Cinque motivi per cui più debito è il male, spiegato ai dilettanti della politica

scritto da il 31 Maggio 2018

Quest’anno le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia sono cadute in un momento di grandi tensioni politiche e finanziarie, per cui l’attenzione dedicata dall’opinione pubblica è stata molto inferiore al solito. Tutti gli italiani sono concentrati sul nuovo governo, se nascerà, sulle prossime elezioni (scampate quelle in ciabatte a fine luglio), sull’andamento dei mercati dei titoli di Stato, subissati dalle vendite e con prezzi in calo nonostante i forti acquisti della Bce (nella settimana 21-25 maggio gli acquisti sono stati pari a 3,628 miliardi contro 3,382 della settimana precedente), accusata di non comprare a sufficienza, ma tant’è, viviamo tempi tristi.

Tempi in cui domina l’incompetenza crassa. Una volta chi non sapeva stava zitto ad ascoltare. Oggi meno sa, più pontifica e insulta. Tom Nichols, professore alla Harvard Extension School, nel mirabile “La conoscenza e i suoi nemici. L’età dell’incompetenza e i rischi per la democrazia” (Luiss, 2017) scrive: “A tutti piace pensare di essere in grado di prendere qualsiasi decisione e ci irritiamo se qualcuno ci corregge, ci dice che sbagliamo o ci spiega argomenti che non riusciamo a capire. Questa reazione umana è perfettamente comprensibile in ogni individuo. Ma che succede quando un’intera società ragiona così?”.

Mentre martedì mattina parlava il numero uno di Via Nazionale, sui mercati dei titoli di Stato si scatenava il finimondo. L’ipotesi di uscita dall’euro dell’Italia – una sciagura di proporzioni enormi -, la cosiddetta #ItalExit era sulle prime pagine di tutto il mondo, che non si capacita dello stato disastroso della nostra politica. Ha perfettamente ragione l’economista Thomas Manfredi, che mercoledì ha twittato: “Oggi ho appreso che se un kamikaze urla nella folla ‘mi faccio esplodere’ e la folla come reazione ha quella di accalcarsi e comprimersi contro le barriere, facendo morti e feriti, la colpa è della folla e della barriera. I mercati e la tecnocrazia sono la colpa”.

Ma quale colpa dei mercati. Un Paese che ha 400 miliardi di euro di debito da rinnovare ogni anno cosa può fare? Ignorare la realtà? Invocare uno “sconto” di 250 miliardi, titoli che sono nell’attivo della Banca d’Italia? Un tempo chi non conosceva la realtà, ascoltava chi ne sapeva di più, oggi insulta l’interlocutore. Con che coraggio Di Maio, fuori corso da tempo immemorabile in giurisprudenza, accusa il presidente Sergio Mattarella (sempre sia lodato per il suo coraggio e i suoi fermi principi) – già professore di diritto parlamentare nonché giudice della Corte Costituzionale – di non conoscere la Costituzione invocando Costantino Mortati o altri giuristi che fino al giorno prima manco si conoscevano? Salvini ha insistito fino alla fine su Paolo Savona, che ha conosciuto la settimana prima! Il professor Giuseppe Conte ha detto che è rimasto profondamente colpito da Savona dopo un incontro di un’ora e mezza. Questo sì vuol dire “scavare, approfondire” (“Da Livorno al Quirinale: storia di un italiano”, cit.), come ci ha insegnato Carlo Azeglio Ciampi!

Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco

Torniamo a Visco, che nelle Considerazioni finali (introdotte da Luigi Einaudi nel dopoguerra) cerca di portare sul tavolo la logica, il ragionamento, i fatti. Missione difficile, quasi impossibile, con alcuni interlocutori: “La difesa del risparmio, necessario per sostenere la crescita economica, presuppone condizioni ordinate sui mercati finanziari. Queste dipendono dalla credibilità delle politiche volte a rinnovare la struttura dell’economia, ad accrescere la produttività, a mantenere sotto controllo la dinamica del debito pubblico”.

Credibilità. Debito pubblico. La partita si gioca qui. Quando è partita la buriana sui titoli di Stato? Quando sono state pubblicate le prime bozze del “contratto per il governo del cambiamento”, dove si indicava la lista della spesa, enorme, senza coperture. Si parlava di ulteriore ricorso al deficit, che l’Europa “brutta e cattiva” di costringe a contenere. Con un rapporto debito/Pil superiore al 132%, senza i limiti europei dove saremmo? Quanto debito vogliamo lasciare ai nostri figli?

Federico M. Ferrara sulla voce.info ha compiuto un’analisi testuale del “contratto” (la versione definitiva, eh), e ne ha tratto la convinzione che il contratto serva a intercettare la crescente domanda di assistenzialismo: «Lavoro, tutele, garanzie, servizi e sviluppo si fanno largo in un quadro di intervento statale massiccio, ben esemplificato dai tanti richiami a “stato”, “paese” e “nazione”. Non è un caso che i termini “occorre” e “necessario” si trovino spesso in combinazione con il verbo “garantire” e la parola “risorse”».

