Italia e venture capital, la grande opportunità. E a Cassa depositi la prima mossa

scritto da il 16 Dicembre 2017

Pubblichiamo un post di Mimmo Nesi, di LVenture Group, seed investor in startup digitali quotato al MTA di Borsa Italiana. Precedentemente ha lavorato nella divisione Investment Banking di UniCredit (Milano e Monaco di Baviera) e di UBS (Londra) occupandosi di operazioni straordinarie per grandi aziende nazionali e internazionali. È laureato in Finance presso l’Università Bocconi –

Il mercato del venture capital (VC) italiano rappresenta una chiara opportunità: come coglierla?Buy low, sell high”: al di là di ogni tecnicismo, è in questa frase apparentemente banale che si potrebbero riassumere le aspettative di ciascun investitore. Notare un’opportunità prima di altri, entrarvi a prezzi convenienti e infine uscirne a prezzi più alti. “Not more difficult than that”. Certo, spesso cogliere (in anticipo) cosa è sottovalutato è questione delicata.

Nel caso del mercato italiano del VC, tuttavia, non possono esservi dubbi: gli investimenti nel settore sono ancora limitati (1/15 se rapportato alla Francia, meno di 1/3 della Spagna nel 2016), le valutazioni post-money sono basse, il mercato delle exit è ancora sostanzialmente unproven. È un chiaro, inequivocabile, “low”: dunque, il momento migliore per entrare. Ora si tratta di vedere in che modo.

Se fossimo in un mercato regolamentato, e avessimo una view positiva su un settore specifico di un determinato paese (es. settore tech, mercato Italia), la strategia di investimento, almeno in linea teorica, sarebbe molto semplice: basterebbe limitarsi ad acquistare un indice, ovvero uno strumento finanziario rappresentativo di tutte le società quotate operanti in quel settore (in questo caso, acquistare una posizione lunga sul FTSE All-Share Technology Index o equivalenti).

Nel VC, che si basa su investimenti in società non quotate, una buona proxy di questa strategia potrebbe essere quella di investire in un numero significativamente alto di startup / scaleup interessanti, diciamo almeno 50. Domanda: è possibile effettuare un numero così elevato di investimenti, in tempi rapidi e con risorse contenute? Sì, se gli investimenti sono effettuati sul mercato secondario.

Gli investimenti sul mercato secondario: cosa, chi e perché. Il mercato secondario presenta, rispetto al mercato “primario” (tipico del VC), due fondamentali differenze:

i) non comporta l’emissione di nuove azioni da parte della società e

ii) non genera un afflusso di risorse a favore della società, ma solo dell’azionista venditore. Nella pratica, questo è quello che succede ogni giorno sui mercati globali, dove investitori professionali e retail procedono sistematicamente alla compravendita di partecipazioni in aziende quotate, senza che per questo le società siano chiamate ad emettere nuove azioni o vedano variare la loro disponibilità di risorse finanziarie.

Nel VC, le operazioni sul mercato secondario interessano tipicamente realtà con risultati già consolidati, per le quali ci sia contemporaneamente

i) grande interesse degli investitori ad entrarvi (tipicamente pre-IPO) e

ii) disponibilità di founders / early employees / early investors a uscirne, monetizzando così almeno parte del valore implicito nelle quote in loro possesso.

Da notare che tali operazioni, anche se meno frequenti in ambito VC, non per questo sono meno significative: tra le società che hanno fatto ricorso al mercato secondario si trovano nomi del calibro di Facebook, Zynga, Airbnb, Uber e Dropbox (qui, qui, qui qui e qui) e quest’anno solo in USA il mercato secondario potrebbe registrare volumi vicini ai $10bn (qui). Anche sul mercato EU queste operazioni stanno diventando più frequenti, come testimoniato dall’acquisto da parte di Draper Esprit di un intero portafoglio di partecipazioni early stage da Seedcamp, annunciato qui giusto qualche settimana fa.

Un Fondo dedicato al mercato secondario italiano: case study. Ipotizziamo a questo punto di avere una visione fortemente positiva sul mercato VC nazionale (scenario “buy low, sell high”) e pertanto di ambire a gestire un Fondo VC dotato di un’esposizione molto ampia sull’intero paese Italia azzardando la seguente strategia di investimento:

i) investimenti solo in startup / scaleup italiane che abbiano ricevuto almeno un Series A di dimensioni europee da parte di operatori professionali (vale a dire round VC-backed da €3mln+),

ii) operazioni solo di mercato secondario,

iii) durata del Fondo di 10 anni con fee di gestione pari all’1%, ben al di sotto dello standard di mercato, visti i minori rischi dati dalla maggiore traction delle aziende al momento dell’investimento.

Sicuramente una tale strategia avrebbe un fortissimo elemento caratterizzante (ovvero, quali altri Fondi oggi investono in Italia sul secondario?), ma per essere anche marketable andrebbe probabilmente integrata con due ipotesi aggiuntive:

iv) quota target del 5% in ciascuna startup / scaleup e

v) destinazione delle risorse per 1/3 ad aziende con valutazione di €10mln (ticket di ingresso: €500k) e per i restanti 2/3 ad aziende con valutazione di €20mln (ticket di ingresso: €1mln).

Con queste ipotesi, un Fondo di appena €50mln, una dotazione importante ma assolutamente ordinaria, potrebbe costruire un portafoglio di ben 60 investimenti selezionati esclusivamente tra le migliori startup / scaleup del panorama nazionale! In sostanza, e con ovvie semplificazioni, basterebbero €50mln per offrire ai propri sottoscrittori (LP’s) un’esposizione veramente significativa, e per certi versi unica, sull’intero mercato growth italiano.

