Caro manager narciso e prevaricatore, il prossimo robot è per te

scritto da il 06 Giugno 2018

 

Premessa

Ero da un cliente, quando vidi uscire dal suo ufficio un dirigente che si mise ad urlare, in un open space, contro una sua giovane collega perché non aveva inteso la giusta priorità dei task da portare avanti. Le sue urla zittirono tutti, la giovane ragazza rimase ammutolita, ad un passo dal pianto, non sapeva più dove guardare. Lui continuò ad urlarle addosso, con una veemenza, per me, ai limiti del reato penale. Avremmo tutti dovuto fare qualcosa, ma nessuno ebbe il coraggio di intervenire. Con colpevole ritardo, cerco di rimediare ora, dedicando questo articolo alla ragazza e alle tante persone che subiscono quotidianamente -nei posti di lavoro- soprusi di questo tipo, o anche semplici e quotidiane prevaricazioni. Intanto vi anticipo, che, molto probabilmente, questi manager perderanno il loro lavoro, ben rimpiazzati, come si meritano, da un robot efficiente, meritocratico e magari anche cordiale. Non ci credete? È solo questione di tempo.


I danni dei manager ansiosi e narcisisti

Questi manager, così violenti e prevaricatori, molto probabilmente soffrono di narcisismo maligno, o quando va bene, di una forte ansia non gestita. In tutti i casi i danni sono molteplici:

I dipendenti che li subiscono, rischiano di bruciarsi, alcuni finiscono persino dallo psicologo: non partecipano più al bene collettivo dell’azienda, perdono completamente la fiducia, la voglia e il piacere di lavorare;
L’effetto Pigmalione innescherà un pericoloso circolo vizioso: il collega “maltrattato” interiorizzerà le critiche del proprio manager e tenderà a comportarsi esattamente come questo si aspetta;
In questi casi, licenziarsi è l’unica via di uscita e generalmente i primi a farlo sono quelli più bravi, veloci e produttivi, perché hanno più facilità nel riallocarsi altrove;

Credo che sia pacifico, come tutto questo generi all’azienda delle perdite finanziarie elevate, su tanti fronti, primo tra tutti per il costo del turnover delle persone senior o comunque importanti per l’azienda:

turnover

(fonte: Towers Watson 2012 Global Workforce Study)

 

Il rischi del micromanager

Ma in realtà il manager può fare danni anche senza prevaricare, offendere, umiliare i propri colleghi. Viene definito micromanager colui che non fidandosi della propria forza lavoro, tende a non delegare, a controllare ogni singolo compito, ad accentrare su di sé ogni cosa. Anche questa pratica, purtroppo molto diffusa, più di quanto si possa immaginare, produce effetti collaterali devastanti:

Le persone non imparano, non crescono mai e questo non permette neanche di far crescere il business dell’azienda;
Le persone non si confrontano tra di loro e le nuove idee faticano ad emergere;
A lungo andare questo comportamento porta le persone a perdere confidenza e sicurezza in loro stessi: tutto ciò provoca il turnover sopra menzionato;

L’antitesi del micromanagement è l’autonomia. Ci sono importanti studi che confermano come l’autonomia possa rendere i lavoratori più soddisfatti, garantendo una maggiore produttività all’azienda. Infine ci sono studi che dimostrano quanto la mancanza di autonomia possa essere dannosa per la salute dei lavoratori, causando problemi alle coronarie più delle sigarette.

Volete un esempio eclatante di micromanager? Lo è stato Steve Jobs quando, lasciando la Apple (che non se la passava bene) ha fondato la NeXT, microgestendola nei minimi particolari. Dal punto di vista commerciale, quello della NeXT è stato un flop totale, mentre su un altro fronte parallelo, quello della Pixar, Jobs è riuscito a cambiare il suo approccio lasciando completamente le redini a Ed Catmull e John Lasseter, permettendo a loro di esprimere tutta la loro creatività, con i grandiosi risultati che tutti noi conosciamo. Steve Jobs ci mise 12 anni per capire che avrebbe dovuto cambiare approccio e quelle sconfitte lo cambiarono in meglio, permettendogli di diventare l’executive leader a noi noto.

 

I progressi dell’Intelligenza Artificiale

Ma prima di ipotizzare come e quando i manager possano essere sostituiti da dei (ro)bot cerchiamo di capire lo stato dell’arte dal punto di vista tecnologico.

