Gli errori che ha commesso Uber in Italia (di @gregcorrado)

scritto da il 05 Giugno 2015

All’indomani dell’ingresso in campo dell’Autorità dei Trasporti sul caso Uber, Econopoly pubblica un contributo di Antonio Corrado, fondatore e CEO di MainStreaming e di Mainsoft –

Con una sentenza del tribunale di Milano, il 26 maggio 2015 il giudice Claudio Marangoni blocca il servizio UberPop – che è una delle applicazioni Android e iOS facenti parte dell’”armata” di Uber. “Concorrenza sleale”, questa l’accusa.

Ma perché si è arrivati a questo punto? La risposta è nel sistema italiano dei taxi e nell’arrivo di un’innovazione dirompente quale Uber, ma anche nella gestione italiana del servizio. Un rapporto conflittuale che ha toccato tappe sempre più calde negli ultimi mesi, fino alla sentenza che blocca UberPop nel Belpaese.

Il sistema Taxi italiano

Come funzionano i taxi in Italia? Il Comune emette un numero di licenze limitate da assegnare al servizio pubblico dei taxi. Gli aspiranti tassisti inviano la candidatura e partecipano ad un concorso: in base al punteggio viene assegnata loro una licenza per operare in questo settore per conto del comune.

Il tassista non paga alcun costo di licenza, ma solo le imposte per aprire la partita Iva e le relative tasse di iscrizione alla Camera di commercio. Le tariffe vengono definite dal Comune e gestite tramite un tassametro. Il tassista si associa ad un’organizzazione per poter operare nel proprio comune.

Il giorno in cui un tassista decide di terminare l’attività, può consegnare la licenza al proprio comune che la riassegnerà ad un altro aspirante tassista.  In Italia negli ultimi anni si è creato il mercato della vendita delle licenze. Le licenze non potrebbero essere vendute, ma solo cedute. Il tassista può cedere la propria licenza ad un aspirante tassista, se ha i requisiti adeguati per poter operare, senza bisogno di partecipare ad un concorso. È una buona idea di base, ma cosa accade nella realtà dei fatti? In Italia si è creato un mercato fuori controllo, in cui gli aspiranti tassisti acquistano la licenza pubblica dal precedente tassista, spesso a cifre molto alte, per una licenza che (in teoria) non ha valore economico: il Comune infatti può liberamente emanare e ritirare licenze.

Negli ultimi anni si nota un crescente numero di taxi in sosta nei parcheggi. L’unico modo per impegnarli al 100% è ridefinire le tariffe e rivedere i prezzi: tassisti e associazioni dovrebbero pretendere ulteriori agevolazioni sul carburante, una riduzione del costo delle assicurazioni e del servizio fornito dalle cooperative. Solo riducendo le tariffe il sistema-taxi potrà effettivamente dichiararsi “pubblico”.

Allo stesso tempo, non di rado accade che in concomitanza di eventi di una certa portata (Settimana della moda a Milano, Salone del mobile, Expo) il numero di taxi sia insufficiente (circa 4885 a Milano) e allora ben venga il servizio fornito da Uber, ha dichiarato la Unc (Unione nazionale consumatori).

…e alla fine arriva Uber!

La crisi economica obbliga il mondo di oggi a una costante trasformazione, a cercare nuove vie. Nella Silicon Valley usano un termine ben preciso per identificare gli “attori” del cambiamento: disruptor, ossia aziende talmente innovative da ridisegnare interi mercati. Casi come Uber e Airbnb, insomma. Il tutto a portata di mano. Anzi, di app.

Uber è un’azienda americana nata come start-up nel 2009 e con sede a San Francisco. È un app per smartphone che permette di cercare e richiedere un’auto con conducente privato. Il progetto di finanziamento dell’azienda è iniziato con un primo seed da 1,3 milioni di dollari, e dal 2010, si legge su CrunchBase, ha raccolto l’incredibile cifra di oltre 6 miliardi di dollari raggiungendo una valutazione di 50 miliardi! Uber afferma di creare oltre 50mila posti di lavoro al mese in tutto il mondo, con posizioni anche a Milano.

Perché un tale successo? Perché Uber rappresenta una rivoluzione della logistica: da UberBlack (taxi con effettiva licenza) all’osteggiato UberPop fino a UberPool (sorta di corsa condivisa con altri passeggeri), da UberX a UberSUV. Addirittura l’azienda ha lanciato servizi come Uber Rush, che permette la consegna di pacchi e lettere tramite bicicletta, e Uber for Helicopters (trasporto su elicotteri a prezzi vantaggiosi). Tra i progetti in fase di rodaggio si conta anche un servizio di consegna dei farmaci.

