È ora di mandare in pensione il PIL?

scritto da il 24 Febbraio 2018

L’autore, Raffaele Perfetto, ha acquisito esperienza decennale in ambito Oil & Gas con una Major Oil Company. Ha conseguito un MBA in Oil & Gas Management nel 2016. Scrive preferibilmente di energia e geopolitica. Per questo post si è avvalso della collaborazione di Enrico Verga – 

Più PIL per tutti può ancora bastare come obiettivo per un Paese che voglia accrescere il benessere dei propri cittadini? No, non stiamo parafrasando il comico Antonio Albanese nei panni del suo alter ego onorevole Cetto La Qualunque. È davvero corretto continuare a considerare il PIL il parametro principale per valutare lo stato di salute di un Paese? Se la crescita del PIL di un Paese è del 3% ma il suo reale benessere diminuisce del 10%, stiamo andando bene o stiamo andando male?

Secondo David Pilling, del Financial Times, c’è vita oltre il PIL: il giornalista ne parla nel suo libro appena pubblicato, non ancora tradotto in Italia e dal titolo illuminante: “The Growth Delusion“. Il mantra delle crescita va indagato in un quadro più ampio, in quella che potremo definire Davos decadence, come recentemente suggerito qui su Econopoly da Enrico Verga. Anche Edward Luce, editorialista del Financial Times, nel suo ultimo libro ci parla del declino del modello democratico occidentale: negli ultimi 20 anni, almeno 20 democrazie liberali sono “crollate” globalmente (3 solo in Europa). Il trend purtroppo sembra continuare.

Ma come è nato il PIL?
Il prodotto interno lordo è figlio dell’economista Simon Kuznets il quale nel 1933 fu incaricato dall’allora presidente Roosevelt di creare un bilancio del reddito nazionale. L’idea era quella di concentrare tutta l’attività umana in un numero. Secondo Kuznets era fondamentale cosa inserire nel calderone ma soprattutto cosa andava ritenuto con segno positivo o negativo. In sostanza tutto quello che era utile al benessere collettivo andava escluso: spese in armi, pubblicità, speculazione e attività illecite quali gioco d’azzardo, prostituzione, estorsione. Le cose non andarono come Kuznets aveva immaginato.

Cosa mettere dentro?
Come abbiamo visto l’idea iniziale era quella di considerare con segno più tutte quelle attività che contribuivano positivamente al benessere sociale. Ma chi decide questo? Come suggerisce Pilling, qualcuno potrebbe pensare che le sigarette, l’alcol o anche i video games e il junk food potrebbero essere piazzati nella parte negativa del bilancio.

In alcuni paesi europei, la prostituzione e l’uso (di alcune) droghe è legale. Ad esempio la Germania, l’Austria, l’Ungheria e la Grecia considerano nei loro bilanci la prostituzione, l’Olanda anche le droghe leggere. In questi paesi tali attività sono considerate come contributo all’economia nazionale. In Inghilterra uno studio condotto nel 2014 per determinare le dimensioni del contributo in termini di PIL di droghe leggere e prostituzione evidenziò che erano circa 12 miliardi di sterline, che in euro con il cambio dell’epoca, sarebbero stati circa 15 miliardi.

Secondo un articolo del Wall Street Journal del 2010 la produzione e il traffico di cocaina rappresentava l’1% del PIL colombiano, in calo dal picco del 6% nel 1987. La vendita delle armi ad esempio è considerata negli Stati Uniti nel calcolo del Pil, in Europa no. E come la mettiamo con il commercio di beni rubati? Pilling fa un esempio: se rubiamo una Ferrari, di sicuro non possiamo considerarlo come contributo al PIL. Ma i soldi derivati dalla transazione sulla merce rubata? Non possiamo trascurarli se questi poi, sostiene Pilling, vanno in bottiglie di Claret da Fortnum & Mason (noto ristorante nel cuore di Piccadilly), o in ostriche e bottiglie di Dom Pérignon (considerando abitudini malavitose “più mediterranee”).

