La finanza che serve per non morire di troppa crescita

scritto da il 14 Luglio 2017

Pubblichiamo un post di Fabio Bolognini, cofondatore di WorkInvoice (quinto di una serie di post; i precedenti sono usciti il 31 marzo, il 13 aprile, il 4 maggio e l’8 giugno) –

Spero che la passeggiata a puntate nell’inferno delle piccole imprese abbia suscitato più di una riflessione tra voi imprenditori (e magari in qualche altra categoria che affianca le imprese) e vi trovi preparati ad affrontare nuove esperienze e orizzonti. Quanto al vostro Virgilio è sempre pronto a mostrarvi un diverso aspetto della vita delle piccole imprese. Una vita in cui esistono momenti difficili, molto difficili – in particolare quando i clienti riducono gli ordini e non sai dove sbattere la testa per portarne a casa di nuovi – oppure momenti di euforia quando il ‘mercato’ si risveglia, si riprende e tutto sembra andare a gonfie vele. La ripresa dei fatturati è un passaggio tanto auspicato in questi mesi, ma che può rivelarsi ugualmente pericoloso. Ditemi pure che ho perso il senno ma aspettate solo un minuto prima di giudicare: sto per aprire le porte di un girone infernale in cui vedrete dannati legati a guinzagli e collari che stringono il loro collo e gli impediscono di afferrare i cesti di prelibata frutta che sono posti di fronte a loro.

Cosa hanno fatto per meritarsi questa sventurata punizione? Sono imprenditori che non hanno saputo comprendere per tempo la legge non scritta che impone di finanziare la crescita e le nuove vendite con liquidità proveniente da capitali o da mezzi finanziari messi a disposizione dal sistema bancario.

Il sig. Gianni che vedete affannarsi e strangolarsi davanti ai vostri occhi è uno dei tanti che aveva registrato con soddisfazione un primo trimestre di ordini pingui e di vendite in crescita. Con l’improvvisa inversione di tendenza, si apprestava fregandosi le mani a fare calcoli celebrando il ritorno dell’utile in azienda. Me ne parlò con orgoglio e con una fiducia che non vedevo da anni, ma non appena finimmo la ricognizione sulla situazione finanziaria e bancaria suonò il primo campanello d’allarme: nei suoi calcoli di ricavi e profitti non aveva tenuto presente la posizione finanziaria, che purtroppo non lasciava molti margini di manovra. Anzi. Poche settimane dopo i timori causati dall’eccessivo livello d’indebitamento accumulato durante la crisi, dal rating poco brillante e da un livello di utilizzo degli affidamenti giudicato troppo elevato, aggravati dall’assenza di informazioni sulla ripresa degli ordini in corso indussero un paio di banche a ridurre senza preavviso gli affidamenti a breve, chiedendo un rapido rientro e aggravando la tensione sulla liquidità aziendale.

Il mio amico Gianni si trovò improvvisamente schiacciato tra la lunga attesa dell’incasso delle nuove vendite – concesse frettolosamente con termini di pagamento troppo dilazionati – e le telefonate di sollecito sempre più minacciose dei principali fornitori. I ritardi eccessivi nel pagamento dei grandi fornitori di materia prima comportarono la revoca delle coperture concesse agli stessi fornitori dalle assicurazioni sul credito, facendo scattare automaticamente la richiesta di pagamenti a vista per le successive forniture. Nel giro di pochi mesi l’amico Gianni passò dall’euforia per la ripresa alla paralisi produttiva causata dal blocco delle forniture. Dopo poche settimane la fabbrica era bloccata e l’insolvenza conclamata.

Innervosito dall’incapacità del proprio direttore amministrativo che non aveva previsto la crisi di liquidità fu costretto a tentare soluzioni d’emergenza, non sempre legittime, per poi capitolare di fronte alle pressioni dei sindaci impauriti e presentare la domanda di concordato mettendo fine all’impresa di famiglia.

Si può distruggere il futuro di un’impresa e danneggiare le prospettive di decine di lavoratori anche per eccesso di crescita? La risposta è sorprendentemente positiva e molti piccoli imprenditori si sono ammutoliti quando mi sono trovato a spiegare cosa era andato storto al mio amico e loro collega Gianni. I cicli temporali di lavorazione e di produzione sottopongono l’impresa che ricresce a forti tensioni sulla liquidità, il cui andamento si distacca temporalmente dalla dinamica positiva e ingannevole di ricavi e costi. L’inversione del ciclo economico è un momento assai delicato soprattutto quando è particolarmente intenso. La disponibilità di cassa in situazioni di forte ripresa degli ordini è fondamentale e risponde a tempi e regole diverse.

Non aiuta in questi casi il sistema bancario, che raramente riesce ad accompagnare la nuova primavera, poiché il credito disponibile si basa ancora sulla certezza dei numeri di bilanci vecchi di dodici o più mesi.

Se la banca non viene messa preventivamente in condizione di comprendere l’inversione del ciclo economico ha tempi di reazione ritardati e troppo lunghi per fornire la necessaria materia prima finanziaria. In aggiunta sono poche le piccole imprese che hanno la capacità di elaborare previsioni e simulazioni di flussi di cassa in via preventiva. Se lo facessero, invece, riuscirebbero ad individuare i colli di bottiglia e i rischi a cui porre rimedio tempestivamente dotando la propria azienda dei mezzi necessari per alimentare la ripresa.

Le soluzioni per rimpolpare le casse al momento giusto vanno trovate pensando ai tempi di delibera del sistema bancario oppure, oggi anche in Italia, sperimentando le novità offerte dalle piattaforme online che sanno decidere in tempi brevissimi e senza richiesta di garanzie personali, di titoli e azioni a garanzia (abbiamo appreso tristemente che le ‘baciate’ possono essere mortali in finanza). Soluzioni innovative capaci di erogare un finanziamento in pochi giorni o di trasformare in liquidità proprio quelle fatture a 120 giorni che causano il grave buco nella cassa. Perdonate la violenza alla sacra lingua italiana, ma per la salute delle piccole imprese imparare a conoscere il significato di ‘P2P lending’ e ‘invoice trading’ potrebbe fare una certa differenza in futuro.

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