Con quali prospettive di ritorni? I dati internazionali relativi a investimenti di mercato secondario in VC sono particolarmente chiari: queste operazioni sono in grado di generare ritorni particolarmente significativi e per di più con il fascino di un profilo di rischio inferiore rispetto a investimenti standard di mercato “primario”, grazie a un minore time-to-exit atteso (qui).

A questo, nel caso del Fondo di cui sopra, ci sarebbe da aggiungere il vantaggio di un portafoglio particolarmente numeroso in un mercato ancora giovane, ovvero potenzialmente in grado di cogliere la gran parte delle exit del mercato. In altri termini, siamo davvero sicuri che le startup / scaleup italiane in grado di generare forti ritorni nei prossimi anni siano molto più di 60?

Dal lato delle startup: focus point. Apparentemente un’operazione di mercato secondario non dovrebbe presentare particolari criticità per una startup / scaleup: in quanto “secondary” non vi sono effetti diluitivi associati e anzi addirittura può esservi un elemento di signaling utile ad attirare nuovi potenziali investitori, in quanto dimostrazione concreta dell’appetito del mercato per entrare nel progetto.

Tuttavia, vi sono diversi elementi da tenere in considerazione, principalmente legati:

i) alla tipologia di azionista venditore e

ii) al comportamento da tenere nei confronti degli attuali soci.

Sul primo punto, le complessità possono variare molto a seconda che a vendere siano in via esclusiva e disgiunta early investors, early employees o direttamente founders, fatto quest’ultimo che potrebbe indicare una riduzione del loro commitment o addirittura una loro view negativa sul futuro dell’azienda.

Sul secondo punto, è chiaro che un’operazione di mercato secondario rischi di creare un’asimmetria tra la condizione dell’azionista venditore (che riesce dunque a ottenere un cash-in) e quella degli altri azionisti non venditori, siano essi operatori professionali, business angels o early employees in possesso di stock option.

Quali i possibili mitigant? Per sanare molti dei punti di cui sopra, l’operazione potrebbe essere strutturata prevedendo:

i) size limitata proprio al 5%,

ii) possibilità di co-vendita aperta a tutti gli attuali soci (i.e. a ciascun socio si riconosce di beneficiare dell’operazione, vendendo il pro-quota rispetto alla sua partecipazione),

iii) previsione di un divieto di vendita (lock-up) di almeno 12-18 mesi per l’investitore entrante (in maniera da evitare possibili operazioni speculative di breve periodo),

iv) trasferimento di azioni prive del diritto di voto, in maniera da non avere ripercussioni sulla gestione societaria.

Con queste previsioni, il deal potrebbe diventare di assoluto interesse: i founders monetizzerebbero parte dello sforzo prodotto fino a quel momento, gli early investors vedrebbero riconosciuta la bontà del loro investimento senza impatti sulla governance, gli early employees avrebbero una piccola soddisfazione per il rischio iniziale. Tutto questo, senza creare nessuna disparità di trattamento all’interno della compagine azionaria, senza alcun effetto diluitivo e per di più con la possibilità di beneficiare di un’accresciuta visibilità sul mercato.

Chi come first mover? La suggestione CDP. Immaginiamo questo annuncio: “Cassa Depositi e Prestiti, come Istituto Nazionale di Promozione che ha per missione quella di “promuovere il futuro dell’Italia contribuendo allo sviluppo economico e investendo per la competitività”, annuncia il set up del primo Fondo VC interamente dedicato a investimenti secondari sul mercato growth italiano. Il Fondo avrà una dotazione di €50mln, che saranno investiti in ca. 60 tra le migliori startup / scaleup nazionali: obiettivi di rendimento allineati ai benchmark internazionali”.

A ben vedere, una tale operazione godrebbe di razionali strategici particolarmente solidi:

i) verrebbe incoraggiata la migliore imprenditoria early stage italiana, coerentemente con la mission di CDP

ii) l’esposizione ampia sull’intero paese, con 60 investimenti, rappresenterebbe una chiara garanzia di imparzialità a tutela di investitori terzi e/o internazionali,

iii) CDP non sarebbe in nessun modo in competizione con i principali player VC già sul mercato né con altri operatori attualmente in fundraising, entrambi interessati a operazioni di mercato primario e

iv) assicurerebbe un portafoglio assolutamente diversificato e con aspettative di rendimento allineate ai migliori standard di mercato, due elementi di chiaro valore per i potenziali LP’s. Il tutto con un assorbimento di risorse di soli €50mln e per di più con la possibilità di gettare le basi per iniziative successive sia a monte (es. un Fondo dedicato a iniziative di mercato primario nella fase più early) sia a valle (es. un Fondo per eventuali follow-up sulle 60 partecipate, focalizzato su investimenti Series B+).

Conclusione. Acquisire un’esposizione del 5% sulle migliori opportunità del mercato VC italiano, se effettuato tramite investimenti sul mercato secondario, potrebbe costare non più di €50mln: un’occasione forse irripetibile per godere di un’esposizione rilevante su un mercato in crescita, a costi contenuti e con ottime prospettive di ritorni sul capitale. In questo contesto, la sponsorizzazione di un grande operatore nazionale come CDP non rappresenterebbe solo un segnale di forte attenzione ai temi dell’innovazione e dell’imprenditoria, ma soprattutto potrebbe essere il modo migliore per evitare di regalare larghi ritorni ad altri operatori, magari esteri. Un motivo in più, forse, per provarci davvero.