Uber si basa sul meritevole meccanismo dei feedback: per ogni corsa, autisti e passeggeri si commentano a vicenda assegnando un voto. Tutto ciò migliora il rapporto autista-passeggero, il conducente può visualizzare il profilo del potenziale cliente, il punteggio e i feedback, migliorando così la sicurezza del servizio e dell’autista stesso.

Si è arrivati a parlare del conducente come un Uberpreneur, inserito in un circolo virtuoso di auto-miglioramento: gli autisti sono stimolati ad essere cortesi, presentare vetture pulite e ordinate, un servizio migliore e un ascolto attento dell’opinione dell’utenza. Il guadagno dell’autistaUber corrisponde all’80% di ogni corsa, che deve essere dichiarato nel proprio paese di appartenenza, mentre il restante 20% è trattenuto da Uber.

Taxi e Uber, una difficile convivenza

Uber ha esportato il proprio servizio in numerose nazioni: il primo step è l’apertura di una società locale con lo scopo di adattare i propri servizi al singolo paese. L’azienda richiede ai vari paesi le licenze per poter operare e le propone ai conducenti: generalmente si presenta alle organizzazioni, Taxi e NCC (Noleggio con Conducente), invitandole ad entrare nel proprio network per poter essere presenti nell’app. Negli ultimi mesi si è verificato più di un episodio di protesta da parte dei tassisti, e l’impressione è che si vada verso un climax crescente di rabbia e rancore.

Uber ha sbagliato a sua volta, adottando politiche troppo aggressive per inserirsi rapidamente nei vari paesi e lanciando UberPop, servizio fin troppo permissivo in cui agli autisti sono richiesti pochi prerequisiti (basta avere una patente da tre anni, un’auto a proprio nome, una fedina pulita e non contare sospensioni recenti della patente). Per fare da autista UberPop non occorrono ulteriori certificati né la licenza di operatori di servizio pubblico.

Uberarroganza?

L’azienda Uber italiana, composta da un gruppo di giovani bocconiani, è partita con i migliori auspici ma oggi sta accusando problemi dovuti all’inesperienza manageriale e di gestione delle risorse umane. Gli autisti Uber segnalano grosso modo gli stessi problemi: poca comunicazione interna e scarsa reperibilità dei responsabili per la gestione delle problematiche. Quasi sempre la gestione di problemi avviene tramite email e si deve attendere diversi giorni per l’assistenza.

L’atteggiamento del management italiano viene spesso definito “troppo arrogante” e “poco trasparente”. Un errore commesso dai manager italiani – e ora pagato con la sentenza del Tribunale – è stato diffondere UberPop con troppa facilità: sembra non esistere un’effettiva selezione. Accade che i clienti si lamentino perché il valore percepito del servizio UberPop non combacia con il valore atteso.

Una storia tutta da scrivere

Uber è un’azienda ancora giovane e sicuramente ci sono margini di miglioramento. Soprattutto dovrebbe porsi in modo meno aggressivo sul mercato e ascoltare le singole esigenze locali, consolidando la propria brand reputation. Sono evidenti le potenzialità di un business del genere, a cui purtroppo si reagisce con diffidenza e ostilità: dilagano le proteste e il malumore, e solo all’estero (dove comunque sono numerosi i casi di stop da parte delle autorità, anche negli Stati Uniti) pare muoversi qualcosa. In Belgio, per esempio, si sta lavorando ad un piano per la legalizzazione di Uber e l’integrazione del piano dei taxi 2015-2019.

In Italia, intanto, l’Unione Radiotaxi d’Italia risponde con controffensiva tecnologica: l’app It Taxi conta più di 10mila taxi e 100mila utenti. Da poco è arrivata anche AppTaxi. E Daimler ha lanciato MyTaxi. La storia è ancora tutta da scrivere.

Twitter @gregcorrado

 

Chi è Antonio Corrado

Founder e CEO di MainStreaming e di Mainsoft. MainStreaming è una tecnologia all’avanguardia per il video hosting e il live streaming, un prodotto interamente made-in-Italy. Lanciata nel 2014 solo su mercato italiano, l’azienda ha recentemente aperto una sede anche a San Francisco e sta progettando il lancio negli Stati Uniti. Entrepreneur insaziabile e in caccia di avventure sempre più stimolanti, che ora vive a metà fra la Silicon Valley e Milano. Alle spalle vent’anni di esperienza nel settore ICT, con la sua azienda ha sviluppato software per importanti aziende nel settore assicurativo, bancario e telecomunicazioni. Il suo mentore è l’ingegnere Giuseppe Calogero, precedentemente top manager di Olivetti, conosciuto nel 2002. Della “filosofia Olivetti” Antonio ha assorbito soprattutto la volontà all’innovazione continua.