Oltre il PIL
Prodotto Interno Lordo: analizziamo queste 3 parole. Si prendono in considerazione i prodotti e i servizi, sui confini nazionali, e senza fare distinzione tra cosa crea benessere per la collettività o meno.

Primo commento: ha senso ancora considerare il prodotto interno quando molte aziende hanno ormai delocalizzato?

Secondo commento: come considerare il fatto che nel 1930 il manifatturiero negli Stati Uniti rappresentava il grosso della fetta, mentre oggi i servizi, rappresentano l’80% del contributo all’economia americana? Si deve tenere presente che gli Stati Uniti hanno 350 classificazioni sul manifatturiero e molto molto meno per i servizi.

Secondo Pilling per avere il quadro esauriente di una nazione si dovrebbe tener conto di tutti gli asset e perciò l’autore suggerisce di indagare quattro pilastri: servizi/manifattura, capitale umano (popolazione, educazione, salute), capitale di conoscenza (arte scienza ecc..) e capitale ambientale (bellezze paesaggistiche, fiumi, mare ecc..).

In sostanza la crescita che consideriamo è un flusso che va a misurare solo servizi e manifatturiero.

Facciamo un esempio molto pratico: quando si misura la produzione di un campo petrolifero si effettua la differenza dei livelli nei serbatoi nel periodo considerato. Se di un Paese non consideriamo tutti i “serbatoi” ma ne consideriamo solo uno (servizi/manifattura) è ovvio che stiamo misurando qualcosa di incompleto/parziale.

È il mezzo, non il fine
In Cina la crescita ha riguardato per lo più la trasformazione da un’economia praticamente preindustriale a moderna, a seguito di una conversione degli asset: giovani donne e contadini in lavoratori in fabbrica, carbone dal sottosuolo in energia (e inquinamento), territori comunali in proprietà privata e così via. Non è una critica al modello cinese ma bisogna chiedersi se non valga ancora la pena di considerare gli impatti sociali e ambientali. I due quinti dell’acqua di fiumi e torrenti cinesi non è potabile e un sesto è praticamente inutilizzabile, dato l’inquinamento. Qualcuno potrebbe obiettare che anche Londra negli anni 50 viveva più o meno gli stessi problemi di inquinamento dell’aria che vive oggi Pechino, sebbene in misura più ridotta. Il punto, ripetiamolo, è se vale ancora la pena non considerare questi aspetti (esternalità negative) nel bilancio.

schermata-2018-02-18-alle-16-48-31Gli Stati Uniti spendono circa il 17% del PIL in spese sanitarie, circa il doppio di quanto speso nelle altre economie avanzate: il Regno Unito spende il 9%, il Giappone il 10%, la Francia l’11%, ma se consideriamo le classifiche di vita attesa troviamo gli Stati Uniti al 31° posto appena dopo il Costa Rica. Il grafico qui accanto riporta la mortalità per alcuni Paesi e mostra che nonostante la crescita dal 2008 dell’economia americana le condizioni sociali di una fetta di popolazione americana (USW nel grafico, la prima linea in alto) siano decisamente peggiorate.

Soffermiamoci sul capitale umano
Un recente post di Econopoly, proponeva in maniera molto provocatoria il rischio del fenomeno di dumping sociale, il quale, secondo l’autore, porrebbe il datore di lavoro in posizione di forza e lo disincentiverebbe ad investire sul capitale umano. L’autore ci parla di un paradosso sociale che riguarderebbe la reintroduzione della schiavitù. Solo che la schiavitù non conviene, ma non al lavoratore bensì allo stesso datore: a dirlo è un noto liberista. Adam Smith diceva: “Il lavoro degli schiavi è il più caro di tutti… sebbene sembri costare soltanto il loro mantenimento, è in definitiva il più caro di tutti. Una persona che non può acquistare una proprietà non può avere altro interesse che quello di mangiare il più possibile e di lavorare il meno possibile”.

Altro punto: mettere al mondo figli, crescerli, occuparsi del giardino, cucinare, stirare, cioè in pratica tutte le attività domestiche, come dobbiamo considerarle? Perché se oggi decido di tinteggiare la mia stanza allora non sto aggiungendo nulla all’economia, ma se pago una terza persona per farlo in pratica sì.