In un Paese dove lo Stato gioca un ruolo rilevante, con un perimetro di azione eccessivo, illudere i cittadini che si possa ancora aumentarne il peso è deleterio. Nel “contratto” non si fa alcun accenno alle politiche di offerta, cosa su cui sta puntando Emmanuel Macron. Tutto si concentra sulla domanda, pubblica naturalmente. Lo Stato Mamma, che pensa a tutto. Ma la spesa pubblica si finanzia con imposte e tasse, che strozzano imprese e attività economica. Vale ciò che sosteneva Margaret Thatcher, “non esistono soldi pubblici, ma denaro dei contribuenti”.

Ancora Visco: “L’Italia deve essere una presenza autorevole…Preservare la fiducia delle famiglie, delle imprese e degli investitori è condizione necessaria per il proseguimento della crescita dell’economia”. Per ottenere o mantenere la fiducia occorrono dichiarazioni responsabili e comportamenti coerenti. Le parole in libertà si pagano, in termini di maggiori oneri sul debito, mentre Visco ammonisce che “ridurre l’incidenza del debito è un obiettivo irrinunciabile”. Senza contare la demografia, che gioca a sfavore. Con l’invecchiamento della popolazione, previdenza e sanità saranno nei prossimi decenni sotto pressione.

Visco invita a non tornare indietro sul fronte pensionistico: “sarebbe rischioso”, “va esercitata estrema prudenza” anche per il “calo della popolazione attiva connesso con il ridimensionamento dei flussi migratori attesi”. Come ha evidenziato il presidente dell’Inps Tito Boeri, senza gli immigrati all’Inps si creano voragini che andranno coperte con maggiori trasferimenti da parte dello Stato.

Il governatore interviene anche sul tema del reddito di cittadinanza. In un regime di risorse scarse per definizione, bisogna seguire una gerarchia nell’ordine delle priorità di spesa: “Nel procedere a un suo rafforzamento (del reddito di inclusione, ndr), bisognerà prestare attenzione alle conseguenze sui conti pubblici”. In tutti questi giorni di governo ballerino in formazione, il così tanto decantato professor Savona non ha detto una parola una sui progetti di spesa faraonici presenti nel “Contratto” (secondo le stime di Cottarelli oltre 100 miliardi di spesa senza copertura). Evidentemente si fanno i conti senza l’oste, o nel gergo felpato di Visco “l’intervento pubblico deve essere svolto nella consapevolezza dei vincoli di bilancio”.

Mentre Lega e 5 Stelle invocano la flessibilità europea, la fine dei Trattati che bloccherebbero la crescita italiana (ma dove sta scritto che con più debito si cresce di più, dove?), Visco parla chiaro: “Non sono le regole europee il nostro vincolo, è la logica economica”. Il governatore è testardo, intende usare la logica anche con chi dimostra – con dichiarazioni e comportamenti – che non ne vuole sapere. Per costoro, contano “il popolo”, la “piazza”, la “Rete”, “la volontà dei gazebo”. Donato Masciandaro del Centro Carefin-Baffi della Bocconi ha parlato sul Sole 24 Ore di “aritmetica virtuosa” che non ammette alternative da furbacchioni: “Le scorciatoie che gli esecutivi in cerca di consenso ideologico e/o elettorale hanno sempre cercato di utilizzare per provare a risolvere nel breve periodo con un uso spregiudicato della moneta problemi di disoccupazione, o di cattiva gestione dei conti pubblici”.

Sono in molti a volere più deficit e meno debito, facendo finta di non sapere che il debito è la sommatoria dei deficit accumulati nel passato. Visco è come se si trovasse davanti a due studenti recalcitranti il cui mantra economico sembra essere quello di creare nuovi debiti; cerca quindi di spiegare i danni causati dall’eccesso di debito pubblico, che “supera di oltre 50 punti percentuali quello medio del resto dell’area euro”.

1 – Costituisce un freno e una fonte di vulnerabilità per l’economia;

2 – Scoraggia gli investimenti aumentando costi di finanziamento e incertezza;

3 – Accresce il ricorso a forme di tassazione distorsiva;

4 – Comprime i margini disponibili per le politiche sociali;

5 – Espone a crisi di fiducia (ci siamo dentro fino al collo), particolarmente pericolose quando ogni anno si devono rifinanziare centinaia di miliardi di euro.

I mercati sono giustamente preoccupati per il futuro dell’Italia. Con questo marasma politico, come possiamo pensare che un investitore estero voglia investire nel nostro Paese? A maggior ragione se i leader dei partiti di maggioranza relativa hanno parlato (e non solo, vi ricordate le felpe No-Euro?) nel recente passato di uscita dalla moneta unica, la quale ha fatto cessare, non dimentichiamolo la tassa più odiosa e iniqua, la tassa da inflazione, che colpisce i risparmi di una vita.

Mentre il governatore Visco chiude le sue Considerazioni finali con il motto di Menichella e Ciampi – “Sta in noi”, un invito alla responsabilità – a me verrebbe da usare le parole di un Ciampi più pessimista, “Non è il Paese che sognavo”. Ha ragione Corrado Augias, che suggerisce per gli italiani un’analisi introspettiva: “Che fine ha fatto il futuro? Nessuna fine, lui è lì che ci aspetta come fa da tempo immemorabile. Che fine abbiamo fatto noi, questa è la domanda alla quale non si ha quasi coraggio di rispondere”.

Twitter @beniapiccone