L’intelligenza artificiale, in tutte le sue possibili declinazioni, a partire dal machine learning, sta rivoluzionando -e lo farà sempre di più- la nostra vita in generale e il nostro lavoro in particolare. Già dal secolo scorso abbiamo cominciato a vedere i robot nella catena di montaggio delle grandi fabbriche e, se lo chiedete a me e non ai sindacati, lo avremmo dovuto salutare da subito come una grande opportunità: ce lo ha ricordato Charlie Chaplin con il suo celeberrimo film: l’alienazione e la fatica dei lavori ripetitivi e meccanici non merita un minuto della nostra vita. Evidentemente, ora siamo ben oltre: le auto si guidano da sole; i piloti degli aerei durante un volo mediamente compiono un massimo di 7 minuti di gesti manuali, lasciando il resto al pilota automatico; Ikea fa i colloqui ai candidati tramite Vera, il robot di una start-up russa; negli Stati Uniti, Amazon sta aprendo negozi dove si possono comprare i prodotti ed uscire senza fermarsi alla cassa, tramite un sofisticatissimo sistema fatto da migliaia di telecamere e sensori; Google sta perfezionando un vero e proprio assistente virtuale che -ad esempio- sarà capace di prendere gli appuntamenti dal parrucchiere per noi, in completa autonomia, chiamandoli al telefono. A tal proposito, godetevi questa demo (al minuto 1:10):

Tutto questo per ribadire che la tecnologia per sostituire la maggior parte delle funzioni di un manager esiste già e paradossalmente potrebbe essere più efficace, meritocratica, e persino più rispettosa, della relativa controparte “umana”. Mi riferisco alla gestione del tempo delle persone coinvolte nei vari task, alla loro valutazione personale, alla loro carriera. E se le aziende si dovessero accorgere che, anche in termini economici, un algoritmo può rendere di più di un (presunto) manager? Non solo manager: secondo uno studio della McKinsey, il 25% del lavoro di un CEO può essere automatizzato e gestito da dei robot.

 

I robot al posto dei manager

Una startup chiamata B12 costruisce siti con l’aiuto di alcuni “amici robot”. Ci sono designers, client managers e i copywriters in carne ed ossa, ma non sono coordinati da manager. Al loro posto c’è un software chiamato Orchestra (qui trovate il codice open source) che coordina decine di lavoratori, molti di loro freelance, mentre altri robot finiscono il resto del lavoro. Orchestra genera in automatico un nuovo gruppo slack (un software di collaborazione aziendale), identifica le persone, disponibili in quel momento e più adatte per quel tipo di progetto, ed infine crea anche una gerarchia tra i diversi lavoratori per permettere a loro di dare e ricevere feedback.

B12 non è un caso isolato: secondo uno studio pubblicato da Bain, entro il 2027 (!) la maggior parte delle aziende avrà automatizzato tutti i processi aziendali, permettendo ai team di essere autogestiti, con una importante riduzione dei manager tradizionali. Sempre secondo lo studio: “Gli impiegati non avranno più dei boss permanenti ma solo alcuni mentor che li aiuteranno a gestire le loro carriere al meglio”.

 

Oltre i robot: esperimenti di aziende senza manager

Un libro che vi consiglio di leggere (“Reinventing Organizations”, di Frederick Laloux, 504 pagine, Guerini Next Editore) spiega, riportando decine di testimonianze, come molte aziende di successo, quotate in borsa, con milioni di fatturato e migliaia di dipendenti, abbiano deciso di azzerare completamente la figura del manager. In queste aziende i team si organizzano il lavoro da soli, senza che nessuno dica a loro cosa fare e come. Probabilmente quindi, con i giusti processi, non è necessario neanche l’uso dei robot per fare a meno del (middle) management. Per chi vuole saperne di più, riguardo il “Self management” vi consiglio anche lo studio della tecnologia sociale portata avanti dalla cosiddetta “Holacracy”.

 

Conclusioni

Cosa manca ai robot che invece gli umani hanno? Qual è l’unico valore aggiunto che hanno le donne e gli uomini e che manca per definizione alle macchine? Come dovrebbero comportarsi i manager per non rischiare di essere sostituiti da un robot? La risposta è semplice ed è ben descritta da una sola parola: empatia. I manager dovrebbero saper ascoltare, sentire le loro emozioni, capire insieme a loro quali sono le loro paure, le loro ansie, magari proprio per tirarli fuori dalla fisiologica comfort zone. Dovrebbero, farsi una passeggiata con loro, dedicargli la giusta attenzione, perché a volte basta un “ti capisco”, un sorriso complice, e perché no, una sbronza insieme, per poter parlare anche di altro, non solo di lavoro. Il manager dovrebbe -insomma- lavorare di empatia, valorizzando l’unica intelligenza che i robot non avranno mai, quella emotiva, che il buon Daniel Goleman ha saputo ben descrivere nei suoi studi, quando parla di leadership.

Senza l’intelligenza emotiva, mio caro manager, il prossimo robot è per te. Quando alzi la voce, forte del tuo potere, il prossimo robot è per te. Quando pretendi sacrifici ingiustificati, quando fai scelte basate esclusivamente sulle simpatie personali, sappi che ci sarà un robot pronto a sostituirti e che saprà fare questo lavoro meglio di te.

Questo perché le aziende presto realizzeranno che -anche in termini di business- è molto più profittevole il rispetto per le persone, che il piacere narcisistico di comandare.

— Emiliano Pecis su Linkedin