Quali manager, scelti come e quanto pagati per un sistema sanitario che funzioni

scritto da il 18 Ottobre 2017

L’autore di questo post è Emanuele Antonio Vendramini, PhD, professore associato di management, Università Cattolica del Sacro Cuore (Piacenza)

Il recente contributo di Luca Foresti su Econopoly sviluppa con dati e con riflessioni interessanti il tema sul futuro del sistema sanitario evidenziando 10 scelte necessarie per salvare il SSN. A tal fine vorrei contribuire al dibattito cercando di sviluppare alcune tematiche che non hanno trovato ancora spazio.

In primo luogo è importante sottolineare che molte delle riflessioni proposte da Foresti sono già operatività in diversi contesti, da diversi anni, infatti, Regioni come la Toscana (ancora prima nella classifica sui LEA), l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, giusto per citarne alcune, hanno implementato scelte che vanno verso la ridefinizione della rete ospedaliera, del ruolo per personale delle professioni sanitarie (che coordinano case della salute), che sviluppano la gestione del paziente fragile e cronico.

Questo ovviamente non riduce la rilevanza e l’interesse del contributo ma è altresì importante evidenziare che il SSN non esiste più dal 1993 (decreto legge 517/93), la sanità è materia regionale e le Regioni decidono in modo del tutto autonomo il sistema sanitario, la governance e tutte le regole di funzionamento. Non esiste da oramai vent’anni una Regione con un sistema uguale a quello di un’altra, non so se questo sia un bene o un male, ma questo è.

Ridefinizione della rete ospedaliera, medicina d’iniziativa, empowerment delle professioni sanitarie sono tematiche molto coerenti e centrali ma per quelle regioni in cui il sistema non funziona – o perché in piano di rientro o perché provenienti da anni di non scelte -, le altre sono già oltre.

Quindi in primo luogo diciamo che in Italia ci sono delle Regioni che sono straordinariamente eccellenti ma che rischiano di non essere in grado di mantenere i propri standard a causa di una programmazione, questa siì a livello centrale, che penalizza il Fondo Sanitario Nazionale e non riconosce risorse sufficienti per rispondere alla crescente domanda proveniente dai cronici e dai cambiamenti in atto (nuove tecnologie e nuovi farmaci).

E’ quindi solo un problema politico? In parte. Sicuramente la programmazione politica e la lungimiranza progettuale non sono più patrimonio della classe politica del nostro Paese ma è altrettanto vero che chi governa la sanità sono i Direttori Generali, i loro staff ed in generale i manager delle aziende sanitarie.

Che competenze hanno? Chi li sceglie? Sulla base di quali criteri?

Purtroppo si è sviluppato, nella pochezza del dibattito italiano, un movimento che ha portato alla continua riduzione delle remunerazioni di questi manager, che gestiscono centinaia di milioni se non in diversi casi miliardi di euro all’anno.

Un manager con queste responsabilità deve essere remunerato in modo coerente sia per la complessità delle scelte che per le implicazioni delle stesse sulla popolazione.
Nel mondo del lavoro vale sempre che si paga poco quello che vale poco per cui è importante ritornare al tema del management sanitario, investire sulle competenze manageriali ad avere una classe di dirigenti sanitari competenti, motivati e giustamente retribuiti.

Tutto dipende dalla volontà politica? Non proprio, si deve infatti sviluppare in modo più capillare il concetto di misurazione della performance e della valutazione dei risultati (ricordiamoci però che questo in diverse regioni c’è già), della necessità di formare non solo i dirigenti ma anche la classe politica (perché poi quando, come dice molto opportunamente Foresti, si procede a convertire un ospedale che tanto nessuno utilizza in strutture per cronici o in centri specialistici, i primi a protestare sono proprio i Sindaci che per un pugno di voti marciano in testa alle manifestazioni).

Per concludere, aggiungiamo che il Sistema sanitario si caratterizza per aree di straordinaria eccellenza, che devono essere non solo tutelate, ma diventare best practice ed esempi di buona gestione, per quelle aree in cui la gestione della sanità stenta ancora ad essere efficace ed efficiente, sapendo che la realtà è particolarmente complessa e che spesso scelte e ricette devono tenere conto del contesto in cui si vanno ad implementare.

Sarà un percorso difficile, in cui non esiste una risposta univoca ed omogenea, ma come si insegna nelle business school il management, dopo tutto, è un’arte.

Twitter @EVendramini