Se per assurdo da domani mattina tutti i cittadini tra i 20 e i 40 anni decidono di non mettere al mondo più figli per ragioni socio-economiche, quanto sarebbe disposto a pagare lo stato per “sbloccare le nascite”? Sembra paradossale ma potrebbe non esserlo. Un’accademica australiana, J.P. Smith, ha stimato il valore del mercato del latte materno in alcuni paesi, considerando la produzione media giornaliera e la durata media del periodo di allattamento: in Australia varrebbe 4,2 miliardi di dollari, in Norvegia 1,1 miliardi e negli Stati Uniti 53 miliardi di dollari. Praticamente, considerando il prezzo attuale a cui si scambia il petrolio, un barile di latte materno vale circa 200 volte di più.

Se siamo d’accordo su questo, potremmo considerare il resto delle attività di cui parlavamo sopra. E infatti Pilling nel suo libro ci riporta che nel 2012 un gruppo di ricercatori americani ha stimato un valore di circa 3,8 trilioni di dollari da aggiungere all’economia americana per tenere conto delle faccende domestiche.

Ultimamente si dibatte molto sul fenomeno migratorio in corso. In un recente post, Econopoly analizza l’aspetto migratorio in un’ottica puramente economica e riporta una stima di riduzione del PIL dello 0,4%. Leggendo l’analisi ci si chiede tuttavia quanto valga il saldo in termini di competenze e skill, considerata anche la fuga di cervelli. Un recente articolo del Sole 24Ore riporta che nel 2016, su 114.000 italiani emigrati, 39.000 siano i diplomati e 34.000 i laureati. Inoltre si stima che ogni italiano che emigra rappresenta un investimento (perso) per il paese (oltre che per la famiglia) pari a circa 90.000 euro per un diplomato e a 165.000 euro per un laureato. Chiariamo che i responsabili di questa situazione non sono i flussi migratori, ma chi li governa, sia da un lato sia dall’altro.

E intanto il Salvator Mundi è stato pagato circa 400 milioni di dollari. Concludendo.

Ci rendiamo conto del potenziale italiano sebbene ne riconosciamo limiti e difficoltà (leggasi debito mostruoso). Ma le risorse non mancano per trovare la quadra.

Da qualche anno l’ISTAT pubblica il Bilancio Equo sostenibile Annuale (BES) ponendosi all’avanguardia in questo dibattito di cui via abbiamo parlato per la valutazione del benessere nazionale. Siamo solo all’inizio ma potremmo addirittura scoprire che dopo aver sistemato “qualche problemino”, nel Bel Paese non si sta così male.

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Il tema del PIL e la sua utilità nel sistema economico, per misurare l’evoluzione e la crescita economica, fu già messa in discussione cinquant’anni fa da un membro della famiglia Kennedy, Robert, detto Bob. Nel suo celebre discorso, visualizzabile qui, egli diceva che “Il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Più specificamente Kennedy spiegava che “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones, né i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.

“Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.

“Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani”. E questo era già mezzo secolo fa. Vale la pena di ricordare che Bob Kennedy morì assassinato circa tre mesi dopo avere pronunciato questo discorso.

Twitter @Raff_Perf

NOTE

1. http://www.linkiesta.it/it/article/2018/01/25/il-liberismo-e-morto-a-davos-ora-siamo-tutti-nazionalisti/36906/ 

2. https://www.theguardian.com/business/2014/jun/10/accounting-drugs-prostitution-uk-economy-gdp-eu-rules 

3. https://www.wsj.com/articles/SB10001424052702303960604575158203628601096 

4. http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2018/01/26/reintrodurre-schiavitu-societa-moderna/ 

5. La ricchezza delle nazioni Libro III, capitolo I 

6. http://www.econopoly.ilsole24ore.com/2017/06/07/in-italia-quella-dei-migranti-ormai-e-unindustria-e-vale-oltre-4-miliardi/ 

7. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-07-06/oltre-250000-italiani-emigrano-all-estero-erano-300000-dopoguerra-094053.shtml?uuid=AEuX6nsB 

8. https://www.istat.it/it/archivio/207616