

Grazie alla tecnologia sono nate delle piattaforme che mettono in relazione soggetti interessati a prestare denaro con altri che hanno bisogno di risorse finanziarie. Il modello di misurazione del merito creditizio e i dati da cui attingono sono gli stessi di quelli utilizzati dalle banche ed analogamente al sistema bancario attribuiscono al prestito un rating e lo suddividono tra una molteplicità di investitori per frazionarne il rischio.

Ci sono però alcune differenze.

Velocità d’esecuzione. Il tempo medio di erogazione di un prestito oscilla tra le 2 e le 72 ore, passando per la banca generalmente l’attesa varia dai 6 ai 10 giorni per le persone fisiche e tra le 8 e le 12 settimane per le aziende.

Trasparenza. La maggior parte delle piattaforme di P2P lending espongono in real time tutti i loro dati: ammontare erogato, probabilità di default, rendimenti medi, volatilità, ammontare dei prestiti in ritardo, insolvenze, tipologia di prestiti, area geografica dei prestiti e tutte le altre informazioni rilevanti per chi investe.

Proseguendo, oltre ad essere tecnologicamente molto più avanzate le piattaforme, a differenza delle banche, non presentano una rete capillare sul territorio e non possiedono né devono mantenere immobili di pregio. Quindi, presentano costi fissi ridicoli in relazione a quelli bancari. Il numero di dipendenti di Lending Club, la più grande piattaforma P2P lending statunitense si aggira intorno ai 1.000. Intesa San Paolo nel suo bilancio del 2015 ne riportava 90.807.

Inoltre, non hanno vincoli di accantonamento da rispettare. Attenzione. Questo non significa che non siano sicure. Semplicemente avvertono l’investitore che ci sarà una probabilità di default attesa basata sui dati bancari storici e che si rifletterà sul rendimento.

Ma vediamo ora un po’ di numeri.

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Nel 2013 il volume transato a livello mondiale sulle piattaforme di P2P Lending ha registrato il dato di 3,43 miliardi di dollari, nel 2015 si è passati a 25,1 miliardi. Il dato aggregato sui volumi della finanza alternativa nel 2015 ha presentato invece il valore di 34,4 miliardi di cui circa 1 miliardo in Europa (Inghilterra), in crescita del 72% rispetto al 2014, ma ancora meno del 3% sui volumi mondiali.

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Il contributo dell’Italia vale 32 milioni. Un decimo di quelli francesi e meno di un centesimo di quelli del Regno Unito. E come anticipato all’inizio di questo post, se calcoliamo il valore annuo investito pro capite nella finanza alternativa in Italia, il risultato è meno di una tazzina di caffè, 0,52 euro. Nel Regno Unito il dato è ben diverso, si arriva infatti ad un valore pro capite di 65,88 euro.

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Siamo in ritardo?

Forse sì. Come al solito in Italia rimaniamo intorpiditi davanti alle novità e prima che la nebbia dell’innovazione possa diradarsi e lasciare il passo ad una chiara e limpida visione, passa sempre del tempo. Siamo fatti così.

Ma proprio per questo ne stiamo parlando. Siamo ancora all’esordio del mercato, in Italia, e si stanno aprendo molteplici opportunità in tale settore per chiunque voglia accedervi.

Ma come mai c’è ancora poco movimento?

Esiste sicuramente un discreto interesse da parte dei privati ma stando ai risultati della ricerca effettuata dall’Osservatorio sul Crowdfunding del Politecnico di Milano, prendendo a campione 264 prestatori, la maggioranza di questi ha investito una somma inferiore a 2.000 euro e solamente 14 persone sono andate oltre i 10.000 euro.

La verità è che il P2P Lending non è ancora visto dagli italiani come una vera e propria asset class per diversificare i loro investimenti. E ciò forse anche a causa della normativa fiscale alquanto rigorosa e stringente. Gli interessi percepiti infatti devono essere riportati nella dichiarazione dei redditi e vengono tassati secondo l’aliquota marginale del prestatore, che per gli high net worth individuals e per gli investitori professionali può arrivare fino al 43%.

Ma forse il problema non riguarda nemmeno le tasse.

La vera ed effettiva causa del nostro ritardo è l’assenza di adeguati investitori istituzionali. Mentre a livello europeo il 44% dei prestiti sono stati finanziati da soggetti istituzionali, l’Italia attende ancora il loro ingresso in questa nuova area del mercato. Le piattaforme già realizzate si stanno organizzando per il loro arrivo ed alcune stanno già instaurando accordi finalizzati a costituire fondi chiusi dedicati.

Che cosa ci aspetta quindi?

Certo è che del P2P lending non smetteremo di sentir parlare e ciò sotto molteplici punti di vista – debito, investimento, sviluppo – e anche l’Italia non potrà ignorare questa nuova realtà.

Dicono che il fintech sia la nuova bolla. E se poi la bolla non scoppiasse mai?

Noi italiani abbiamo una pessima abitudine: non vedere le grandi opportunità di crescita, quando le abbiamo. E questo perché da malinconici e nostalgici come siamo, per una ragione o per l’altra, il passato sembra sempre migliore della situazione attuale.

Marc Andreessen, cofondatore della famosa azienda statunitense di venture capital Andreessen Horowitz, ritiene invece che non stiamo vivendo in una bolla fintech. Il problema attuale, al contrario, è proprio la troppa poca tecnologia. Ci sono moltissimi settori, tra cui la sanità, l’assistenza agli anziani, l’istruzione, e perché no anche i servizi bancari, i cui costi fissi sono in continuo aumento soltanto perché ancora non riusciamo a creare le condizioni adeguate perché possa subentrarvi la tecnologia.

Occorre sradicare i concetti tradizionali di efficienza e modernità e crearne di nuovi che siano alla pari con i tempi presenti. Solo in questo modo potremo recuperare il nostro ritardo e, forse, anche arrivare in anticipo sulla nuova scena destinata a delinearsi nei prossimi anni.

Twitter @simeoneantonio1

Ha contribuito all’estensione del post Simone Conti, private banker di Azimut specializzato in investimenti in alternative finance.

Fonti :

Massolution Crowdfunding Industry Report 2015

European Alternative Finance Report, Sustaining Momentum, Cambridge University

Sito ufficiale LC – lendingclub.com

P2P Lending Italia – p2plendingitalia.com

UK P2P Finance Association – p2pfa.info

Borsa del Credito – www.borsadelcredito.it