L’Italia e le famose riforme da fare: nove mosse per tornare a crescere

scritto da il 21 Febbraio 2017

Pubblichiamo un post di Alessandro Magnoli Bocchi, fondatore e Ceo di Foresight Advisors 

A livello globale, élites politiche senza visione malgestiscono la globalizzazione … In assenza della coordinazione internazionale necessaria a contenere protezionismo, instabilità finanziaria e disuguaglianza, il divario tra le promesse della globalizzazione e la realtà quotidiana dei cittadini aumenta sempre più. Flussi migratori non accompagnati da adeguate politiche di integrazione erodono la coesione sociale e rafforzano il nazionalismo. Il populismo è in ascesa, e in molti paesi sta portando all’autoritarismo attraverso principi democratici.

Le elezioni nei Paesi Bassi (in marzo), in Francia (maggio) e in Germania (settembre) possono mettere a repentaglio il progetto europeo. Il referendum costituzionale in Turchia (aprile), le elezioni in Iran (maggio) e India (luglio) e il 19° Congresso del Partito comunista in Cina (ottobre) possono creare instabilità.

… i fondamentali macro rimangono deboli, la crescita bassa. Alti livelli di debito – pubblico e privato – limitano gli investimenti e la crescita della produttività. L’invecchiamento della popolazione riduce i consumi e aumenta il risparmio. La disoccupazione mantiene i salari fermi e i redditi reali stagnanti, indebolendo la domanda aggregata. Tuttavia, nel 2017 il prodotto interno lordo (PIL) globale crescerà del 3,4 per cento, rispetto al 3,1 del 2016. L’inflazione rimarrà contenuta – 1.9 per cento nei paesi avanzati e 3.7 nei mercati emergenti. La politica monetaria inizierà a divergere – con un aumenti dei tassi negli Stati Uniti ed espansione monetaria nella zona euro e in Giappone. La politica fiscale diventerà espansiva solo negli Stati Uniti, dove – se Trump rispettasse le promesse elettorali – l’economia crescerà sopra tendenza, spingendo i mercati finanziari. Tassi di crescita asimmetrici e politiche monetarie divergenti aumenteranno il rischio di dislocazioni di mercato. Tensioni geopolitiche, volatilità dei mercati e svalutazioni competitive saranno ulteriori fattori di rischio.

In tale contesto, le prospettive dell’Italia sono poco brillanti. Il sistema politico, focalizzato sulla conservazione dei privilegi, genera sentimenti populisti. Strutture di potere costituito ostacolano la meritocrazia e la propensione al rischio. La frattura tra Nord e Sud rimane profonda. Il PIL pro capite è bloccato al livello di fine-1990. La crescita è lenta: negli ultimi due decenni, con innovazione e competitività al di sotto della media europea, la crescita media annuale del PIL è stata del 0,46 per cento; nel quinquennio 2016-21 è prevista allo 0,9. La disoccupazione è al di sopra dei livelli pre-crisi (quella giovanile è al 40,1 per cento). Mentre povertà e disuguaglianza sono in aumento, investire è difficile e poco redditizio. Le tasse sono alte: l’aliquota d’imposta sul reddito può raggiungere il 43,0 per cento e quella sulle società il 31,4.

Il debito pubblico (2.223,8 miliardi di euro), al 132,7 per cento del PIL, è il secondo più alto della zona euro dopo la Grecia (176,9). Il sistema bancario è in grave difficoltà: servono 40 miliardi di euro (equivalenti al 2.5 per cento del PIL) per i necessari aumenti di capitale.

Eppure, i fondamentali sono solidi. L’economia è:

a) di grandi dimensioni – terza della zona euro, ottava nel mondo);

b) relativamente diversificata – l’agricoltura contribuisce per il 2,2 per cento del PIL, l’industria per il 23,6 e i servizi per il 74,2;

c) solida – è il secondo produttore manufatturiero in Europa e il quinto nel mondo, oltre che ottavo esportatore mondiale con 417 miliardi di euro venduti all’estero nel 2016. Il risparmio privato è al di sopra della media europea; e

d) resiliente – il risparmio privato è al di sopra della media europea. L’86 per cento delle imprese è di proprietà familiare – e il 66 per cento di queste è a conduzione familiare.

Negli ultimi tre anni, il governo Renzi ha annunciato molte riforme, ma ne ha implementate poche. Nonostante un terzo delle leggi sia stato approvato con voto di fiducia (al ritmo di 1,97 volte al mese), nessuna delle riforme promesse (pubblica amministrazione, sistema fiscale, mercato del lavoro, settore bancario, et alia) è stata attuata. La legge sulle banche popolari e quella in materia di pubblica amministrazione si sono rivelate inadeguate.

Gli interventi sul mercato del lavoro (Jobs Act) hanno ridotto i precari ma non aumentato l’occupazione giovanile. Il bonus di “80 euro” non ha sostenuto i redditi più bassi. In compenso, sono  aumentate le tasse, le spese correnti, il deficit e il debito pubblico. Secondo Renzi l’impedimento principale è un inefficace processo legislativo, che deve essere razionalizzato con riforme istituzionali. Secondo i cittadini italiani, no. Approvare leggi è un passo necessario ma non sufficiente: nel referendum costituzionale del 4 dicembre la proposta di riforma è stata respinta da una coalizione eterogenea di forze politiche, tra cui l’82 per cento dei cittadini tra 18 e 24 anni.

È ora di sviluppare fattori di crescita interni. Storicamente, la crescita è stata spinta da fattori esterni (i.e., il “miracolo economico”, dopo la seconda guerra mondiale) o sforzi politici (i.e., spesa fiscale tra il 1970 e il 1990 e svalutazioni competitive fino al 1995). Dopo l’adesione all’euro, le soglie di deficit e debito di Maastricht hanno vincolato la spesa pubblica e la crescita è scesa al di sotto della media europea. Non potendo contare su “spinte esterne” , l’Italia è oggi esposta a shock avversi.

Non rimane che migliorare la competitività a lungo termine e attrarre investimenti, con le riforme strutturali attese:

1) promuovere la crescita con politiche fiscali anticicliche – preservando la stabilità macro – e diversificare ulteriormente l’economia;

2) aumentare la spesa in infrastrutture e istruzione, attraverso partenariati pubblico-privato (public-private partnership, PPP);

3) ridurre le tasse, soprattutto sull’impiego, per favorire la creazione di posti di lavoro;

4) promuovere la ristrutturazione del sistema bancario e migliorare le procedure concorsuali per i crediti deteriorati (non-performing loans, stimati a 360 miliardi di euro, quasi un quinto del PIL);

5) riformare il sistema legislativo e la legge elettorale;

6) ridurre le rendite di posizione, favorire la meritocrazia, e migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione;

7) stimolare la crescita della produttività, eliminando barriere all’ingresso – in particolare nel settore dei servizi;

8) allineare i salari con la produttività e rendere il mercato del lavoro più flessibile;

e 9) rendere più agile il sistema giudiziario e semplificare le procedure di liquidazione.

Il tempo stringe. Il governo Gentiloni – di transizione e con elezioni attese nel 2018 – è troppo debole per passare riforme significative. Un peggioramento della perfomance è un grave pericolo per l’Unione europea e per l’euro. A inizio febbraio 2017, il differenziale BTp-Bund (spread) ha toccato i 201,1 punti base, il livello massimo degli ultimi tre anni.