La Germania è il cigno nero dell’Eurozona?

scritto da il 26 Maggio 2015

Il commercio da e verso l’estero è un argomento sempre più discusso, specialmente da quando la crisi del 2008, ed il suo acuirsi in Europa nel 2011, ha spinto le imprese alla ricerca fuori dai confini di quei fatturati che vedevano sparire sul mercato interno, dove la domanda di beni e servizi continuava a calare.

Ma, storicamente, quanto pesano sul Pil gli scambi con l’estero ? Analizziamo questi due grafici, dati diffusi dalla World Bank, dove confrontiamo l’Italia con la media mondiale, coi vari paesi costituenti l’Eurozona, con la Germania e con gli Stati Uniti e facciamo qualche considerazione sui dati che, come al solito, smentiscono molti luoghi comuni.

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1) La cosa principale da notare è come il commercio estero sia aumentato progressivamente, in media nel 1960 comprendeva il 13% del Pil mondiale, nel 2013 siamo quasi al 30%. La cosa più interessante è però il trend, che è stabile e senza particolari scossoni più o meno dal 1973, anno iniziale della crisi energetica (primo shock petrolifero), e in parte confuta chi vede negli ultimi anni una vera “esplosione” del commercio internazionale a causa della globalizzazione e dell’entrata della Cina come “big player” economico.

2) Gli Stati Uniti appaiono molto “chiusi” agli scambi con l’estero rispetto al loro Pil, grazie alla “autosufficienza” sia di materie prime che di beni manifatturieri. Essendo comunque il loro prodotto interno lordo gigantesco, pur con solo un 16% di import, rimangono ancora il mercato di sbocco più rilevante e con maggiori prospettive di crescita grazie al loro reddito medio e alla propensione al consumo.

3) Come si vede i paesi dell’Eurozona, presi nel loro complesso, hanno invece, al contrario degli Usa, scambi con l’estero per una parte rilevante del loro Pil, molto di più della media mondiale e con uno scarto che tende ad aumentare. Questi sono sicuramente gli effetti, fin dagli anni ’60, del mercato unico, i cui scambi figurano ovviamente come import-export, ma replicano in realtà un grande mercato domestico come quello americano. Quello che si nota è che dal 2011, anno in cui il trend di crescita degli scambi internazionali si è fermato, l’export dell’Eurozona vede invece una notevole crescita, trainato da quello tedesco.

4) La Germania è un caso straordinario di paese in cui gli scambi con l’estero ammontano a una rilevantissima parte del Pil, non solo l’export, arrivato nel 2013 al 45%, ma pure l’import al 40%, sicuramente trainato non solo dai consumi, ma anche dalle materie prime e, soprattutto, dai semilavorati necessari per la sua possente industria manifatturiera, specializzata in beni finali assemblati con parti provenienti da tutto il mondo.

5) Al fine arriviamo all’Italia, per la quale i dati riservano altre sorprese. I nostri scambi con l’estero seguono all’incirca la media mondiale: per l’import non si nota nessuno scostamento né al momento dell’entrata nello Sme, né al momento dell’adozione dell’euro, mentre sull’export vediamo un aspetto particolare: ogni volta che il nostro export è caduto sotto la media mondiale abbiamo avuto problemi nei conti con l’estero, vedasi il periodo 1987-92 quando dovemmo uscire dallo Sme e quello 2003-13 culminato con la crisi dell’euro.

Il peso degli scambi con l’estero dell’Italia è molto inferiore sia a quello tedesco sia a quello medio dell’Eurozona, con l’import pari al 26% del Pil nel 2013 (media Eurozona 39%) e l’export pari al 28% (media Eurozona 43%). Ma noi siamo in media col resto del mondo. È la Germania il vero “cigno nero”, che pesa pure molto nella media dell’Eurozona.

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Vedendo questi dati si comprendono meglio molte cose. Ad esempio come il voler far diventare “tedeschi” tutti i paesi dell’Eurozona non è questione di qualche piccolo aggiustamento, è proprio un tipo di economia radicalmente diversa, incentrata sull’estero e basata su una mentalità che non si impara in un corso di due settimane.

Dall’altro lato un’Eurozona ancora più germanizzata è esattamente il timore di tanti negli Stati Uniti, che a questo punto vedono nel Ttip uno strumento per aprire ancora di più il loro mercato nazionale alle importazioni a discapito dei produttori interni.

Ma la domanda principale è se il commercio mondiale possa riuscire a sopportare un’intera Eurozona germanizzata quando già la sola Germania ha creato tanti squilibri negli ultimi anni.

Twitter @AleGuerani