Export, la Germania è un esempio da imitare?

scritto da il 01 Giugno 2015

Che la Cina sia il più grande esportatore di beni del mondo non è una grande sorpresa, vedere la Germania che sta raggiungendo gli Stati Uniti lo è invece decisamente di più e merita di tornare ad osservare la dinamica mondiale dei commerci con l’estero. Riprendendo il discorso di un post precedente vediamo per i paesi del G7 e la Cina come esso pesi, rispetto al loro prodotto interno lordo, e quanto si sia modificato dinamicamente nel tempo.

I dati del Giappone sono quelli che colpiscono di più. Considerato per tutti gli anni ’70-’80 il dominatore dei mercati, con l’invasione prima di copie di prodotti occidentali e poi di prodotti tecnologici di alta qualità, la terra dove è stata inventata la qualità totale per vincere la competizione internazionale, il paese dove il dipendente era ligio e fedele alle sorti dell’azienda in cui lavorava per il suo successo nel mondo, in realtà il Giappone ha sempre avuto un export inferiore al 20% del proprio Pil, segno che il suo sviluppo non è mai (sottolineiamo il mai) avvenuto a scapito della domanda interna, anzi, e questo fa comprendere molto meglio le politiche della famosa Abenomics.

All’opposto troviamo appunto invece la Germania che, da livelli sostanzialmente simili a quelli di altri paesi europei, ha più che raddoppiato la sua apertura al commercio estero fino a raggiungere un export al 45% del proprio Pil.

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La Cina, invece, partendo ovviamente da valori bassissimi, si è adeguata a una media “europea” con import ed export fra il 20 ed il 30%, dopo aver toccato un picco nel 2007, quando sembrava stesse arrivando a valori tedeschi. A confermare questi dati ci sono le le notizie che ci raccontano di una dirigenza cinese concentrata sempre più sullo sviluppo del mercato interno mentre si registra una rapida crescita dei salari, che da un lato deprime l’export, dall’altro aumenta l’import di beni esteri (cosa che vediamo infatti perfettamente riprodotta nei dati).

Queste dinamiche sono ancora più evidenti nel grafico sottostante, osservando il valore delle esportazioni nel tempo, in dollari e a prezzi costanti (cioè depurati dalla componente inflattiva).

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Qui le dinamiche sono ancora più interessanti. Negli anni ’70 i tre grossi player erano Stati Uniti, Germania e Regno Unito, con Francia, Italia e Giappone ad inseguire non di molto staccate, ma già nel 1980 gli Usa hanno aumentato il distacco da tutti gli altri, con il Giappone che si affianca a Germania e Regno Unito. Nel 1990 gli Usa continuano a la loro crescita con la sola Germania che si stacca dal gruppo dei “concorrenti”. Fino ad arrivare agli anni fra il 2000 ed il 2010 dove l’entrata sui mercati del colosso cinese non interrompe la crescita dell’export del duo Usa-Germania, ma frena gli altri, in special modo Francia, Italia e Canada che rimangono sostanzialmente stabili: un vero decennio perduto per questi tre paesi a livello di commercio verso l’estero.

Guardiamo invece solo le esportazioni di beni (i prezzi sono in dollari correnti, al contrario di prima).

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Si vede come dal 2000 al 2014 si verifichi la frenata del manifatturiero nel Regno Unito e in Giappone; fatichino a tenere il passo FranciaItalia; si concretizzi la grande crescita della Germania, unico paese europeo con questo ritmo. C’è poi l’entrata tra i grandi competitor internazionali della Corea del Sud; e, infine, una vera esplosione dell’industria cinese, che però, come abbiamo visto, rallenta considerevolmente negli ultimi anni.

Dopo questa passeggiata fra i dati abbiamo la conferma dell’attuale “unicità” dell’economia tedesca, ligia al dogma dell’export ancora più della Cina e con un mercato interno più represso del Giappone. Pensiamo sia davvero un esempio da imitare?