Notai e concorrenza, la riforma va nel verso giusto ma…

scritto da il 29 Maggio 2015

Come è noto, tra i provvedimenti inseriti nel disegno di legge sulla concorrenza v’è una serie di interventi dedicati alla riforma della professione notarile. Tra essi, spiccano l’eliminazione del divieto di pubblicità e del reddito minimo, l’allargamento del bacino di competenza, e la riduzione degli atti per i quali è richiesta l’autentica notarile.

Secondo le intenzioni del Governo, gli atti di cessione di immobili ad uso non abitativo di valore non superiore a 100.000 euro potranno essere redatti anche dagli avvocati, i quali si faranno carico dei connessi obblighi di registrazione, trascrizione, iscrizione, e voltura catastale, nonché della liquidazione delle imposte.

Non sorprende che l’annuncio della riforma abbia determinato una levata di scudi da parte di molte associazioni notarili, esponenti delle quali hanno sostenuto che il disegno di legge renderebbe il trasferimento degli immobili piu’ difficile, senza generare alcun reale vantaggio ai cittadini.

In questo breve post, mi propongo di illustrare brevemente perché, a mio modo di vedere, l’annunciata riforma avrebbe effetti sicuramente positivi sull’economia, attraverso una diminuzione dei costi di transazione e un aumento dell’occupazione, senza sortire effetti avversi, fatta salva la diminuzione del reddito medio dei notai stessi.

Tra i compiti che i notai assolvono nell’ambito dell’ordinamento giuridico nazionale, mi vorrei soffermare su uno che è fondamentale per il funzionamento di qualsiasi economia di mercato: spetta ai notai verificare l’esistenza e la titolarità dei diritti reali sugli immobili, in modo tale che gli individui interessati all’acquisizione di uno di tali diritti su un determinato cespite – il diritto di proprietà, nella stragrande maggioranza dei casi – abbiano un quadro certo dell’esistenza di gravami quali ipoteche, enfiteusi, servitù prediali, e così via.

Ad evidenza dell’efficacia di questa attività, nel corso di un’audizione presso la Camera dei Deputati tenutasi in data 21 maggio, Andrea Dello Russo, notaio in Ravenna, ha sostenuto che in Italia il contenzioso relativo alle proprietà immobiliari è attualmente pari allo 0,03% (delle transazioni, immagino), una cifra di molto inferiore al dato degli Stati Uniti, che, sempre secondo il dottor Dello Russo, si attesta al 24 per cento. Come riconosciuto dallo stesso professionista, negli Stati Uniti la definizione dei diritti reali è spesso lasciata ai tribunali, manifestamente più efficienti che in Italia.

Come economista, non posso che porre il problema del Governo in questi termini: come diminuire i costi di transazione – tra cui gli oneri finanziari dovuti ai notai – senza compromettere la capacità degli acquirenti di capire cosa effettivamente stanno per acquisire? Ricordiamo che i costi di transazione sono nefasti per l’economia perché, andando a diminuire i rendimenti attesi delle operazioni immobiliari, ne riducono il numero e con esso l’efficienza allocativa del sistema. In altre parole, gli immobili spesso non giungono nelle mani di chi vi attribuisce il maggior valore.

Nel 2012, l’anno più recente per cui ho potuto reperire dati del MEF, il reddito medio dei circa 5mila notai italiani è stato superiore ai 200mila euro, un ammontare inferiore ai valori registratosi prima della crisi, ma comunque di molto superiore ai guadagni di concittadini con un simile grado di istruzione.

Il numero elevato di aspiranti notai – in media, ogni anno i partecipanti al concorso superano di quindici volte i posti disponibili – suggerisce che per una moltitudine di soggetti il compenso atteso è ben superiore ai pur ingenti costi che è necessario sostenere per avvicinarsi alla professione. Si noti anche che in Francia – Paese molto simile all’Italia per popolazione e reddito pro-capite – i notai sono circa 8mila. In Germania, con una popolazione maggiore del 25% ed un Pil maggiore del 70%, i notai sono circa 12mila.

Ne consegue che l’abolizione tout court delle restrizioni all’accesso alla professione e alla competizione tra notai comporterebbe una diminuzione delle tariffe notarili, un incremento dell’occupazione (sia dei notai stessi che dei loro dipendenti), ed una più efficiente distribuzione dei notai sul territorio nazionale. A scapito, si intende, del reddito medio dei notai stessi.

La proposta del Governo va sicuramente nella direzione giusta, ma lascia in essere i maggiori ostacoli ad un efficientamento del sistema. La diminuzione del divieto di pubblicità e l’allargamento del bacino di competenza porteranno ad una maggiore concorrenza, che dovrebbe tradursi in minori tariffe. Nonostante questo, il numero dei notai sarà ancora determinato da una tabella predisposta dal Ministero di Grazia e Giustizia ogni sette anni. E sarà ancora il caso che un notaio di Catania non potrà fare concorrenza ai colleghi di Frosinone. Una vera iattura.

Anche la riduzione degli atti per cui è richiesta l’autentica notarile è fortemente avversata dalle associazioni notarili. È stato fatto notare, per esempio, che l’avvocato, a differenza del notaio, che è imparziale perché pubblico ufficiale, è al servizio di una parte. Pertanto ogni transazione richiederà l’intervento di almeno due professionisti e comporterà un costo totale maggiore rispetto all’onere dovuto oggigiorno al notaio. Questa è ovviamente una bestialità, perché se realmente fosse il caso i contraenti risparmierebbero continuando ad affidarsi al notaio e dividendo gli oneri a questi dovuti.

Altri notai hanno fatto notare che la struttura dei costi dei loro studi, in buona parte a causa di obblighi di legge, li pone in posizione di svantaggio rispetto ad altri professionisti, tra cui gli avvocati. Non mi è chiaro di quali costi si tratti. Sicuramente non dei costi di riscossione delle imposte, visto che il disegno di legge impone questa incombenza anche agli avvocati. Immagino che le polizze assicurative dei notai siano più onerose. Il maggior onere è giustificato qualora si riferisca a rischi connessi ad attività specifiche della categoria. Se, al contrario, vi fosse una ingiustificata discriminazione del legislatore contro i notai, la soluzione consisterebbe ovviamente nel rivedere gli obblighi di legge a carico di ciascuna classe di professionisti.

Secondo i dati a mia disposizione, non ci sono notai in questo Parlamento, mentre gli avvocati contano ben 69 dei loro tra i deputati e 38 tra i senatori. Il Governo dovrebbe mostrare più coraggio.

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